L’intelligenza amplificata dei medici

Il nostro Servizio sanitario nazionale tiene.

Lo dimostrano i parametri fondamentali anche se riflettono la disomogeneità territoriale e le diseguaglianze a livello sociale.

E questi risultati si devono soprattutto al lavoro e al sacrificio dei professionisti sanitari, medici e non, mentre non si può dire altrettanto delle infrastrutture e della gestione del Ssn.

Di fronte a una macchina che sostanzialmente sembra immobile, impaludata nelle pastoie burocratiche, con una programmazione a dir poco carente, con un progressivo definanziamento del sistema sanitario che si riflette sulle infrastrutture e sui compensi, con una corruzione scoraggiante, non c’è da stupirsi se sono sempre di più i colleghi giovani che scelgono di lasciare il Paese.

La mancanza da parte della politica di un’idea chiara sulla tenuta del sistema sanitario rischia di tramutarsi in pericolosa inerzia rispetto alle sollecitazioni che invece arrivano dall’innovazione tecnologica anche sul modo di esercitare la professione medica.

Come l’intelligenza artificiale trasformerà la medicina e l’atto medico?

A Londra è stata avviata una collaborazione tra l’app Babylon Health e il National Health Service nell’ambito della medicina generale.

Il paziente può ricevere sul suo telefonino la videoconsulenza di un medico, mediata da una piattaforma informatica.

Sulla base dei sintomi che il paziente riferisce il sistema suggerisce delle domande che il medico legge e poi rivolge al malato.

L’app è in grado di dare al medico dei riscontri sulla base delle risposte e persino delle espressioni facciali del paziente, con un imponente sistema di auto apprendimento.

Si arriva così a un ventaglio di possibili diagnosi suggerite dall’intelligenza artificiale tra le quali il medico sceglie quella a suo giudizio più appropriata.

In questa prima fase del progetto l’Nhs paga a Babylon una quota capitaria di 60 sterline, che a sua volta ne dà 90mila al medico. Ma quando la piattaforma avrà acquisito sempre più dati e si sarà affinata nella programmazione e nelle competenze, che ne sarà del medico?

Diventerà una tecnospecie di operatore di call center con una campana di Gauss davanti per definire probabilisticamente la cura?

E quali potranno essere i suoi compensi?

Non dobbiamo dunque sottovalutare le possibili conseguenze negative di una visione distorta dell’intelligenza artificiale indotta dagli interessi economici delle grandi piattaforme, da una comunicazione interessata e dall’insipienza della politica allettata da una fittizia riduzione dei costi.

Il rischio è che l’intelligenza artificiale si affermi nell’immaginario collettivo come alternativa al medico invece che un amplificatore delle sue competenze.

Secondo una recente indagine dell’Osservatorio sull’innovazione digitale del Politecnico di Milano gli operatori sanitari non sono spaventati dall’intelligenza artificiale.

Al contrario molti pensano che possa migliorare l’efficienza dei processi clinici, dimezzare la probabilità di errori, e raddoppiare l’efficacia delle cure in termini di precisione e personalizzazione.

L’alternativa dunque alla possibile deriva è solo quella di presiedere le direttrici del cambiamento e governare le trasformazioni indotte dall’innovazione.

Il medico dovrà sempre più appropriarsi delle abilità legate alle nuove tecnologie, controllando però con accuratezza i profili etici del “machine learning” mentre la politica dovrà necessariamente pensare a come investire nel sistema sanitario: l’intelligenza artificiale non permetterà di tagliare i costi e di sostituire i medici, ma ci sarà bisogno di medici sempre più qualificati per usarla.

E per trattenere questi medici in Italia occorrerà pagarli adeguatamente.

 

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