Inps, per le nuove pensioni assegni più bassi

Con la revisione dei coefficienti di conversione chi andrà in pensione con l’Inps dal primo gennaio 2016 si vedrà assegnato un importo inferiore rispetto a oggi. una misura necessaria per fare fronte all’innalzamento dell’aspettativa di vita che rende vantaggiosa, per chi può, l’uscita dalla professione entro la fine dell’anno

L’Inps aggiorna per il triennio 2016-2018 i coefficienti di trasformMan paying billsazione dei contributi previdenziali, e la misura non farà piacere a chi andrà in pensione a partire dal prossimo gennaio. Il provvedimento, previsto dalla legge, è legato all’allungamento della speranza di vita che produce un aumento dei costi previdenziali stimati. In sostanza, in base alle nuove statistiche, i pensionati in media godranno del loro trattamento per un periodo di tempo più lungo, e per garantire l’invarianza dei conti la pensione mensile conteggiata con il sistema contributivo dovrà risultare inferiore rispetto a quella calcolata attualmente.

L’elemento fondamentale per calcolare l’entità dell’assegno pensionistico mensile è rappresentato dai coefficienti di trasformazione che si applicano nel sistema contributivo, regime universalmente esteso a tutti i lavoratori a partire dalle anzianità maturate dal 1° gennaio 2012. Il modello è quello dei libretti di risparmio: il lavoratore accantona annualmente una parte dei propri guadagni, che per i medici dipendenti per esempio equivale (con il contributo dell’azienda) al 33 per cento dello stipendio.

I contributi versati costituiscono il montante contributivo, il quale produce una sorta di interesse calcolato in base all’andamento del Pil. Al momento di andare in pensione, al montante contributivo si applica il coefficiente di trasformazione (cioè di conversione) e si ottiene l’importo annuo di pensione spettante.

Che cosa cambia

Un lavoratore che al 1995 ha accumulato meno di 18 anni di contributi, e rientra quindi nel sistema contributivo, potrebbe accedere quest’anno alla pensione di vecchiaia a 66 anni e 3 mesi. Ipotizzando un montante contributivo di 200mila euro, avrà una rendita maggiore di 18 euro lordi mensili rispetto a chi andrà in pensione con gli stessi requisiti il prossimo anno.

Tuttavia, dal 2016 la pensione di vecchiaia si conseguirà con 66 anni e 7 mesi e pertanto, a parità di montante, l’entità dell’assegno scenderà soltanto di 8 euro al mese. Diventa evidente il vantaggio, per chi matura entro l’anno il diritto alla pensione e può scegliere quando uscire dal mondo del lavoro, di farlo entro il prossimo mese di novembre, o nel caso del settore pubblico entro il 30 dicembre.

In questo modo vedrà la propria pensione calcolata con i coefficienti attuali, che garantiscono un trattamento migliore. Mentre le modifiche hanno un impatto rilevante per i lavoratori iscritti all’Inps ed ex Inpdap, per quanto riguarda l’Enpam la situazione è differente. Infatti il meccanismo di calcolo caratteristico della Fondazione, il contributivo indiretto a valorizzazione immediata, assegna il valore dei contributi già al momento del versamento dei contributi e non al momento del pensionamento.

Questo fa sì che il medico sa da subito quanto ha maturato di pensione, senza rischio di brutte sorprese quando lascerà il lavoro. L’Enpam utilizza il metodo contributivo pubblico solo in due casi marginali, la pensione di Quota A per la parte maturata dopo il 1° gennaio 2013 e per la gestione degli Specialisti esterni.

COME SI CALCOLA

TABELLAIn base alla tabella si può stilare la seguente esemplificazione per comprendere il meccanismo che lega la pensione al coefficiente di trasformazione. Un lavoratore di 65 anni con 20 anni di anzianità e che guadagna 60mila euro lordi all’anno accantona (montante contributivo) ogni anno 20mila euro di contributi; il dato moltiplicato per 20 anni realizza un accumulo di 400mila euro. Ipotizziamo (con una certa generosità) che alla fine del periodo, per effetto della rivalutazione, si arrivi a un totale di 500mila euro.

Questo montante contributivo finale viene moltiplicato per il coefficiente di trasformazione previsto per chi ha 65 anni, vale a dire 5,435%: il risultato è 27.175 euro, che diviso per 13 mensilità porta a una pensione di 2.090 euro lordi al mese. Lo stesso conteggio, effettuato con il coefficiente di trasformazione previsto per il triennio 2016-2018 sarà di 2.048 euro lordi al mese, con una perdita di 42 euro al mese.

MANCATO ADEGUAMENTO, RIMBORSI PER POCHI

È legge il rimborso per la mancata perequazione delle pensioni superiori a tre volte il minimo Inps (1.500 euro lordi). Con la rata di agosto a 3,7 milioni di pensionati è stato versato il cosiddetto ‘Bonus Poletti’ che prevede una progressiva restituzione degli arretrati. Il rimborso sarà di importo variabile: chi ha una pensione di 2.700 euro e quindi è nella fascia tra 5 e 6 volte il minimo Inps, avrà 295 euro netti. A chi sta nel mezzo, fra 3 e 4 volte il minimo (1.700 euro lordi), andranno 750 euro netti.

A nessuno sarà rimborsato più del 40 per cento del dovuto, mentre al di sopra dei 3mila euro lordi non ci sarà alcuna restituzione. La norma non riguarda le pensioni Enpam perché, a differenza di quelle erogate dall’Inps e dall’ex Inpdap, hanno continuato sempre a godere dell’adeguamento al costo della vita. I regolamenti dei fondi Enpam prevedono che le pensioni vengano rivalutate ogni anno in misura pari al 75 per cento dell’indice Istat, fino al limite di quattro volte il trattamento minimo Inps e del 50 per cento dell’indice per la quota eccedente, senza alcun tetto.

Carlo Ciocci e Claudio Testuzza

@FondazioneEnpam