Venezia sott’acqua, l’odissea dei camici bianchi

Sotto il cielo di Venezia si cerca di ritrovare la normalità, dopo che la furia dell’acqua alta ha lasciato una città che “sembra attraversata da una guerra”, come la descrivono i medici della ‘Serenissima’.

La città abituata a convivere col carattere volubile della laguna non era pronta a una marea rigonfia fino a 187 centimetri, che martedì della scorsa settimana ha premuto fino a invadere le calli e irrompere anche in studi medici e ambulatori.

I camici bianchi lo raccontano come l’evento più devastante dopo quello del ’66, che in una settimana si è ripetuto altre due volte con acque oltre i 150 centimetri, riducendo Venezia a un catino salmastro e fangoso, impercorribile per medici e pazienti.

 

GIORNI DA INCUBO

L’incubo inizia martedì, quando “eravamo preparati a 150 centimetri di livello”, dice Marco Scatiggio, 58 enne veneziano, medico di medicina generale che racconta di avere avuto lo studio “tre volte sott’acqua”.

“Quando il sistema di sirene che comunica la previsione della marea ha iniziato a segnalare un livello sempre più alto, fino ai 190 centimetri, mi sono precipitato in studio”.

Erano passate le otto di sera, la laguna era un ribollire di onde, sferzata da un vento fortissimo.

“Mi sono trovato al buio – prosegue Scatiggio – da solo. Lo studio era allagato e vedevo le cose andare sott’acqua. Sembrava un film dell’orrore, era da piangere”.

A Venezia ogni proprietario, ogni inquilino conosce il livello di guardia del proprio stabile.

Giovanni Favero, odontoiatra 41 enne di Treviso, ha testato per la prima volta quello del palazzo dove da due anni ha lo studio.

“Ero completamente impreparato a un’acqua alta che durasse per cinque giorni di fila. Nell’androne del palazzo – racconta – ho trovato un metro d’acqua, ma fortunatamente ho lo studio al primo piano”.

“Quando la marea è andata sopra i 155 centimetri ha inevitabilmente invaso il mio studio”, è invece il resoconto di Paolo Camilla, medico famiglia.

Non sono stati un argine valido i pochi gradini che spesso rialzano gli studi medici al piano terra, con l’acqua che in molti casi ha danneggiato strutture e arredi, messo fuori uso computer, frigoriferi, climatizzatori, apparecchiature professionali.

 

VACCINI, ‘TESORETTO’ DA SALVARE

Con l’acqua alle caviglie e i frigoriferi fuori uso, l’emergenza della prim’ora è stata cercare di mettere in salvo quel ‘tesoretto’ di vaccini che i medici hanno in custodia.

C’è chi li ha affidati momentaneamente a bar e ristoranti, mentre al ‘Giustinian’ i medici di famiglia hanno dovuto consegnare le boccette all’Istituto di Igiene.

Per il collettivo di nove camici bianchi convenzionati con la Asl 3, il bilancio parziale è di “otto ambulatori allagati”, racconta il referente, Domenico Merlo.

 

IN STUDIO COL CAPPOTTO

In una città allagata, con un alto tasso di anziani e in piena campagna vaccinale, l’odissea è sia per i pazienti che per i camici bianchi, che lavorano al massimo delle possibilità per garantire l’assistenza.

Un’esigenza sorta dopo diverse ore in cui molti medici sono stati costretti a esercitare “a singhiozzo”, come dice Giuliano Bocus, odontoiatra.

“In studio l’acqua ha raggiunto alcune prese elettriche e per un paio di giorni siamo stati senza corrente. Abbiamo lavorato comunque, senza pc e al freddo, col cappotto indosso. Rispetto a quello che c’è stato, ad alcuni pazienti che hanno perso tutto, ci riteniamo fortunati”, afferma Elisabetta Baldi, medico di medicina generale, veneziana da generazioni.

“In questi giorni non c’è più distinzione negli orari di lavoro, si esercita senza sosta per recuperare il più possibile”, le fa eco Antonello Iovane, 60 enne medico di famiglia.

“Venezia è in ginocchio, sembra ci sia stata la guerra. Ma, nonostante un clima di amarezza e rabbia, la gente si è già rimboccata le maniche per ripartire”, chiosa Riccardo Paniccia, 59 enne, ultimo medico odontoiatra di una generazione di professionisti veneziani.

 

TRA EMERGENZA E TENACIA

Mentre il Consiglio dei ministri ha deliberato lo stato di emergenza per il territorio di Venezia – e molte aree del territorio nazionale, da Matera al Nord Est, dalla Toscana al Friuli Venezia Giulia, fino alle Isole sono in attesa dello stesso provvedimento – la città più bella del mondo cerca di rimettersi in piedi.

La marea rimane sorvegliata speciale e negozi, ristoranti, attività artigianali tentano di riaprire.

Già nel day after di mercoledì molte vetrine riportavano cartelli con la data prevista per la riapertura, con sotto l’incitazione ‘duri i banchi!’. Ossia “teniamo duro!” nel pieno rispetto del dialetto e dello spirito di una comunità che non è abituata alla resa.

Antioco Fois