Ebola, morto un sanitario su due

MSB7669Dall’inizio dell’epidemia in Africa Occidentale più di 240 sono stati i contagiati e almeno 120 sono morti. Per far fronte al virus sono però necessari altro personale specializzato e fondi per acquistare i dispositivi di protezione

Senza precedenti. È così che l’Oms ha definito il numero degli operatori sanitari contagiati da Ebola in Africa Occidentale: sono più di 240 quelli che hanno già contratto il virus, e di questi più di 120 sono morti. “Ebola si diffonde sia all’interno delle comunità sia negli ospedali”, dice Giovanni Putoto, medico e responsabile della programmazione dell’organizzazione umanitaria Cuamm, appena tornato dal distretto rurale di Pujehun, in Sierra Leone, dove opera un team di cinque persone nell’ambito di un progetto finalizzato alla riduzione della mortalità materna, neonatale e infantile. “I rischi per i sanitari sono alti. Solo nell’ospedale regionale di Kenema sono morti 24 operatori”, racconta Putoto.

È la prima volta che il virus si presenta in Africa Occidentale e anche la sua diffusione e il coinvolgimento delle città, rappresentano elementi senza precedenti. “È più difficile spezzare la catena del contagio – afferma Putoto – e aumenta la possibilità che casi non diagnosticati vengano a contatto con lo staff degli ospedali e delle unità sanitarie periferiche”. Al contrario del personale occidentale presente nel Paese, né gli staff medici locali né la popolazione conoscono bene il virus: “Riconoscere i sintomi, aspecifici in fase iniziale, è di primaria importanza. È necessario continuare con la formazione e avere una continua disponibilità di dispositivi di protezione. Quella di Ebola è un’epidemia costosa”, aggiunge Putoto.

Lo stress psichico e fisico aumenta il rischio di errori

Il personale che assiste i casi sospetti o già diagnosticati, e quello che si occupa della tumulazione delle salme, è sottoposto a un grande stress, sia mentale sia fisico, aumentando così il rischio di errore. “La paura del contagio è forte – spiega Silvia Mancini, epidemiologa di Medici senza frontiere (Msf) –. Inoltre, bisogna utilizzare i dispositivi di protezione in climi molto caldi, aumentando lo stress fisico”.

Dall’inizio dell’epidemia sono circa 60 gli operatori umanitari italiani appartenenti all’organizzazione che si sono recati nei Paesi colpiti. Per ridurre lo stress e i rischi, il personale viene fatto ruotare frequentemente. Msf sta infatti adottando il protocollo messo a punto durante le prime epidemie di Ebola: “I nostri operatori restano massimo quattro o sei settimane. Inoltre, lavorano sempre in coppia per controllarsi a vicenda: bisogna attenersi a rigorose procedure per l’impiego dei dispositivi di protezione”. Trovare personale non è però semplice: “L’organizzazione – dice Silvia Mancini – ha lanciato già diversi appelli. Attualmente gli italiani sul posto sono dodici”.

(di Claudia Furlanetto)

(Foto di Sam Taylor/Msf e Amandine Coline/Msf)