Caro Ministro, sono un medico di famiglia
Gentilissimo Ministro Speranza,
sono un medico di 33 anni, da 2 anni e mezzo medico di medicina generale della città di Ravenna.
Le scrivo per raccontarle la mia breve esperienza professionale, non quale esempio eccezionale ma piuttosto perché condivisa con decine di colleghi, coetanei e non, della mia stessa città e regione e non.
Lo faccio perché penso che anche questo tassello sia importante: non certo per i risvolti personali, ma perché credo che una discussione così nodale come quella che si sta svolgendo sulla riforma della medicina territoriale non possa trattare solo macro temi (economici, previdenziali, sindacali…) ma debba per forza prendere in considerazione la vita reale, che è quella che condividiamo noi ogni giorno con i nostri pazienti.
Il nostro lavoro è difficile da raccontare e capire, è difficile verificarne gli obiettivi, è sicuramente vario e mediato dalla personale competenza scientifica e relazionale del medico nonché dall’organizzazione della Asl e regione in cui opera, ma quale lavoro non ha in parte queste caratteristiche?
Tento di raccontarle quali siano a mio avviso il nostro ruolo e la nostra importanza che vanno di pari passo con la preziosa opportunità di seguire nel tempo e nelle vicissitudini della storia clinica e personale i pazienti e le loro famiglie, di conoscerli e averli a mente, di pensare a loro anche al di fuori dell’orario di ambulatorio, identificando categorie di intervento grazie anche alla tecnologia che ci supporta.
Mi riferisco all’attività di promozione della salute, la promozione di stili di vita sani, l’impostazione di terapie in prevenzione primaria, la deprescrizione nei soggetti anziani e fragili, la promozione dell’adesione agli screening oncologici e alle vaccinazioni (negli anni passati chiamare attivamente, consigliare e vaccinare le donne in gravidanza durante la campagna antinfluenzale, o le persone con patologie croniche per quanto riguarda l’antipneumococcica e ora quanti (quanti!) colloqui per la vaccinazione Covid: abbiamo fatto un grande lavoro di sensibilizzazione con i nostri pazienti, anche se, per scelte organizzative più efficaci, all’atto pratico risultano pochi i vaccini somministrati nei nostri ambulatori).
Non credo sinceramente che questi obiettivi si possano ottenere da un computer che invia Sms ai soggetti con esenzione, e nemmeno da un medico che non sia il Tuo medico.
Mi riferisco anche a un’altra esperienza forte, intensa, una bellissima scoperta di questi miei primi anni di medicina generale: la cura dei pazienti al domicilio, soprattutto i pazienti con necessità di assistenza infermieristica fino alle cure palliative, persone che possiamo accompagnare nel loro percorso fino al decesso, senza necessità di ricorrere a un’ospedalizzazione che poco aggiunge alla storia clinica e tanto toglie in termini di umana assistenza, soprattutto in questi tempi in cui la famiglia rimane fuori dall’ospedale.
Prendersi la responsabilità di seguire a casa questi pazienti, decidendo insieme alla famiglia quando è il momento di non intraprendere ulteriori terapie attive e fornire le più adatte cure palliative, con la collaborazione fondamentale dell’assistenza infermieristica, è una grande possibilità del medico di medicina generale, che in questa fase ha un ruolo insostituibile.
Mi riferisco infine al nostro supporto in questioni non strettamente sanitarie, alle quali non si può rispondere con atti medici o terapie farmacologiche: all’attenzione ai soggetti fragili, al disagio psichico di adolescenti e giovani adulti, alle problematiche connesse con l’attività lavorativa, e tanto altro.
Ho letto che sarà necessario obbligarci a entrare in medicine di gruppo e aggregazioni di medici. Ministro, noi lo stiamo facendo già!
Tantissimi colleghi neo convenzionati hanno cercato e scelto soluzioni di questo genere, tutti i colleghi che conosco cercano il confronto quotidiano con i colleghi del gruppo, con ex compagni di corso, per condividere dubbi clinici, burocratici, medico legali.
Siamo abituati a cercare il contatto con il medico ospedaliero per un confronto clinico o per semplificare i percorsi dei pazienti, che troppo spesso risultano tortuosi e inefficaci se affidati alle agende Cup, mentre spesso riusciamo a inventare percorsi perfetti, tagliati su misura, che ottimizzano il tempo di tutti: noi, i pazienti, il medico specialista.
Sento dire che tentiamo di lavorare il meno possibile, inviando i nostri pazienti a visite specialistiche senza visitarli, o in Pronto soccorso per non avere responsabilità. Come se non avessimo ormai capito che, tra tempi di attesa, effetto domino di continue prescrizioni e rimandi degli specialisti ad altri accertamenti, difficoltà economiche a eseguire persino esami che prevedono un ticket, la gestione della salute del paziente che non sta bene rimane comunque in mano a noi finché non viene risolta. E anche per questo, ma soprattutto per l’interesse che abbiamo verso il benessere del nostro paziente e verso una buona gestione della spesa pubblica, prescriviamo con attenzione visite ed esami!
Gentile Ministro,
se quello che si vuole ottenere è una migliore organizzazione, con servizi ai pazienti che il singolo Medico di medicina generale non riesce a dare, la soluzione potrebbe essere di spingere verso forme di associazionismo i medici che ancora non l’hanno scelto, sapendo che nel futuro sempre più noi per primi le cercheremo, non fosse altro che per la sempre maggiore difficoltà a trovare qualcuno che possa sostituirci nei momenti di bisogno come malattia e gravidanza.
Se si vuole verificare e quantificare la nostra efficacia come medici, inventiamo soluzioni nuove, modificando la nostra retribuzione con maggiore quota definita da incentivi, decisi in base al raggiungimento di obiettivi anche clinici, non solo di contenimento della spesa.
Se si vuole controllare quante ore al giorno lavoriamo le assicuro che si può anche rimanere 8 ore in un ambulatorio – non solo nei nostri – senza fare molto, mentre molta parte del lavoro viene da noi svolta anche a casa (al computer lavorando sulle cartelle dei pazienti, o al telefono per consulti o organizzazione di visite ed appuntamenti), in altri orari che nessuno può controllare ma che aggiungono qualità al tempo svolto nelle ore di lavoro “in trincea”.
Se quello che va modificato invece è in senso lato la medicina territoriale, con implementazione delle case della salute e altre forme di assistenza, non spariamo a zero solo sulla medicina generale, che può svolgere un servizio prezioso per la salute dei cittadini, in collaborazione con altre figure professionali, in un’ottica di sempre maggior presa in carico globale del paziente, e non solo strettamente sanitaria.
Infine, con sincerità, non sono preoccupata per il mio stipendio del futuro. Come medico so di essere privilegiata rispetto a tanti coetanei di altre professioni sotto e mal pagati.
Mi preoccupa non poter continuare a essere il medico di base così come lo sto conoscendo e vivendo ora. Così come l’ho scelto, con tutta la voglia di vederne e farne delle belle in futuro.
Mi preoccupa che venga a mancare quel rapporto di conoscenza e costruzione di fiducia reciproca che permette di intercettare meglio i bisogni di assistenza ma che permette anche di dire dei no motivati (di fronte a richieste di esami inutili, farmaci in classe A se non indicati, certificazioni di assenza per malattia non motivate, certificazioni di assenza da scuola non giustificate, eccetera eccetera) tutte cose che con fatica giorno dopo giorno affronto volentieri perché questa professione ha anche un ruolo educativo, e non solo di risposta a richieste…
Non so immaginare come sarà il nostro lavoro se diventeremo dipendenti del Servizio sanitario nazionale.
Sarà possibile tutto questo?
La ringrazio per la sua attenzione.
Sara Albertini
Cara Collega,
in un momento in cui si parla di riorganizzazione della medicina del territorio credo sia fondamentale partire dalle voci di chi quella medicina la vive e la fa concretamente tutti i giorni.
Ti ringrazio quindi per aver voluto condividere con la Fondazione la tua lettera aperta al ministro della Salute.
Il nostro approccio scientifico ci insegna che un intervento si dimostra risolutivo quando scaturisce dalle evidenze dei fatti e dall’esperienza.
La tua testimonianza, in questo senso, è preziosa.
Alberto Oliveti
Presidente Fondazione Enpam