Nella testa di chi processa i medici

Oltre un anno e mezzo dopo l’entrata in vigore della legge Gelli, nei tribunali la situazione per i medici è esattamente identica a prima.

Tiziana Siciliano, il procuratore aggiunto che presso il Tribunale di Milano coordina il pool di magistrati impegnato sui reati di ambiente, salute e lavoro, è brutale nella sua analisi.

Il numero di denunce presentate nei confronti dei camici bianchi è esorbitante, tanto che nel solo capoluogo lombardo durante il 2017 sono stati iscritti circa 300 fascicoli, quasi uno al giorno. Circa il 30 per cento non vede il processo perché la denuncia viene archiviata. Tuttavia il carico di lavoro per i giudici è comunque elevatissimo, visto che le richieste di archiviazione devono essere motivate e richiedono tempi consistenti.

La parte restante, che riesce ad arrivare a processo, vede una condanna dei medici in circa un caso su cinque. Ma ciò che sorprende è che nei processi continuano a svolgere un ruolo fondamentale i consulenti tecnici, perché mancano le linee guida che secondo la legge Gelli dovrebbero rappresentare il punto di riferimento dei giudici nel valutare il comportamento dei camici bianchi.

Di fronte a un atteggiamento culturale che considera la salute un bene di consumo, il risultato è che la tensione in aumento tra medico e paziente continua a non trovare sfoghi istituzionalizzati diversi rispetto alle vie legali, a differenza di quanto avviene in altri paesi. E in qualche caso, secondo Siciliano, a peggiorare le cose contribuiscono anche atteggiamenti “scortesi” che non sono isolati tra i professionisti.

“Mi rendo conto che sia antipatico impersonare il ruolo di Cassandra evocando scenari drammatici, ma il livello di confusione in questo momento è aumentato – dice Siciliano –. Nel passaggio dal decreto Balduzzi alla legge Gelli-Bianco, non so quale scenario possa essere considerato più favorevole per i medici”.

La legge Gelli quindi non funziona?
Premetto: stiamo parlando di una norma entrata il vigore il 1° aprile 2017, e per i tempi della giustizia è ancora prematuro fare un bilancio. Quello che è evidente tuttavia è che il pilastro su cui si fondava la legge, cioè l’individuazione di linee guida, semplicemente non esiste.

Perché le linee guida sono fondamentali?
Il principio su cui si basa la legge è quello di tipizzare le condotte corrette. In questo modo il medico, mantenendo la propria responsabilità nell’individuare la patologia e la cura, si sente rassicurato. E il giudice è vincolato nella sua decisione da modelli predeterminati. L’obiettivo è di innescare un processo virtuoso che avrebbe un impatto anche sul fenomeno della medicina difensiva. Intendiamoci, è tutto molto giusto e corretto: ma a oggi è qualcosa che esiste solo sulla carta.

In assenza di linee guida il consulente capace di scrivere meglio diventa il più convincente

Dove risiede il problema?
In Italia abbiamo 840 società scientifiche, ma attualmente nessuna ha ancora ricevuto l’accreditamento per emanare linee guida. [ndr: Il ministero della Salute ha accreditato 293 società nei giorni successivi all’intervista].

Dovranno essere accreditate e poi potranno iniziare a pubblicarle, il che non lascia prevedere tempi ristretti considerando anche l’entità dei fondi dedicati alla ricerca scientifica.

Senza linee guida, i giudici come fanno a decidere?
Esattamente nello stesso modo in cui facevano prima. Secondo la Cassazione, in assenza di quelle nazionali possono essere considerate buone pratiche le linee guida estere.

Il pubblico ministero prima, e il giudice dopo, devono analizzare la documentazione per valutare la condotta del medico.

A titolo di esempio, quando mi sono occupata del caso della clinica Santa Rita a Milano ho letto 75mila cartelle cliniche in due anni. Per consentirne la valutazione entra in gioco il ruolo dei consulenti, con il risultato che spesso quello capace di scrivere meglio diventa il più convincente.

Serve un nuovo intervento legislativo?
No, ora c’è un problema di attuazione della legge. Piuttosto, serve intervenire a livello culturale.

Cosa intende?
Trent’anni fa il medico era sostanzialmente intangibile, godeva di una specie di impunità che gli veniva da una sorta di emanazione divina del ruolo. Poi, con un lento ma inesorabile aumento, si è trovato catapultato in uno scontro costante con i propri pazienti.

A cosa è dovuto questo cambiamento?
Intanto a un maggior livello culturale medio, che di per sé avrebbe reso il rapporto più paritario. Tuttavia si è combinato con una falsa informazione: chiunque può andare su Wikipedia, farsi un’autodiagnosi, quindi recarsi dal medico con lo scopo di sentirsela confermare. Poi aspettative troppo elevate, che fanno dimenticare l’evidenza secondo cui a una certa età è molto probabile che si muoia. Infine non mancano gli interessi economici.

Non è piacevole dal mio punto di vista camminare nell’atrio dell’ospedale Niguarda, uno dei centri di eccellenza sanitaria del nostro paese, e leggere a caratteri cubitali su un manifesto: ‘Sei vittima di un caso di malasanità? Contattaci per un risarcimento’.

Trent’anni fa il medico era sostanzialmente intangibile. Poi, con un lento ma inesorabile aumento, si è trovato catapultato in uno scontro costante con i propri pazienti

Dal suo punto di osservazione, i medici come stanno reagendo?
Di certo si sono trovati di fronte un contesto che confligge con un rapporto ideale con il paziente. Sia per l’ambiente in cui operano, e penso soprattutto alla scarsa formazione del personale paramedico, sia per i condizionamenti erronei di cui parlavamo prima. Non voglio generalizzare, tuttavia è innegabile che in certi casi l’atteggiamento saccente, o addirittura la maleducazione di alcuni medici, sia tale che il paziente esca arrabbiato dall’ospedale e deciso a ottenere un risarcimento.
Paradossalmente, anche se è stato curato nel modo migliore possibile.

Quale potrebbe essere una via di uscita?
Potrebbe essere utile un filtro maggiore contro le cause che rappresentano un’evidente strumentalizzazione a fini monetari, e dico questo perché il mio dipartimento è uno dei più oberati a Milano. Oppure introdurre una sorta di camera di conciliazione, che favorisca una soluzione extra giudiziaria. Non ho una soluzione miracolosa, ma la situazione, lasciata così come è oggi, sta andando fuori controllo.

Andrea Le Pera

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