Medico e prete, tornato in camice contro il coronavirus
Ha riabbracciato la sua vecchia vocazione, mai del tutto dimenticata, per tornare in corsia contro il Covid. Da pneumologo aveva vestito l’abito talare, ora ha indossato nuovamente il camice per schierarsi nella lotta al virus, tra diagnosi e sacramenti ai pazienti.
DI NUOVO IN CORSIA
Dopo giorni “di grande impotenza, abbiamo iniziato a incidere sulla malattia, grazie anche al consiglio di colleghi della Lombardia e delle zone più colpite. Adesso – racconta Alberto Debbi, pneumologo-sacerdote tornato in servizio all’ospedale di Sassuolo – la situazione è molto migliorata. Sono diminuiti i ricoveri per Covid, le terapie intensive liberano posti, purtroppo anche a causa dei decessi. Ora è da capire se con la fase 2 ci sarà un ‘rimbalzo’ del contagio”.
“Ho visto pazienti tornare alla vita – spiega il camice bianco al Giornale della previdenza – ma anche situazioni impensabili nella normalità, come intere famiglie ricoverate per la stessa malattia. Ho dovuto dire ad una coppia che la figlia era morta nella stanza accanto. Con i colleghi ho celebrato la messa, con molti pazienti ho pregato. Ai malati ho dato i sacramenti, l’eucaristia, l’unzione degli infermi”.
Don Alberto manterrà il camice indosso “fino a quando ci sarà bisogno di fronteggiare l’emergenza”, ma il desiderio è anche quello di “tornare alla mia vita di sacerdote, alle attività pastorali. Fino a giugno – dice – sarò al lavoro in ospedale, dopo vedremo cosa accadrà”.
LE DUE VOCAZIONI
La vicenda di don Alberto Debbi il nostro Giornale l’aveva raccontata più di un anno fa. Il 44 enne di Salvaterra, in provincia di Reggio Emilia – don Alberto dal dicembre 2018 – dopo la laurea in medicina a Modena e la specializzazione in Pneumologia aveva una carriera avviata all’ospedale di Sassuolo. Un percorso che nel settembre 2012 aveva cambiato direzione, mettendo da parte il camice e i progetti di matrimonio.
Da marzo la chiamata interiore è stata quella di tornare in servizio e mettere a disposizione le competenze mediche per arginare la pandemia che in quei giorni dilagava nella provincia di Modena. “A fine febbraio ho deciso di mettermi a disposizione – racconta Alberto Debbi – quando i colleghi medici mi hanno raccontato di un ospedale stravolto dal Covid”.
IL VESCOVO COME UN PRIMARIO
Incassato il parere positivo dai vertici religiosi (“il vescovo è come se fosse il mio primario, il parroco il mio responsabile di struttura”) e professionali, Debbi è rientrato in servizio il 18 marzo al reparto Pneumologia, al fianco dei suoi vecchi colleghi in un ospedale di Sassuolo trasformato di fatto in Covid-hospital. “In quella settimana siamo diventati zona rossa – spiega il medico – e sembrava di essere in guerra. I pazienti che arrivavano in ospedale avevano una sola malattia e anche due colleghi sono stati infettati”.
Davanti a “una malattia e molto impegnativa, che devasta i polmoni”, lo pneumologo ha dovuto rispolverare le conoscenze mediche messe in stand by. “Non è stato facile – afferma – ma i colleghi mi hanno aiutato a rientrare e affrontare una patologia che tutti abbiamo imparato a trattare sul campo. In una prima fase, con poche armi a disposizione: farmaci, presidi, ventilatori, dovevamo trattare persone che non respirano più”
Antioco Fois