La coperta pubblica non basta per la Ltc

Dall’Inps meno di 1.000 euro di pensione di inabilità, 512 per l’indennità di accompagnamento. E le strutture sanitarie pubbliche ospitano (in media) il 4,3 per cento dei non autosufficienti

La coperta del welfare pubblico è troppo corta per le persone non autosufficienti che necessitano di cure di lunga durata (Ltc): difatti, un lavoratore iscritto all’Inps che incappi in un problema di invalidità serio, al 100 per cento, ha la possibilità di avere la pensione di inabilità, che è rapportata sulla base dei contributi previdenziali, e anche una maggiorazione, corrispondente al periodo intercorrente dalla data di presentazione della domanda fino al compimento del 60esimo anno di età.

Purtroppo, spiega il responsabile nazionale dell’ufficio Previdenza di patronati Acli Franco Bertin, “poiché le pensioni vengono calcolate con una quota, o in modalità interamente contributiva (in quest’ultimo caso rientra chi ha iniziato a lavorare dopo il 1996, ndr), il computo risente spesso di stipendi e versamenti medio- bassi” ed “è sicuramente inferiore ai 1.000 euro mensili”.

Qualora, invece, vi sia un’invalidità parziale dal 66 al 99 per cento si ha diritto ad un assegno ordinario, a carattere temporaneo (confermato ogni tre anni), compatibile con l’attività lavorativa, di ammontare ben più basso dei circa 1.000 euro citati, anche perché “senza alcuna maggiorazione”.

PRESTAZIONI UNIVERSALI

Per tutti, invece, è aperto (quindi anche per i professionisti iscritti alle Casse) il riconoscimento delle invalidità civili: per quelle fino al 74 per cento, l’assegno mensile nel 2016 è di 279 euro, ma solo per chi ha un reddito inferiore a 4.800 euro annui, mentre con il 100 per cento spetta la pensione di inabilità, sempre di 279 euro, che viene concesso se non si superano i 16mila euro di reddito all’anno.

Inoltre, a chi, inabile al 100 per cento, abbia difficoltà di deambulazione e non riesca a compiere autonomamente gli atti quotidiani della vita (bere, mangiare, lavarsi, vestirsi, etc), si riconosce l’indennità di accompagnamento di 512 euro mensili, prestazione non legata a limiti di reddito, ma incompatibile con l’eventuale ricovero della persona non autosufficiente in una struttura pubblica (ospedali e case di riposo).

A tal proposito, in Italia, a fronte di circa 2,5 milioni di residenti con limitazioni funzionali, si giova dell’assistenza domiciliare integrata fornita dalle Aziende sanitarie locali (Asl) soltanto il 4,3 per cento degli over65. In alcune regioni il tasso è in realtà inferiore al 3 per cento (Campania, Piemonte, Puglia, Toscana, Trentino- Alto Adige e Valle d’Aosta), altrove si attesta su quote consistenti (in Basilicata, Friuli-Venezia Giulia e Umbria), fino al caso dell’Emilia-Romagna, dove le strutture pubbliche coadiuvano il 12 per cento degli anziani.

Nei comuni, il Servizio di assistenza domiciliare (Sad) assiste l’1,3 per cento delle persone, con punte locali del 2 per cento; a seguire, nelle Residenze sanitarie assistenziali (Rsa) e nelle Residenze protette (Rp) regionali, secondo l’Istat, vi sono “2,3 posti letto ogni 100 persone”.

Nell’ambito privato (e informale) operano almeno 830mila badanti, quasi tutte straniere, che accudiscono gli anziani nello loro abitazioni. Tirando le somme, lo scenario descritto lascia dedurre che, negli anni a venire, le criticità dell’offerta di Ltc potrebbero tramutarsi in emergenza.

Simona D’Alessio

@FondazioneEnpam

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