Gimbe: Ssn sempre più povero, i medici pagano le conseguenze

I tagli al Servizio sanitario nazionale proseguono da più di un decennio, ma il calo della spesa non è mai stato accompagnato da un’adeguata riorganizzazione.

Di conseguenza, il livello delle prestazioni si è abbassato e a farne le spese, insieme agli utenti, è soprattutto il personale sanitario che nel confronto con altri paesi europei vede le proprie retribuzioni perdere sempre più peso.

A lanciare l’allarme è il 4° Rapporto Gimbe sulla sostenibilità del Ssn portando alla luce tutte le contraddizioni che colpiscono il settore e chi ci lavora: si continua a stringere la cinghia, ma

senza una gestione più efficace delle risorse e maggiori investimenti, si rischia di assistere all’implosione del Ssn.

Uno scenario che il presidente della Fondazione Gimbe, Nino Cartabellotta, definisce un vero e proprio “disastro sociale ed economico”.

Tagliati 28 miliardi in 10 anni (e il fabbisogno cresce)

I numeri parlano chiaro, la sanità assorbe il 6,6 per cento del Pil ma l’intera filiera della salute ne produce circa l’11 per cento.

In questo senso, “mentre il mondo professionale e i pazienti aspirano alle grandi (e costose) conquiste della scienza e l’industria investe in questa direzione – ha detto Cartabellotta – l’entità del definanziamento pubblico allontana sempre di più l’accessibilità per tutti alle straordinarie innovazioni farmacologiche e tecnologiche oggi disponibili”.

Nel 2017, la spesa sanitaria in Italia è stata di quasi 155 miliardi di euro, dei quali 113 vengono dal pubblico e quasi 42 dal privato, di cui 35 miliardi a carico delle famiglie e 5,8 intermediati da fondi sanitari, polizze e altri enti.

“Al di là delle cifre – ha spiegato Cartabellotta – la vera sfida è identificare il ritorno in termini di salute delle risorse investite in sanità, il cosiddetto value for money”.

Secondo le analisi di Gimbe, infatti, il 19 per cento della spesa pubblica, almeno il 40 per cento di quella delle famiglie e il 50 di quella intermediata, non migliorano salute e qualità di vita delle persone.

Ad appesantire la situazione c’è poi il definanziamento pubblico.

Nel periodo 2010-2019 “sono stati sottratti al Ssn circa 37 miliardi e, parallelamente, l’incremento del fabbisogno sanitario nazionale è cresciuto di quasi 9 miliardi”, ha precisato Cartabellotta.

Il presidente Gimbe non vede nessuna luce in fondo al tunnel visto che il Def 2019 riduce il rapporto spesa sanitaria/Pil dal 6,6 per cento nel 2019-2020 al 6,5 per cento nel 2021 e al 6,4 per cento nel 2022.

Gli stipendi incidono sempre meno sulla spesa

A spiegare come il personale stia pagando le maggiori conseguenze di questi tagli, ci sono i dati del Mef e della Ragioneria generale dello Stato sulla composizione della spesa sanitaria.

La variazione media annua della spesa aggregata per redditi da lavoro dipendente si attestava, infatti, mediamente al +4,7 per cento nel periodo 2001-2005, ma è scesa al +2,3 per cento nel periodo 2006-2010 e poi precipitata al -1,1 per cento nel periodo 2011-2017.

Complessivamente, l’incidenza sulla spesa sanitaria totale si è ridotta dal 39,8 per cento del 2000 al 30,7 per cento del 2017.

“Il Ssn si tiene in piedi su chi ci lavora” ha detto la ministra della Salute, Giulia Grillo, durante la presentazione del rapporto. Ecco perché “dobbiamo fare un lavoro importante sulle risorse umane”, ha continuato, ricordando che oggi gli stipendi di medici e infermieri “cominciano a essere più bassi e meno attrattivi rispetto a quelli di Francia, Germania, Inghilterra, Olanda, Svezia…”.

Per il ministro, c’è una percentuale della spesa pubblica sanitaria che deve essere investita sul personale “ma lo fai se c’è una forte opinione pubblica che ti appoggia. Sto lavorando per finanziare il Ssn non con balletti di cifre che cambiano ogni anno, ma con una programmazione. Altrimenti non ce la facciamo”.

UN “PIANO DI SALVATAGGIO DEL SSN” IN 12 PUNTI

Per riallineare il Ssn agli standard degli altri paesi europei e offrire ai cittadini italiani un servizio sanitario di qualità, equo e universalistico Gimbe stima che sarà necessaria nel 2025 una spesa sanitaria di 230 miliardi. Per salvare il sistema, poi, la Fondazione propone un vero e proprio Piano articolato in 12 punti:

  • Mettere la salute al centro delle decisioni politiche non solo sanitarie, ma anche ambientali, industriali, sociali, economiche e fiscali
  • Rilanciare il finanziamento pubblico per la sanità ed evitare continue revisioni al ribasso
  • Aumentare le capacità di indirizzo e verifica dello Stato sulle Regioni nel rispetto delle loro autonomie
  • Costruire un servizio socio-sanitario nazionale, perché i bisogni sociali condizionano la salute e il benessere delle persone
  • Ridisegnare il perimetro dei livelli essenziali di assistenza secondo evidenze scientifiche e princìpi di costo-efficacia
  • Ridefinire i criteri di compartecipazione alla spesa sanitaria ed eliminare il superticket
  • Lanciare un piano nazionale per ridurre sprechi e inefficienze e reinvestire le risorse recuperate in servizi essenziali e innovazioni
  • Avviare un riordino legislativo della sanità integrativa per evitare derive consumistiche e di privatizzazione
  • Regolamentare l’integrazione pubblico-privato e la libera professione secondo i reali bisogni di salute
  • Rilanciare politiche e investimenti per il personale e programmare adeguatamente il fabbisogno di medici, specialisti e altri professionisti sanitari
  • Finanziare ricerca clinica e organizzativa con almeno l’1% del fabbisogno sanitario nazionale
  • Promuovere l’informazione istituzionale per contrastare le fake news, ridurre il consumismo sanitario e favorire decisioni informate

di Maria Chiara Furlò