La mia Africa

Stefania Rapisardi con Suor Brane

Un’oncologa di Catania innamorata del continente Africano aiuta chi non ha niente ad avere una speranza
Non esclude di trasferirsi un giorno in quella terra fatta di paesaggi sconfinati capaci di emozionarla

Quando parla di Africa Stefania Rapisardi è inarrestabile, non prende neanche fiato e ti contagia con la sua passione infinita per una terra di forti contrasti.

“L’Africa è dura – dice – ti mette alle corde quando sei incapace di salvare la vita di un bambino solo perché ti manca una fiala di cortisone. Ma fa bene all’anima. È il mio porto sicuro, lì mi sono rifugiata nelle peggiori tempeste della mia vita. In Africa ho ritrovato la forza e la capacità di rinascere, ho ritrovato la sicurezza e la determinazione per riprendere il mio cammino di medico in modo deciso”.

La dottoressa Rapisardi è oncologa all’ospedale Garibaldi di Catania.

Da sinistra i dottori Giuseppe Arangio e Paolo Mantoan

In Ghana, durante una missione, ha rischiato di morire per una malaria cerebrale. Nonostante tutto non ha mai pensato di rinunciare ai suoi viaggi nel continente africano, anzi qualche volta pensa che prima o poi forse andrà a vivere lì.

“In Africa la gente sceglie di affrontare la vita giorno per giorno. Approccia la vita con una dignità estrema. Con la stessa dignità accetta la morte di un figlio e le cure del ‘medico bianco’, che non conosce, non comprende”.

Il dottor Giovanni CecchiniProprio in Ghana, dieci anni fa, ha iniziato a fare volontariato e attualmente collabora al progetto Impala (Improving perinatal care, laboratory and quality care) in  Etiopia. Si tratta di un progetto finalizzato alla tutela della maternità.

“L’evoluzione di uno Stato – dice Rapisardi – si misura anche dall’incidenza della mortalità infantile. In Africa la maggior parte delle donne ancora fa nascere i propri figli nella Savana. Spesso si muore per problemi che da noi sarebbero banali, ma lì nulla è banale, l’urgenza è all’ordine del secondo”.

La mia Africa ha il volto di quei bambini che con un gesto di saluto richiamano il tuo sguardo disperso nell’arsa natura che stai attraversando

L’oncologa catanese ha deciso di aderire al progetto in Etiopia, si è messa in gioco consapevole che non si parte per salvare il mondo, ma che si può contribuire con una piccolissima infinitesimale goccia nel mare magno della povertà e dell’indifferenza per dare almeno una speranza.

Sottolinea l’importanza di parlare di volontariato per sensibilizzare la categoria medica e spronare i colleghi.

“Partecipare a un progetto di volontariato è un modo per recuperare una parte di etica, quell’aspetto della nostra professione che qui in Italia si è un po’ perso”.

Il progetto Impala
Il progetto Impala, nasce nel 2013 per tutelare la maternità in Africa. Opera per rendere l’accesso ai servizi sanitari disponibili a tutti, anche ai gruppi di popolazione che vivono nelle aree più isolate e marginali. In Etiopia l’aspettativa di vita media è di 48,8 anni; sopravvivere per i bambini sotto i cinque anni è una prova davvero difficile, su mille bimbi 152 di loro non ce la fanno.Una delle suore dell'Health centre Ashirà con un piccolo paziente

Le cause di morte delle madri sono tante e diverse. Il 34 per cento muore per emorragie (l’80 per cento post parto), il 19 per cento per ipertensione, il 17 per cento per cause indirette, l’11 per cento per cause legate alla maternità, il 9 per cento per aborto, l’altro 9 per cento per setticemia e il restante un per cento per embolia. Molte di loro, il 40 per cento, muore ancora prima di qualsiasi contatto con medici o con l’ospedale, l’8 per cento sulla strada verso l’ospedale, il 15 per cento subito dopo il ricovero, il restante 37 per cento in ospedale.

La gestazione, che nei paesi ricchi è sinonimo di vita, in Etiopia può rappresentare un pericolo. Attualmente su 144 donne in gravidanza una muore per cause legate al parto, in media nove donne incinte su mille perdono la vita. Un numero altissimo paragonato all’0,05 dell’Italia.

Per chi volesse sostenere il progetto le coordinate bancarie dell’ Istituto Croce Bianca San Severino Marche a cui mandare donazioni sono IBAN IT86D 05308 69150 00000 00097 89 Banca Popolare di Ancona

Gli interessati a collaborare al progetto possono inviare una e-mail a: sessa.aurelio@simg.it

(Laura Petri)
Twitter: @FondazioneEnpam