Come stanno le giovani dottoresse
Quando stava per entrare in sala parto per dare la vita al suo primo figlio, la dottoressa di famiglia siciliana ha sentito squillare il suo telefono. In linea c’era la collega che la sostituiva nel suo studio, per comunicarle che avrebbe rinunciato all’incarico.
Il ricorrente rebus di trovare un sostituto è diventato un rompicapo drammatico per la pediatra di libera scelta romagnola, quando la vita di suo figlio di pochi mesi era appesa a un filo, ricoverato con lei per le conseguenze di un’infezione. In quel momento ha dovuto dividersi tra l’assistenza al piccolo e il solito dilemma: chi mi sostituisce in studio?
PAROLA ALLE CONVENZIONATE
Sono alcune delle testimonianze condivise da dottoresse convenzionate nel corso di un forum–intervista organizzato dal Giornale della previdenza per inda- gare sulle esigenze emergenti di una professione sempre più in rosa. Racconti di vita vissuta, che riflettono l’ordinario disagio di vivere in bilico tra le difficoltà della professione in camice e della maternità. Un’occasione per fare il punto su problemi, esigenze e soluzioni sperate.
Tra gli elementi maggiormente ricorrenti emersi nel corso dell’intervista online, spiccano la difficoltà di reperire sostituti nel periodo della maternità, il desiderio di un sistema di tutele nel periodo dell’allattamento, un adeguamento dell’importo e delle tempistiche dei sussidi per la genitorialità. Chi ha parlato di sé sarà citata solo per nome, per non rendere riconoscibili i figli.
IL RISCHIO DEL PANCIONE
C’è chi racconta di essere diventata mamma mentre era ancora sostituta. “Tra nausee e dolori addominali ho dovuto affrontare il problema di stare male da subito e non potere lasciare il lavoro”, dice Elena. In quel momento “si è incrinato qualcosa, perché per la prima volta dovevo tutelare la mia salute, quella di mio figlio, ma se avessi lasciato il lavoro non avrei avuto nessun introito immediato”.
“Abbiamo testimonianza di colleghe che sono dovute andare a lavorare con una preeclampsia in corso, durante fecondazioni assistite o una gravidanza a rischio”, dice invece Diletta. Fortunatamente alcune cose sono cambiate: da quest’anno la gravidanza a rischio è diventata una tutela previdenziale vera e propria: si ha diritto alla stessa indennità come se si fosse assenti per maternità. Anche se il fattore tempo resta: “Le indennità arrivano mesi dopo, le spese sono adesso”, puntualizza Alice.
Nel caso delle convenzionate per la medicina generale (non le pediatre di libera scelta, perché l’accordo nazionale non lo prevede) c’è anche l’assicurazione per i primi trenta giorni di malattia, che copre le assenze per patologia.
DUE ANNI PRIMA
Se una gravidanza durante la gavetta comporta le sue difficoltà, diventare mamma con la convenzione in tasca ne comporta potenzialmente altre. L’indennità di maternità corrisponde all’80 per cento del reddito professionale. Per legge, però, l’importo è calcolato non sul reddito dell’anno precedente ma di quello prima ancora.
“Dal momento che adesso entriamo in convenzione molto prima rispetto al passato, i due anni precedenti sono molto spesso quelli del corso di formazione quando la borsa percepita è molto bassa”, racconta Noemi, medico di famiglia. “È vero che c’è un importo minimo di legge e che l’Enpam lo aumenta ancora, per cui si ha comunque una tutela garantita – ricorda –, però può non essere sufficiente per coprire le spese dello studio e del sostituto”.
E per chi è massimalista? Simona fa l’esempio: “Un medico di medicina generale, di sesso femminile, in età fertile, prende la convenzione, diventa subito massimalista e inizia ad avere figli. Il suo reddito lordo è alto ma l’indennità ha un tetto, e al massimo può arrivare a poco più di 5.600 euro al mese. Anche questo limite è fissato dalla legge, ma la Cassa ha la facoltà di fissare un importo massimo più elevato tenendo conto delle capacità reddituali e contributive della categoria professionale e della compatibilità con gli equilibri finanziari dell’ente”, dice con tono propositivo citando la norma e ricordando le tante spese per chi ha personale infermieristico e segreteria.
“Se poi si fa un secondo figlio due anni dopo, l’indennità finirà per essere calcolata sul periodo in cui si è state assenti per maternità, quindi un’ulteriore riduzione”, continua.
CAMBIAMENTI
“Quando ho iniziato io a lavorare tanti anni fa non avevamo niente come previdenza per le donne – ricorda Monica Oberrauch, che ha partecipato all’intervista come consigliera di amministrazione dell’Enpam –. Ai tempi eravamo molto sotto pressione e abbiamo cercato di mantenerci assolutamente competitive con i nostri colleghi uomini, e non sempre questo ha giovato per la salute. Sono molto contenta che ci siano stati tanti cambiamenti anche a livello legislativo, ma soprattutto nella cultura della società. Come in altre categorie, sono poche le donne medico che fanno figli. Cercheremo di fare di tutto per non far perdere la voglia alle colleghe di fare figli e di dare la possibilità di stare vicino a loro e di goderseli, a partire dall’allattamento”.
“Io ho una figlia che oggi ha 27 anni e una volta effettivamente non avevamo nulla per la maternità, non tutte le donne medico della mia generazione hanno avuto un supporto e una rete familiare – dice Antonella, pediatra –, posso assicurare che è stato molto difficile. Tante colleghe hanno finito per separarsi o divorziare e i figli ne hanno risentito. Anche io mi auguro che si possa sempre più supportare le madri non solo nei primi anni ma anche negli anni successivi. Mia figlia ha rischiato due volte di morire e non ho avuto sostegni. Ma in condizioni come queste io devo potermi dire ‘mio figlio sta male, e così male che io non devo pensare a trovarmi un sostituto’”.
EMERGENZA SOSTITUTI
Un diritto a non preoccuparsi che è sancito dagli accordi convenzionali nazionali: quando non ci sono le condizioni per organizzare la propria sostituzione, deve pensarci l’Azienda (articolo 36 Acn medicina generale e articolo 34 della pediatria di libera scelta). Punto.
Il problema è che a causa della programmazione carente del passato, oggi in molte aree del Paese i sostituti non si trovano. E per senso di responsabilità o senso di colpa, le giovani mamme convenzionate si ritrovano a fare sforzi che si traducono in racconti allucinanti: “Mi sono trovata in ospedale, in travaglio, ancora al telefono con il sostituto che dovevo seguire perché appena uscito dall’università, e senza sapere se una settimana dopo sarebbe rimasto”, dice Giulia.
Per molte la situazione è migliorata una volta entrata in un gruppo o in una rete. “Le soluzioni, secondo me, sono le associazioni e le future aggregazioni funzionali territoriali, all’interno delle quali ci si può sostituire tra colleghi”, dice Francesca, con la prima figlia nata tre settimane prima di aprire l’ambulatorio e una seconda maternità avuta successivamente. “Io sono stata fortunata con i sostituti – prosegue – ma fra poco nel mio stesso studio arriverà una collega, madre di 3 figli, e l’idea è proprio quella di sostenerci a vicenda in futuro”.
“Bisogna pensare all’allattamento e alle necessità nei mesi successivi ai cinque di assenza canonici”, dice Silvia.
“Da pediatre siamo bravissime a insegnare alle altre madri come gestire il biberon e la ripresa del lavoro – racconta Elena –. Poi quando è capitato a me, non c’è stato verso. O lo allattavo io al seno o mio figlio non mangiava. Una frustrazione enorme”