Il radiologo specializzato nella cura delle note

Nella vita di tutti i giorni è un radiologo specializzato con lode, già assistente universitario per otto anni e attualmente consulente all’Ospedale Koelliker di Torino.

Ma sotto al camice di Enrico Richetta batte il cuore di un ingegnere del suono.

Pur non avendo mai messo piede al Politecnico, il 74enne torinese ha dedicato buona parte della sua vita all’incisione di voci e suoni dei Grandi della musica classica.

Inguaribilmente affetto da ’”audiofilia”, il “medico del suono” esercita la sua passione non solo dal punto di vista fisico, trasfondendo su disco le note sublimi della classica, ma praticandola da dilettante e coltivandola come alta espressione artistica, al punto di dialogare alla pari con i musicisti come fosse un critico di vaglia.

Per alimentare la passione della sua vita Richetta non ha aspettato il tempo della pensione, perché da una trentina d’anni inframezza schermi luminosi, panoramiche e corsie d’ospedale con auditorium e sale da concerto, dove incide sempre dal vivo, approfittando del fatto che le esecuzioni si tengono, di solito, la sera o alla domenica.

In tutti questi anni sono almeno 300 i concerti “religiosamente” registrati, tutti rigorosamente di musica classica.

Non è una questione di rigetto della musica leggera, ma anche e soprattutto perché in essa un’incisione è frutto in parte di artifizi tecnologici, mentre nella “musica colta” oltre allo strumento, all’ambiente e alle apparecchiature, c’è sempre e comunque al centro un esecutore.

E se non possiede talento, non c’è artifizio tecnico o incisione irreprensibile che riesca a farlo emergere.

Il futuro di medico del suono venne contrassegnato da una data importante: il 5 dicembre del 1991.

Quel giorno “con un certa condiscendenza – ricorda – visto che ero pur sempre un dilettante” la prestigiosa Unione Musicale di Torino, direttore Giorgio Pugliaro, gli chiese se la sentisse di registrare un concerto in quel tempio della musica, a lui inaccessibile, che era il Conservatorio.

Il programma prevedeva – Richetta lo ricorda bene – il Quintetto per fiati e il Quartetto per pianoforte K. 487 entrambi di Mozart, per sottolineare la ricorrenza, di lì a poco, della morte.

Fu una serata fatidica. Perché quel dottore che aveva fino allora coltivato la sua inclinazione con registrazioni da lui definite “a livello parrocchiale”, fece in suo ingresso a pieno titolo nel ‘Tempio’.

La registrazione percorse il milieu delle belle note, suscitando per fedeltà e limpidezza uno stupore incredulo.

E fu così che lui, dopolavorista appassionato che non aveva mai messo il piede al Politecnico o al Conservatorio, si vide promuovere sul campo, diventando per tutti ingegnere del suono ad honorem.

Basta uno sguardo ai nomi dei Grandi che di lì in poi sarebbero ricorsi alle sue premure: Uto Ughi, Accardo, Lucchesini, Brunello, Maisky, Manara.

Stando vicino ai Grandi per eternare la loro espressività musicale, il dottor ingegner Richetta ha imparato a conoscerne le esigenze, per non dire delle fobie.

Ad esempio, per l’intrusività del tecnico che non deve mai piazzare i microfoni in evidenza, “perché – ammonisce – i musicisti non amano vederseli davanti”.

Alcuni, come il grande Zimmermann “se vede spuntare un microfono – dice Richetta – è capace di smettere di suonare”.

m. boc