Covid, sulle pensioni Inps la spada di Damocle del Pil
L’impatto del crollo del Pil sulle pensioni Inps, atteso a seguito della pandemia di Covid-19, resta per ora congelato. La caduta non inciderà direttamente sulle pensioni Enpam, agganciate invece all’inflazione.
Con l’aggravarsi della pandemia alcune modifiche sostanziali da apportare al sistema previdenziale – così come si era sperato da parte dei sindacati nei primitivi incontri al Ministero del lavoro – sono venute meno. E il carniere dei desiderata è rimasto sostanzialmente vuoto.
Uniche eccezioni la conferma del congelamento dell’effetto del Pil sul meccanismo di rivalutazione dei montanti e la proroga, prevista dal Documento programmatico di Bilancio per il 2021, delle misure Ape Social e Opzione Donna.
DA DINI AL PIL “CONGELATO”
Dal 1996, con la riforma Dini, coloro che sono integralmente nel sistema contributivo – o anche solamente per alcuni anni nel così detto misto “retributivo-contributivo” – ricevono una pensione calcolata sulla base di quanto versato.
La stessa riforma ha agganciato la rivalutazione del montante contributivo alla media quinquennale del Pil, così che se il prodotto interno lordo cresce, di conseguenza cresce anche l’importo accumulato. Se però, come quest’anno, il Pil cala sono guai.
Nel tempo si sono avute mini recessioni e deboli risalite.
Ma adesso il prodotto interno lordo, a causa della devastazione economica causata dal Covid, si prevede in allarmante caduta. Si parla del meno 10 per cento o anche di più. Questo determinerebbe una perdita dell’importo dei versamenti prodotti per il pensionamento e di conseguenza della stessa pensione.
Sino ad oggi questo non era ancora avvenuto sebbene si fossero già avute cadute del Pil. Infatti, con un decreto del 2015 il governo Renzi decise che mai le pensioni si sarebbero svalutate e che qualora la media quinquennale del prodotto interno lordo avesse avuto segno negativo sarebbe pesata zero.
La misura è stata ora ribadita negli ultimi incontri e lascia un poco di respiro per il futuro dei pensionandi. Tuttavia, il vantaggio non dura all’infinito, perché è anche previsto che poi si debba recuperare quello “scivolone”. Spalmandolo negli anni successivi, se più favorevoli.
Se la caduta del Pil ha un impatto diretto per i lavoratori iscritti all’Inps ed ex Inpdap, questo non accade per gli iscritti l’Enpam. Il metodo di calcolo della pensione adottato con l’ultima riforma previdenziale dalla Fondazione (contributivo indiretto a valorizzazione immediata), aggancia infatti il meccanismo di rivalutazione all’inflazione che quest’anno dovrebbe girare poco sotto allo 0.
OPZIONE DONNA E APE SOCIALE
Gli altri provvedimenti in ambito previdenziale contenuti nel Dpb per il prossimo anno riguardano la proroga della Opzione Donna, che potrà permettere di andare in pensione anticipata, ma sempre con il ricalcolo contributivo dell’intero importo dell’assegno, a tutte le lavoratrici che matureranno i requisiti (58 anni di età più 35 di contributi) entro la fine del 2020. E poi la conferma dell’Ape sociale, che potrebbe subire una leggera modifica favorevole rispetto al passato, arrivando a comprendere anche i lavoratori così detti “fragili”, che però, al momento, rimangono una platea dai contorni indefiniti.
L’Ape sociale, disciplinato dall’articolo 1 della legge 232 del 2016 (legge di Bilancio 2017), è un sussidio economico (detto anche “reddito ponte”) rivolto ad alcune categorie di lavoratori meritevoli di una particolare tutela da parte del legislatore e che accompagna il pensionato fino al raggiungimento della pensione di vecchiaia (per il 2020 pari a 67 anni).
L’anticipo pensionistico è un progetto sperimentale che consente il prepensionamento, senza alcun onere economico, a specifiche categorie di lavoratori che abbiano raggiunto almeno i 63 anni di età. La sperimentazione, la cui durata era stata inizialmente fissata fino al 31 dicembre 2018, con possibilità di proroga per l’anno successivo, è stata prorogata dapprima anche per il 2019 e, quindi, a seguito della Legge di Bilancio per il 2020, anche per l’anno in corso.
Possono fare richiesta di Ape sociale tutti lavoratori dipendenti, sia del settore pubblico che privato, e anche i lavoratori autonomi o i parasubordinati iscritti alla gestione separata Inps che si trovino in una delle condizioni di particolare tutela individuata dal legislatore.
Spetta ai disoccupati involontari (licenziati) che abbiano esaurito integralmente la prestazione per disoccupazione o mobilità da almeno tre mesi; ai soggetti che assistano, al momento della richiesta e da almeno 6 mesi, il coniuge o un parente di primo grado convivente con handicap in situazione di gravità (legge 104) e, dal 2018, anche un parente o un affine di secondo grado convivente; agli invalidi civili che presentino una riduzione della capacità lavorativa, accertata dalle competenti Commissioni sanitarie, almeno pari al 74 per cento; ai lavoratori dipendenti che svolgano da almeno 7 anni negli ultimi 10, oppure almeno 6 anni negli ultimi 7, attività lavorative per le quali è richiesto un impegno tale da rendere particolarmente difficoltoso e rischioso il loro svolgimento.
Prerequisito fondamentale è poter far valere un minimo di 30 anni di contributi (36 anni per chi svolge attività gravose). Ai fini del perfezionamento del requisito contributivo (30-36 anni), si tiene conto di tutta la contribuzione versata a qualsiasi titolo all’interno delle gestioni che rientrano nell’ambito di applicazione della norma.
Sono, però, pertanto esclusi i contributi maturati all’interno di qualsiasi Cassa libero-professionale.
Claudio Testuzza