Noi medici non siamo invulnerabili

Quando i medici si ammalano hanno una certa riluttanza a considerarsi come pazienti e raramente ne parlano in pubblico. A rompere il tabù è il network “Medico cura te stesso”, creato nel 2006 per assistere i medici nella tutela della propria integrità fisica e psichica.

All’inizio di marzo ha radunato centinaia di colleghi al Forum Monzani di Modena.

Tra di loro c’era Silvia Villa, 67 anni, oncologa all’ospedale Manzoni di Lecco. Nel 2004 scoprì di avere un tumore alla mammella.

“Scopri, anche se non vuoi, di essere una paziente, ma il tuo ruolo resta quello di sempre: un medico oncologo – dice Villa -. Ho fatto le stesse terapie che hanno fatto i miei pazienti. Ho voluto condividere in questo modo con loro anche quest’aspetto della mia vicenda personale. Come medico ammalato comprendo meglio i problemi dei pazienti in tutte le loro sfaccettature, con i limiti che provocano e non solo nel loro aspetto patogenetico”.

Villa fa un paragone con gli alcolisti anonimi: “Noi malati di tumore restiamo malati di tumore. La paura resta sempre. Ad ogni malessere, il pensiero è quello…”

Giuseppe Perrotta, 72 anni, primario ospedaliero di Chirurgia generale nel Cosentino, ha raccontato di come si rese conto di avere un cancro al colon.

“Quando mi fu mostrata la foto della mia lesione, mi si disse: ‘Aspettiamo l’esame istologico’. ‘È un cancraccio!’ risposi. Nessuno poté ribattere”, ricorda Perrotta.

“Vidi chiaramente il mio futuro di malato di cancro colico con tutte le fasi cliniche, le ben note problematiche chirurgiche e chemioterapiche, le possibili complicanze immediate in vista di benefici solo ipotizzabili, la percentuale di recidive, il tasso di sopravvivenza e tutto ciò che avrebbe potuto far parte della mia vita residua”.

Oggi Perrotta è un ‘long survivor’. Su internet frequenta altri pazienti: “Su Facebook abbiamo costituito un gruppo, ‘Mani’ (medici ammalati network italiani)”, racconta. “Parlare è utile. La condizione di medico malato esperto, consente di poter cogliere le criticità invisibili al malato non medico e di suggerire correttivi per una sanità migliore e per una società più consapevole riguardo importanti aspetti esistenziali dell’uomo e della medicina: salute e malattia, benessere e malessere, azione e fatalismo, vita e morte”.

“Noi medici non siamo invulnerabili come ci piace credere – racconta Beniamino Palmieri, docente di Chirurgia generale all’Università di Modena e Reggio Emilia che ha dato vita alla rete ‘Medico cura te stesso’ – . Quando l’età avanza, non si ha più l’efficienza di un tempo e questo è intollerabile per chi vuole mostrarsi invincibile davanti ai suoi pazienti”.

Oggi al network aderiscono circa un migliaio di medici su tutto il territorio nazionale. ‘Medico cura te stesso’ promuove programmi di screening, controlli periodici, riunioni collegiali sulla compliance, strategie di prevenzione, dall’alimentazione all’attività motoria e persino l’auto-sperimentazione su  di sé e/o in gruppo di esami diagnostici, farmaci o  protocolli.

“I medici ammalati – prosegue Palmieri – o negano platealmente l’evidenza della malattia, oppure si  affannano nella consultazione di secondi, terzi e quarti pareri. Più o meno come i pazienti, che cercano su Google informazioni sulla loro malattia finendo su siti che disorientano e frustrano anziché fornire risposte”.

“La singolarità del convegno che abbiamo organizzato a Modena – aggiunge il chirurgo – è stata proprio la testimonianza dei medici ammalati, una figura che non distingue più il medico dal paziente ma lo integra come il miglior counselor delle nuove possibilità della medicina oncologica”.

Paola Stefanucci

 

 

Per ulteriori informazioni:
Network Medico cura te stesso