Dal lettino alla poltrona, lo psichiatra al cinema
Seduttori, problematici, verbosi, inaffidabili. Attraverso un velo di celluloide gli specialisti della salute mentale diventano tutto quello che nella realtà non dovrebbero essere. Il cinema trasfigura lo psichiatra in uno stereotipo, che “da un lato rassicura il paziente, ma allo stesso tempo genera diffidenza nei confronti di un percorso terapeutico”, commenta al Giornale della Previdenza Ignazio Senatore. Lo psichiatra della Federico II di Napoli alza il velo sul rapporto conflittuale tra medicina e cinema, raccontandosi della sua passione di critico cinematografico e nella recente collaborazione al film ‘Lacci’ di Daniele Luchetti, in questi giorni in programmazione nelle sale.
Lo specchio deformante del cinema restituisce spesso una figura distorta del professionista della salute mentale. È così per l’Ingrid Bergman di ‘Io ti salverò’, per il ‘Caruso Pascoski’ di Francesco Nuti, psicanalista al limite del surreale, o per il caricaturale Nanni Moretti di ‘Habemus Papam’.
In ‘La stanza del figlio’ lo stesso Moretti aveva al contrario “ritratto su pellicola – spiega Senatore – una delle versioni più fedeli dell’analista che sia stata messa sullo schermo.
In altri film lo psichiatra è messo in disparte. In ‘Qualcuno volò sul nido del cuculo’, per eccellenza il film denuncia sulle cure psichiatriche, lo specialista non compare se non per qualche istante”.
DIAGNOSI PER IMMAGINI
Se il cinema si intende poco della figura dello psichiatra, lo specialista partenopeo ha trovato nella settima arte un’attività complementare alla pratica clinica. “I film non curano – precisa il medico – ma possono aiutare a fare autodiagnosi. Possono raccontare a un paziente la propria disfunzione, attraverso una metafora”.
“Con i pazienti parlo spesso di cinema. A seconda del disturbo di cui hanno necessità di prendere coscienza posso consigliare loro la visione mirata di film come ‘Attrazione fatale’ o ‘Chi ha paura di Virginia Woolf?’”, continua il critico cinematografico in camice.
TRA IPPOCATE E TRUFFAUT
Dal sito web personale di Ignazio Senatore si scopre che il 66enne napoletano, medico e psicoterapeuta dell’area dei disturbi del comportamento alimentare della Clinica psichiatrica dell’Università ‘Federico II’ di Napoli, è ideatore e giurato in rassegne cinematografiche, autore di diversi libri, pubblicista. Come accennato, è comparso nel film ‘Lacci’, pellicola che ha aperto l’ultima Mostra del cinema di Venezia.
Curiosamente, in quel cameo – poi tagliato nella versione finale – lo psichiatra non interpretava uno specialista impegnato a districare le spire del rapporto disfunzionale di una coppia, ma l’avvocato che assisteva in tribunale Alba Rorwacher nella separazione da Luigi Lo Cascio.
“Sono figlio di un pediatra e di un insegnante di lettere. Per questo sono sempre stato combattuto tra la letteratura e la medicina”, dice Senatore, che racconta di aver trovando una valida sintesi nel cinema, formandosi con i lavori di maestri come Truffaut, Antonioni, Bertolucci, Visconti e Totò. Sua la rassegna ‘I corti sul lettino, cinema e psicanalisi’ e altri concorsi che hanno avuto in giuria Ettore Scola, Alessandro Haber e Marco Risi.
SERIAL KILLER E REGISTI SUL LETTINO
Ribaltando l’analisi precedente, il cinema non rende giustizia nemmeno ai pazienti, occupandosi soprattutto “di casi estremi e rari come i serial killer o soggetti con personalità multiple. Chi ha un disturbo viene spesso rappresentato come brillante e fascinoso e le più svariate patologie sono spesso ricondotte a un grosso trauma infantile, come accade in ‘Marnie’ di Hitchcock o in ‘La donna dai tre volti’ di Johnson. Si tratta di altri stereotipi ricorrenti, ma nonostante questo posso dire che il cinema mi ha insegnato moltissimo sulla natura umana”.
È lungo invece l’elenco di registi che hanno avuto a che fare con la psicanalisi. “So che Bellocchio, Bertolucci e Fellini sono stati in analisi – dice Senatore – per avvalersi di quella confessione laica con lo specialista, senza giudizi, che permette di conoscere meglio se stessi”.
“Dino Risi, invece, era laureato in Medicina – continua a raccontare il medico partenopeo – ma lasciò gli studi una volta frequentata la clinica psichiatrica, davanti a pazienti che secondo lui ‘non sarebbero mai guariti’. Mentre David Lynch rifiutò di andare in analisi, una volta convinto che questa avrebbe potuto spegnere la sua ‘follia’ creativa”.
“Noi psichiatri – conclude Senatore – abbiamo la necessità di raccontare storie per mantenerci in vita, abbiamo quella che chiamo la ‘sindrome di Shahrazād’. Sotto questo aspetto, ‘Baci rubati’, ‘Blade Runner’, ‘Fitzcarraldo’, ‘Totò, Peppino e la malafemmina’, rimangono i miei film preferiti, fonte continua di ispirazione”.
Antioco Fois