Opzione donna, come funziona e quando conviene

Oltre ad introdurre Quota 100, il decreto legge licenziato dal governo ripristina anche la cosiddetta opzione donna che consente alle lavoratici dipendenti di andare in pensione anticipatamente con un’anzianità contributiva pari o superiore a 35 anni e un’età pari o superiore a 58 anni (59 anni per le lavoratrici autonome). Valutarne la convenienza non è però semplice.

Nel precedente periodo in cui è stata disponibile, tra il 2008 e l’inizio del 2017, questa via d’uscita ha riscosso un successo crescente arrivando a totalizzare oltre 83mila pensionate, tra cui un numero significativo di donne medico spesso impossibilitate a continuare la propria carriera ospedaliera per il sovraccarico di lavoro, anche notturno, e per i turni sacrificanti gli aspetti personali e familiari.

Il decreto licenziato dal governo ripristina anche l’opzione donna che consente alle lavoratici dipendenti di andare in pensione anticipatamente. Valutarne la convenienza non è però semplice

RITORNO AL PASSATO

Ritorna, quindi, la norma già prevista dall’articolo 1 della legge 243 del 2004 che consentiva di andare in pensione Inps alle lavoratrici in possesso di 57 anni (58 per le autonome ) e 35 anni di contributi entro il 31 dicembre 2015, sempre a fronte però del calcolo dell’assegno con il sistema contributivo invece di quello retributivo-misto a cui avrebbero avuto  diritto in base alla loro storia lavorativo-previdenziale.

Ricordiamo che la scelta fra calcolo retributivo e contributivo a determinate condizioni, poteva interessare tutti. Anche chi era già in attività alla data del 31 dicembre 1995 avrebbe potuto aderirvi su base volontaria, rinunciando completamente al criterio retributivo.

La normativa aveva previsto la possibilità di optare per la liquidazione della pensione contributiva, utilizzando anche le contribuzioni versate entro il 31 dicembre 1995, a condizione che si avesse un’anzianità maturata al 31 dicembre 1995 inferiore a 18 anni, un minimo complessivo di 15 anni di contributi di cui almeno 5 già versati con il sistema contributivo, ossia a partire dall’1 gennaio 1996 in poi.

La facoltà di opzione era stata, infatti,  ampiamente compressa dalla Legge Fornero per non consentire che i lavoratori potessero conseguire un anticipo dell’età pensionabile (il sistema contributivo era più flessibile per sua natura rispetto al retributivo) e sia per evitare una eventuale crescita dell’assegno.

In taluni casi, infatti, il passaggio al contributivo – soprattutto su lunghe carriere lavorative – avrebbe potuto comportare incrementi significativi dell’assegno a differenza di quanto si crede comunemente.

La scelta del contributivo ha quindi, poi, offerto qualche vantaggio concreto solamente alle donne che hanno potuto e potranno beneficiare dell’opzione donna.

Naturalmente si tratta solo di un’opzione per le lavoratrici che quindi potrebbero tranquillamente continuare a lavorare sino alle età e/o ai criteri di contribuzione  stabilite dalla Legge Fornero.

Ma chi dovesse scegliere questa strada rischia un taglio piuttosto consistente dell’assegno che poi si porterebbe dietro per tutta la vita in quanto una volta intrapresa questa strada non si torna indietro.

QUANDO CONVIENE?

Tre i fattori chiave che segnano l’importo dell’assegno ricalcolato.

Il primo è l’età dell’uscita effettiva, in quanto più si ritarda l’uscita maggiori saranno i coefficienti di trasformazione che traducono in pensione il montante accreditato e quindi più elevato sarà l’assegno.

Il secondo è l’andamento delle retribuzioni negli ultimi anni di lavoro: più sono elevate, maggiore sarà la perdita del vantaggio riconosciuto sull’assegno.

Il terzo e ultimo è la presenza o meno di 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995.

In linea generale le riduzioni più marcate interessano chi ha retribuzioni elevate negli ultimi anni di lavoro e soprattutto chi poteva vantare almeno 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995.

Chi si trova in queste condizioni infatti ha, ancora oggi, la maggior parte dell’assegno determinata con il sistema retributivo e quindi l’impatto di un ricalcolo sarebbe molto più robusto rispetto ai lavoratori più giovani.

Se rispetto alla pensione di vecchiaia lo sconto sul requisito anagrafico è di 7/9 anni – mentre nei confronti dell’anticipata è di 6 anni e 10 mesi relativamente al requisito contributivo, ricordando che alla pensione liquidata secondo l’opzione donna si applicano 12 mesi di finestra prima della decorrenza se l’interessata è una lavoratrice dipendente (18 per un’autonoma) e quindi il beneficio effettivo in termini di accesso anticipato si riduce un poco – il taglio dell’importo della pensione sarà intorno al 20/25 per cento.

Con un trattamento di circa 4mila euro netti mensili, una dottoressa dipendente dal servizio sanitario nazionale con 35 anni di contribuzione e l’attuale sistema potrebbe avere una pensione superiore ai 3.200 euro mentre con il calcolo interamente contributivo la sua pensione dovrebbe assestarsi intorno ai 2.600 euro.

Claudio Testuzza