A ciascuno il suo mestiere

La nostra Costituzione prevede che una parte del reddito debba essere obbligatoriamente differita a fini di previdenza per garantire una rete di protezione sociale. Compito dell’Enpam è realizzare questa rete e trasformare il reddito differito in pensioni, assistenza e welfare strategico di sostegno alla formazione e al lavoro.

L’ingente patrimonio che l’Ente ha accumulato, infatti, è composto di contributi accantonati. Esiste per garantire la tenuta del patto generazionale, a tutela dei giovani attuali e futuri. Poiché altro non è che una somma di contributi messi da parte, deve essere usato solo per il suo scopo: finanziare le prestazioni.

Per preservarlo e farlo crescere lo gestiamo nella logica della prudenza, ben sapendo che pensioni e assistenza devono essere pagate sia con i contributi che nascono dalla professione che dalla redditività degli investimenti. Questo patrimonio deve servire a darci sicurezza, che perseguiamo facendo attenzione a che non si sostanzino dei rischi negativi. Tra i più rilevanti che incombono oggi, oltre a quello demografico, economico e tecnologico, c’è il rischio normativo. L’instabilità delle regole ci devasta.

Per anni ci hanno cambiato le regole in corsa, fissandoci parametri di sostenibilità sempre diversi e impedendoci in ultimo di far conto sul patrimonio, come se non fossero soldi degli iscritti. Oggi, forti di un bilancio più solido che mai, possiamo autorevolmente chiedere: è sensato continuare a misurare la sostenibilità senza computare il patrimonio – o meglio, i contributi accantonati – tra le risorse di garanzia? Un patrimonio su cui subiamo una tassazione (iniqua e anomala) che anche quest’anno ci ha sottratto quasi 150 milioni di euro.

E oggi fa comodo che questi contributi accantonati restino tali, non solo per poterli tassare ma anche per poterne incanalare l’investimento. Infatti mentre a livello europeo, l’Ocse e l’Unione definiscono in positivo dei principi regolatori di indirizzo sugli investimenti, incentrati sulla governance e sul presidio del rischio, in Italia tira un’altra aria.

Si immaginano regole fatte di limiti, tetti e vincoli, accompagnate però da generiche indicazioni a fare investimenti strategici su un Paese in cui la situazione del rischio non è purtroppo comparabile con quella dei nostri omologhi stranieri, nostri competitori in un mercato che corre e non fa sconti. Fortunatamente di recente la Corte costituzionale si è pronunciata su di noi sottolineando che la nostra autonomia deve essere rispettata e facendo valutazioni positive anche di tipo comparativo con la previdenza pubblica.

Confortati dai giudici della Consulta, continuiamo a ribadire la nostra autonomia e a voler seguire procedure di autoregolamentazione per poter gestire le nostre risorse tra evidenze di mercato, buone pratiche e attenzione al lavoro.

Le esigenze del sistema Italia, che ci garantisce il flusso contributivo, vogliamo continuare a sostenerle in maniera appropriata.

Alberto Oliveti*

*Presidente della Fondazione Enpam

@FondazioneEnpam

tratto da Il Giornale della Previdenza n. 2 del 2017