Solidarietà e ricerca, l’impegno delle donne

Nata 45 anni fa con l’obiettivo di garantire maggiori tutele alle mogli dei medici che lavoravano negli studi senza riconoscimenti legali, l’associazione mogli medici italiani oggi si è aperta alle professioniste del settore sanitario. il racconto di come la passione è diventata presenza nel sociale, dai defibillatori nei licei al finanziamento di progetti nazionali sulle malattie rare

Sono oltre tremila, in ogni regione italiana. Nella vita lavorano come professioniste, ricercatrici, casalinghe, medici. Si sono ritrovate a Milano, per una due giorni tra approfondimenti sulla nutrigenetica, medicina di genere e momenti conviviali come concerti di musica da camera e visite all’Expo. A farle incontrare è stata la decisione di dedicare parte del loro tempo all’Associazione mogli medici italiani, che tra iniziative di solidarietà sul territorio e il finanziamento a progetti di ricerca di rilevanza nazionale festeggia quest’anno il 45ennale di attività.

Ma a unirle davvero è qualcosa di più profondo: “Probabilmente quello che ci lega è il fatto di vivere in maniera differente il lavoro nostro o dei nostri famigliari” – dice Alida Bertelli, modenese, mentre distribuisce opuscoli e informazioni al banco di accoglienza. “Mio marito è medico come mia figlia che è partita pochi giorni fa per l’Afghanistan e solo per poche ore ha evitato di essere coinvolta nel raid sull’ospedale di Kunduz, dove avrebbe dovuto trovarsi. È del tutto naturale che il lavoro dei nostri cari non resti fuori dal portone di casa, ma sia presente in tutta la loro giornata. E, di conseguenza, nella nostra”.

MRC_0709All’inizio l’Ammi si era data l’obiettivo di garantire maggiori diritti alle mogli dei professionisti che lavoravano come assistenti nello studio del marito, ma non erano riconosciute dalla legge. Nel corso degli anni l’attività si è ampliata con l’organizzazione e la raccolta fondi per iniziative di carattere locale, fino a comprendere da qualche anno premi per il finanziamento alla ricerca e alla medicina di genere o pediatrica. “Con gli anni al nostro nucleo storico di età più avanzata si è affiancata una nuova generazione di donne che lavorano nel settore sanitario, come psicologhe, ricercatrici, studiose nel campo della biotecnologia” spiega la presidente, Maria Grazia Tatti (nella foto a sinistra). “A livello nazionale abbiamo finanziato quest’anno un premio per la ricerca sulla farmacologia di genere e un contributo per le malattie rare metaboliche e alimentari, mentre a livello locale le sezioni si organizzano in piena libertà”.

A Modena per esempio è stato finanziato un progetto per la dotazione di defibrillatori a diversi licei cittadini, insieme all’organizzazione di corsi di formazione per garantirne l’utilizzo corretto. In altre città l’Ammi organizza incontri serali di approfondimento e divulgazione, seminari di aggiornamento, gite culturali e momenti di raccolta fondi come serate di beneficienza o anche tornei di burraco. “A volte riusciamo a coinvolgere alcuni sponsor, ma soprattutto in questo momento è complicato farlo con continuità e per questo cerchiamo di usare un po’ di inventiva” dice Tatti, raccontando come l’Ammi non si trasformerà in onlus pur avendone le caratteristiche proprio perché non avrebbe i fondi per certificare i propri bilanci. “Ci serve il supporto di altre donne come noi, di giovani a cui magari il nome della nostra associazione non piace perché lo associano a una casta, o al timore di perdere la propria identità”, sostiene.

Mentre parla, la sua mano corre quasi involontariamente verso la foto del marito, appoggiata dietro al microfono. “Sa che qualche anno fa, quando abbiamo scoperto la sua malattia, è stato lui a impedirmi di abbandonare l’associazione per assisterlo negli ultimi mesi? Mi ha detto di non farlo, sapeva quanto fosse importante per me”. Sorride. “No, non si perde la propria identità a essere la moglie di un medico. Di questo non potrei essere più sicura”.

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Andrea Le Pera

@FondazioneEnpam