Pensieri alla soglia della pensione
Tra il boom dei pensionamenti e l’arrivo di risorse aggiuntive per la formazione nelle cure primarie, la Medicina generale vive un avvicendamento generazionale mai visto prima.
Un momento irripetibile raccontato al Giornale dalla Previdenza dai protagonisti di una stagione che ora passano il testimone, non senza qualche nostalgia.
Pubblichiamo qui la lettera inviata alla soglia del pensionamento da Damiano Parretti, medico di medicina generale di Perugia, 70 anni il prossimo 16 giugno, responsabile nazionale della Scuola di Alta Formazione Simg.
Pensieri alla soglia della pensione
Ho un subbuglio di pensieri ed emozioni, le ultime settimane sono state difficili. Arrivo al traguardo, pur se stanco, con la stessa spinta interiore con cui sono partito; forse di più. Molti non capiscono… Il motivo sta in una parola: la passione.
Vado in pensione dopo quasi 44 anni di attività di medico di medicina generale. Ho un subbuglio di pensieri ed emozioni, le ultime settimane sono state difficili. Arrivo al traguardo, pur se stanco, con la stessa spinta interiore con cui sono partito; forse di più. Molti non capiscono… Il motivo sta in una parola: la passione che ho sempre avuto e che continuo ad avere per il nostro lavoro, pur nei molteplici problemi e difficoltà.
Da dove deriva la passione… Da tanti elementi e tanti fattori, il piacere dello studio e della conoscenza, i pazienti che ti danno fiducia, tanti colleghi bravi e dedicati dai quali si impara sempre qualcosa, i profondi rapporti umani che nascono.
Per quanto mi riguarda, un altro elemento, importante, è nato ed è cresciuto nella Simg, è nato nel nostro gruppo, è nato dalle nostre idee condivise e da quando è stato realizzato in passato e si sta realizzando ancora oggi.
In questi giorni ho vissuto un film, il film della mia vita professionale di medico di medicina generale.
Nella mia testa, più che casi clinici, sono scorse persone, storie, situazioni, emozioni, confidenze, amicizie nate dall’insegnamento ricevuto nella dignità della sofferenza o nella gratitudine per un “miglioramento” o una guarigione. Ma soprattutto, la mia sintesi è che alcune storie e la conoscenza vengono prima dei dati e dei numeri, e questa conclusione è alla base del primo di alcuni pensieri che vi trasmetto.
Il primo pensiero è che, se le storie e la conoscenza vengono prima dei dati, diventa difficile lasciare a chi ci subentra l’eredità globale di un paziente: alcune storie non sono contenibili in una cartella clinica, che può essere piena di numeri, di registrazioni, di diari di quanto succede.
L’essere umano non è però sintetizzabile se non in parte in uno strumento tecnico. Nella bellezza di questo concetto sta anche la difficoltà dell’eredità di un paziente. Non a caso abbiamo sempre detto che la nostra disciplina è olistica, quindi difficile, quindi complessa, ma al tempo stesso unica, ineguagliabile e stupenda.
Al di là delle storie e dell’approccio olistico e personalizzato, un secondo pensiero è rivolto alle evidenze scientifiche e alle linee guida, bene prezioso! Sono il caposaldo della parte insostituibile della medicina che definiamo “scienza”.
A livello personale, le penso come tante serate di studio, come dibattito tra colleghi, come eventi formativi, stimolo per un continuo “audit professionale”. Ci danno indicazione su ciò che è appropriato FARE e anche su ciò che è appropriato NON FARE. Credo tuttavia che le linee guida possano essere tanto più utili e preziose quanto più se ne comprendono i limiti.
Le linee guida si riferiscono sempre o quasi sempre ad un ambito o ad una patologia, di fronte ai tanti pazienti comorbidi per i quali di linee guida dovremmo considerarne insieme diverse, non sempre confluenti nelle indicazioni. Qui deve entrare in gioco la buona pratica clinica di un approccio individuale che consideri il rapporto rischio beneficio (anche questo inteso in senso globale) e le conseguenze attese per ogni decisione.
Un terzo pensiero è più metodologico, frutto dell’osservazione e dell’esperienza, ma al tempo deriva dalla mia formazione e dalla mia cultura. Noi, quelli della nostra generazione, siamo nati professionalmente con l’osservazione attenta dei fenomeni e delle persone, ci siamo misurati con l’esercizio meticoloso della semeiotica fisica (già da studenti eravamo stati addestrati a riconoscere un soffio da rigurgito da un soffio da eiezione, un mesosistolico da un pansistolico, e così via…).
Poi via via le mani dei medici hanno perso un po’ di sensibilità, gli occhi un po’ di acutezza, e i fonendoscopi sono rimasti spesso in tasca, perché è sopraggiunta la grande suggestione della diagnostica strumentale. Questo non è bene, la tecnologia deve completare un percorso, non sostituirlo!
Un ecocardio deve seguire una auscultazione per definire meglio possibile una diagnosi o un sospetto diagnostico, non essere prescritto al posto della auscultazione! Attenzione a non far scivolare la medicina verso una disciplina tecnologica, sarebbe una china pericolosa e diventerebbe una pratica arida. “Medicina, scienza ed arte”, restiamo un po’ artisti! I nostri pazienti hanno bisogno di ascolto, dei nostri occhi e delle nostre mani…
Un quarto pensiero è frutto di quanto accaduto negli ultimi periodi di Covid, nei quali abbiamo surrogato l’assistenza in presenza con l’assistenza da remoto; abbiamo scoperto le grandi potenzialità della medicina e della consultazione da remoto, che non potranno essere mai più messe nel cassetto, perché abbiamo visto come possano favorire e semplificare i percorsi e le indagini (telemedicina e altre forme) e possano favorire proattività nei contatti e un miglior controllo dei nostri assistiti (teleconsulto e altre forme).
Ma anche questo, il remoto, che sia complementare e non sostitutivo all’assistenza in presenza, perché la percezione fisica, l’osservazione diretta, la VISITA sono gli atti che ci permettono più di tutti gli altri di essere appropriati ed efficaci nei processi di cura.
E poi in un ultimo pensiero penso al cuore dell’essere medico: studiare, ascoltare, osservare, indagare, e cercare di capire sempre la strada giusta da proporre, e per ognuno la strada è diversa, perché sappiamo tutti che le “malattie” sono in fondo entità teoriche, e che quello che esiste veramente è l’unicità della persona che di volta in volta abbiamo davanti.
* Damiano Parretti, Perugia, medico di medicina generale
Responsabile nazionale della Scuola di Alta Formazione Simg