Regioni a caccia di medici per i tamponi rapidi
Arrivano cinque milioni di tamponi rapidi e le Regioni cominciano in ordine sparso a reclutare medici di famiglia e pediatri disponibili, per decongestionare il sistema di diagnosi e tracciamento dei positivi al Covid-19.
TAMPONI IN ARRIVO
La chiusura del bando per l’acquisto di cinque milioni di test rapidi antigenici era stata preannunciata la scorsa settimana dal presidente del Consiglio, Giuseppe Conte.
L’obiettivo è quello di snellire e velocizzare le procedure di tracciamento, tutt’ora concentrate nei drive-in. Da subito Fimmg si era detta disponibile, pur rilevando non poche difficoltà operative. Più cauto Snami, interessato ad approfondire i dettagli dell’iniziativa prima di esprimersi, decisamente contrario lo Smi.
L’acquisto dei kit dovrebbe avvenire nel giro di una decina di giorni. Dopodiché, i test utilizzati nei mesi scorsi negli aeroporti per tracciare gli arrivi, saranno messi anche a disposizione anche dei medici di medicina generale e dei pediatri.
A questi cinque milioni di test rapidi se ne aggiungeranno poi altrettanti, in tempi da definire, a seguito della gara promossa alla fine di agosto dall’Azienda zero del Veneto a cui si sono accodate Emilia Romagna (due milioni di test), Lombardia (1,2 milioni di test), Piemonte (un milione), Lazio (un milione) Friuli, Trentino Alto Adige e Liguria.
SI MUOVONO LE REGIONI
In attesa di definire le procedure operative, le Regioni si sono mosse per sondare la disponibilità dei camici bianchi.
Il Lazio nei giorni scorsi ha pubblicato un bando per acquisire manifestazioni di interesse su base volontaria, sia dei medici di famiglia sia dei pediatri di libera scelta. La domanda deve essere presentata dai singoli professionisti o dal referente dell’Ucp entro venerdì 16 ottobre.
In Veneto la Regione si è già accordata con l’Ulss di Verona. L’intesa prevede che i medici di base e i pediatri di cinque medicine di gruppo integrate eseguano i tamponi rapidi antigenici nei loro ambulatori.
In Liguria invece la Regione ha costituito un tavolo di lavoro con Alisa e le associazioni di categoria per studiare il modo in cui anche medici e pediatri potranno effettuare tamponi rapidi sui propri pazienti. Dalla prima riunione è emerso che gli esami non saranno fatti negli studi privati, ma in spazi pubblici messi a disposizione dai distretti sanitari. La questione della sicurezza e dei protocolli di sanificazione sembra essere uno degli ostacoli più rilevanti da superare per far partire gli esami.
TEST RAPIDO E LIMITI
“Il test rapido si effettua sul materiale prelevato da tampone nasale e la risposta arriva in meno di un’ora – spiega Maurizio Sanguinetti, ordinario di Microbiologia e direttore del dipartimento di Scienze di laboratorio e infettivologiche del Policlinico Gemelli – . Se positivo, significa che è in corso un’infezione attiva da coronavirus. Tuttavia, in caso di risultato negativo non è in grado di escludere con sicurezza la presenza dell’infezione”.
DIAGNOSI PRECLUSA
Resta inoltre da chiarire la procedura di diagnosi della positività del paziente.
Infatti, se il tampone rapido dovesse dare esito positivo, è necessario procedere al tampone molecolare per confermare la diagnosi. Il problema è che, secondo il Centro Studi della Fimmg, nel 50 per cento delle province italiane, il medico di medicina generale non è autorizzato a richiedere direttamente il tampone per la ricerca biomolecolare del nuovo coronavirus.
Gianmarco Pitzanti