Quando la “digital health” diventa “digital medicine”
La digital medicine comprende una gamma crescente di strumenti tecnologici per fare diagnosi, monitoraggio o scelta delle terapie, sempre più affidabile.
Ne fanno parte, ad esempio, i dispositivi per gestire le patologie croniche, gli apparati sensoristici, le cosiddette “pillole intelligenti” provviste di sensori biocompatibili in grado di inviare informazioni importanti al paziente e al medico.
Ma anche la funzione Ecg dell’Apple Watch 4 e le versioni successive, per dirne una.
Da molti anni la Food and Drug Administration americana richiede che dispositivi e app in ambito sanitario siano sottoposte a certificazioni e sperimentazioni cliniche controllate prima della loro approvazione e immissione nel mercato.
Fintanto che gli studi scientifici non ne dimostrano un’efficacia comprovata e superiore a quella delle terapie farmacologiche già a disposizione, non vengono riconosciute come tali restando nell’ambito della digital health.
Indicazioni recentemente recepite anche dall’Unione Europea, che adesso prevede la necessità di prove scientifiche a supporto della sicurezza prima di registrare strumenti di digital medicine come dispositivi medici.
L’affidabilità e la dimostrazione di efficacia – insieme alla garanzia della privacy dei pazienti – sono profili, come detto, che differenziano fortemente le tecnologie di digital medicine da quelle del macro insieme della digital health.
Rientrano in quest’ultima categoria, ad esempio, le app che si occupano di alimentazione o esercizio fisico: strumenti più simili a gadget che a dispositivi medici, capaci di catturare o archiviare dati sanitari, erogare o supportare servizi e operazioni cliniche ma che non richiedono prove scientifiche.
Nel video “Digital Health e Digital Medicine: “dal metodo alla validazione scientifica degli strumenti” Eugenio Santoro, ricercatore all’Istituto Mario Negri, fa chiarezza sulle principali differenze strutturali delle due categorie, analizzando gli esempi più rappresentativi e le eventuali criticità.
Claudia Torrisi