Perché conviene scrivere semplice*

In una democrazia che aspiri alla trasparenza la comprensione non deve essere negata a nessuno, soprattutto non ai diretti interessati. Eppure il linguaggio delle amministrazioni – che dovrebbero prendere in carico i problemi dei cittadini per risolverli – costituisce un problema da sempre, perché è molto complesso e spesso incomprensibile.

Nasce da una rete complicata di affluenti: il linguaggio giuridico, quello burocratico e quello amministrativo. Ha poi innumerevoli dialetti secondo le categorie che lo usano, ministeri, forze dell’ordine, amministrazioni private, ognuna con la propria terminologia. Il grado elevato di tecnicità è connesso con la sua funzione normativa e prescrittiva e con la necessità di essere univoco, per evitare contestazioni.

A quest’esigenza tipica e razionale, però, si è aggiunta con il tempo una sorta di griffe per la quale gli appartenenti all’amministrazione aggiungono del proprio, dei veri e propri manierismi. Insomma una stratificazione complessa che crea una situazione asimmetrica: le risorse che sono una facilitazione per chi scrive – un magazzino di formule e frasi fatte pronte all’uso – sono al tempo stesso una complicazione per chi legge, che trova molto più ardua la comprensione dei testi così ottenuti.

Vale la pena dunque adoperarsi per il cambiamento perché un linguaggio più trasparente ha molti meriti: è vantaggioso per il ricevente (cioè per il cittadino), come elemento del brand caratterizza l’emittente e, ad ogni buon conto, è facilmente traducibile in un’altra lingua.

‘COME FARE PER’ SEMPLIFICARE

Il linguaggio amministrativo crea una sorta di dipendenza in chi lo adopera che quindi ha difficoltà a staccarsene. Eppure non ci vorrebbe molto a ottenere un cambiamento che, pur conservando l’univocità, la tecnicità e l’autorevolezza necessarie, facilitasse la vita al cittadino.

COM’È

Alcune procedure tipiche del linguaggio amministrativo:

  • incisi;
  • dilazioni (espressioni che allungano il discorso: in riferimento alla sua, si è proceduto a);
  • nominalizzazioni (adempimento, finanziamento, emanazione);
  • costruzioni passive (l’incarico è stato affidato);
  • ‘zeppe’ o parole inutili (relativo, competente, debitamente etc.).

COME DOVREBB’ESSERE

Alcune procedure elementari per una ‘bonifica’ del linguaggio amministrativo:

  • ogni informazione fondamentale in una sola frase;
  • il meno possibile di nominalizzazioni, di incisi, passivi, impersonali, dilazioni;
  • il meno possibile di costruzioni passive, negative, doppio- negative;
  • il meno possibile di pseudo-tecnicismi, arcaismi, zeppe;
  • termini tecnici solo se indispensabili, e magari spiegati a dovere.

Estratto dall’articolo “Il linguaggio amministrativo. Com’è e come dovrebb’essere”, scritto per il Giornale della PrevidenzaÈ possibile scaricare la versione integrale cliccando qui.

CHI È:

Raffaele SimoneRaffaele Simone, professore ordinario di linguistica dal 1980, insegna all’Università di Roma Tre. Ha progettato e diretto opere lessicografiche per la Treccani (Il Conciso, il Dizionario dei sinonimi e dei contrari, Il Treccani) e il Dizionario Analogico della Utet. Tiene corsi, seminari dottorali e visiting professorship in università e centri di ricerca di tutto il mondo (Columbia, Yale, Parigi, New York). L’Università Lund di Stoccolma gli ha conferito la Laurea Honoris causa. Si è occupato anche di semplificazione del linguaggio burocratico lavorando alla semplificazione del modello Unico. Le sue opere sono tradotte in varie lingue.

Raffaele Simone*

Professore ordinario di linguistica, insegna presso Università Roma Tre

@FondazioneEnpam