Terapie digitali, vantaggi e zone grigie da superare
Le terapie digitali avanzano a grandi passi, ma per svilupparne appieno il potenziale è necessario individuare degli standard universalmente riconosciuti che consentano di superare il quadro frammentato e le zone grigie che ancora esistono.
VANTAGGI E LIMITI ATTUALI
Le terapie digitali – chiamate anche Digital Therapeutics o Dtx – sono ormai un trend in crescita esponenziale nel mondo digital health, con il potenziale di rivoluzionare la medicina moderna. Si tratta di interventi terapeutici somministrati direttamente ai pazienti utilizzando software basati sull’evidenza scientifica e valutati clinicamente per trattare gestire e prevenire un ampio spettro di malattie e disturbi. I vantaggi sono molteplici, e coinvolgono medici, pazienti e anche il sistema sanitario.
Tra i principali punti a favore delle Terapie digitali, ad esempio, c’è quello di essere facilmente accessibili tramite dispositivi di proprietà del paziente. In questo modo si riescono a fornire terapie di alta qualità – e molto spesso con un alto livello di personalizzazione – anche a persone che altrimenti avrebbero difficoltà di accesso alle cure: grazie all’uso di smartphone, tablet e altri device, le distanze fisiche vengono eliminate.
Un ulteriore vantaggio riguarda la privacy: curando a domicilio, si abbassa lo stigma associato alla somministrazione di alcune terapie.
Dal punto di vista dei professionisti sanitari, le Digital Therapeutics estendono la capacità di cura dei medici, supportano in ambienti con diversi gradi di infrastrutture. Inoltre, ottimizzano i risultati clinici e abbassano i costi complessivi delle cure.
Altri vantaggi delle terapie digitali sono disponibili in questo video della serie “Pillole di Digital Health” presente sul portale Tech2Doc.
Dato il loro potenziale rivoluzionario, le Dtx stanno assumendo modalità di utilizzo che li avvicinano sempre di più ai dispositivi medici e ai farmaci. Tutto bene quindi? Insomma.
Esiste infatti una “zona grigia” da un punto di vista legislativo e di regolamentazione. Ad oggi sono le singole nazioni che stilano processi, requisiti e standard regolatori. Una situazione che genera estrema frammentazione, può provocare costi e ritardi negli sviluppi.
Per questa ragione gli enti normativi e di sanità pubblica si stanno interrogando su come muoversi con questi strumenti e superare la “zona grigia”.
Alcuni paesi l’hanno già fatto, come esamina l’approfondimento “Andare oltre la “zona grigia” delle Digital Therapeutics”.
Dopo aver passato in rassegna la situazione di Stati Uniti e Regno Unito, l’articolo si sofferma sull’Unione europea dove, nel prossimo futuro, è probabile che un numero maggiore di nuove Dtx potrebbe ottenere l’accesso al mercato, grazie all’interesse di diversi stakeholder.
L’Ue non ha ancora rilasciato un processo di approvazione centralizzato per quanto riguarda le terapie digitali e le app digital health. Dunque il framework di rimborso deve inserirsi in sistemi sanitari già esistenti e diversificati, con barriere in entrata notevoli e frammentate.
Alcuni requisiti generali, tuttavia, sono condivisi da tutti i principali paesi, come mostra questo articolo.
Un caso virtuoso è rappresentato dalla Germania, con i Digitale Gesundheitsanwendungen (DiGA), dispositivi medici di classe I o IIa basati su tecnologie digitali, con un obiettivo medico raggiungibile attraverso le funzioni del prodotto e che supporta il riconoscimento, monitoraggio, trattamento e riduzione dei sintomi di determinate condizioni.
Un DiGA, inoltre, non serve alla prevenzione primaria ed è utilizzato solo dal paziente o dal paziente e dall’operatore sanitario.
Per ottenere un’approvazione DiGA definitiva – e la rimborsabilità del prodotto dal sistema sanitario tedesco – è necessario condurre un RCT, ossia uno studio clinico randomizzato che ne dimostri l’efficacia.
Gli RCT sono considerati il “gold standard” per la valutazione degli interventi terapeutici. Sono necessari per dimostrare la validità clinica di una DTx.
Mentre le agenzia governative provano a definire i percorsi normativi più adatti, comunque, gli sviluppatori possono autoregolarsi: la direzione è quella di mettere il paziente al centro e coinvolgere medici e operatori sanitari.
Claudia Torrisi