HO SCONFITTO L’EBOLA E TORNO IN AFRICA

L’infettivologo catanese contagiato da Ebola in Sierra Leone è guarito e vuole tornare in Africa per continuare il lavoro lasciato in sospeso. La sua reazione vuole essere un messaggio di incoraggiamento per chi è pronto a dare il proprio contributo 

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È trascorso solo un mese da quando Fabrizio Pulvirenti, l’infettivologo catanese contagiato dall’Ebola, ha comunicato al mondo intero di essere guarito.

Lo incontriamo nella sua città e il suo sguardo è vivace come l’aria che tira sul lungomare di Catania dove ci accoglie con un caffè e una fetta di cassata. “Mi sto rimettendo in forma – dice – perché appena posso voglio ripartire per continuare il lavoro lasciato in sospeso.
Mi sono ammalato dopo sei settimane, sarei dovuto rimanere lì per altre cinque”. La terribile esperienza non lo ha demotivato. “La battaglia con Ebola l’ho vinta – dice – e sono pronto a partire per altre missioni con Emergency dove ce ne sarà bisogno”. Quando racconta i momenti più difficili della sua malattia non parla di “terrore inconsulto”, piuttosto “ho avuto la giusta paura che una malattia grave e potenzialmente mortale come Ebola incute.

La partenza di Fabrizio Pulvirenti dalla Sierra Leone (foto Emergency)

La partenza di Fabrizio Pulvirenti dalla Sierra Leone (foto Emergency)

Certo quando poi è apparso sul mio corpo l’esantema mi sono scoraggiato. Ho pensato che fosse il preludio a una manifestazione emorragica”.

“Ho pensato che avrei potuto morire e da morto la mia famiglia avrebbe avuto problemi a riportarmi a casa”

Ebola: 'Fabrizio era stanco ma voleva lottare'

Fabrizio Pulvirenti durante il trasporto a Roma (Aeronautica militare).

È in quel momento che Pulvirenti ha deciso di essere rimpatriato. “Ho pensato che avrei potuto morire e da morto la mia famiglia avrebbe avuto problemi a riportarmi a casa”.
L’isolamento assoluto di Pulvirenti allo Spallanzani di Roma è durato 38 giorni. “Nessuno poteva avvicinarsi neanche al corridoio pulito dal quale si accedeva alla zona in cui ero ricoverato. E anche quando ormai stavo meglio, ero sveglio, riuscivo a leggere, scrivere, gli unici che potevo vedere erano i medici e gli infermieri. Ho apprezzato tantissimo la loro presenza”.

Trenta persone si sono prese cura del ‘paziente zero’, hanno alleviato i momenti di grande solitudine e lo hanno aiutato a ricostruire la memoria dei giorni in cui era intubato e sedato. “Di quei momenti non ho ricordi – dice Pulvirenti – solo l’immagine di un uccello scuro che mi veniva in sogno e mi diceva di seguirlo mentre io gli facevo segno di no”.

Non ha ceduto alla morte e oggi guarda ancora al futuro con coraggio, pronto a rimettersi in prima linea convinto che questa esperienza abbia ulteriormente umanizzato il suo approccio con il paziente. “Per ogni medico – dice Pulvirenti – credo sia imprescindibile prendersi cura del paziente oltre che curarlo. Il medico è un punto di riferimento”. Proprio come si sente lui adesso. Tutti lo cercano e il suo telefono non fa che squillare. “Diventare da un giorno all’altro un esempio, un modello, mi carica di grandi responsabilità – dice –. Sono convinto che se avessi avuto la pelle nera non ci sarebbe stato tutto questo interesse, sarei morto o sopravvissuto nel più completo anonimato come è successo a migliaia di africani. Quindi non posso deludere chi da me si aspetta grandi cose”.

“Se avessi avuto la pelle nera non ci sarebbe stato tutto questo interesse, sarei morto o sopravvissuto nel più completo anonimato”

Pulvirenti ha partecipato alla discussione sul tema immigrazione e cooperazione nelle commissioni Sanità di Camera e Senato. È stato invitato a salire sul palco di Sanremo per raggiungere una platea sempre più ampia. La città di Catania gli ha consegnato la Candelora d’oro in occasione della festa di Sant’agata, segno di grande riconoscenza.
Attraverso i messaggi sui social network tanti colleghi gli sono stati vicino. “Ho sentito vicine anche le istituzioni. Mi ha telefonato Napolitano, il presidente. Ho provato imbarazzo e commozione insieme quando si è rivolto a me con un tono più paterno che istituzionale dicendo ‘caro Fabrizio’. Il ministro della salute Beatrice Lorenzin mi ha chiamato a casa anche all’indomani del mio ritorno in Sicilia per sapere come era andato il viaggio.

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Il medico che indossa la tuta per accedere alla zona rossa.

LA ZONA ROSSA
Fabrizio Pulvirenti ha cercato tante volte di ricostruire i movimenti e le situazioni per capire quando potrebbe essere avvenuto il contagio.
“Non credo – dice – di essermi contagiato dentro la zona rossa, penso piuttosto fuori, quando non avevo più la tuta. Ma sono ipotesi che andrebbero dimostrate, non si può dire cosa sia veramente successo.
I malati, quando io ero in Sierra Leone, erano in tende alte due metri. Noi operatori lavoravamo
a giorni alterni per dieci, dodici ore. Ogni giorno entravamo in contatto con loro almeno due
volte. Avremmo dovuto rimanere dentro non più di un’ora, ma quando il numero di pazienti sale
il turno in sala aumenta e noi tutti sforavamo. Uscivamo dalle tute assolutamente bagnati e dovevamo
bere un litro e mezzo di acqua con soluzioni di sostanze reidratanti.

Fabrizio Pulvirenti ha cercato tante volte di ricostruire i movimenti e le situazioni per capire quando potrebbe essere avvenuto il contagio.

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Pulvirenti posa con un gruppo di colleghi dell’ospedale Cannizzaro dove ha lavorato prima di trasferirsi all’ospedale di Enna.

Era molto faticoso”. Prima di entrare in contatto con i pazienti nella zona rossa ogni operatore deve sottoporsi a un training che prevede cinque prove di vestizione e svestizione – dice Pulvirenti –. Chi proviene da esperienze di limitazione del rischio, chi ha fatto esperienza con i sieropositivi è chiaramente avvantaggiato, ma anche la persona inesperta, il medico generico, l’internista, il chirurgo piuttosto che il radiologo può andare perché comunque ci sono operatori molto esperti che insegnano sul campo. “La parte più delicata – dice – è togliersi la tuta. Quando la infili è pulita, ma quando ti svesti devi stare molto attento a non entrare in contatto con la superficie esterna. Il grembiule, che copre la parte anteriore, i guanti e lo shield (schermo) sono le parti più contagiate.

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Nella foto: il dottor Pulvirenti ad Aci Trezza.

Ci sono precise procedure da rispettare: un assistente, il ‘cleaner’, ti assiste e se si accorge che hai commesso un errore ti blocca e ti fa ripetere la procedura corretta.
É complesso ma non impossibile” – dice Pulvirenti.

QUALCHE NUMERO
“I casi di contagio – dice Pulvirenti – per fortuna pare si stiano progressivamente riducendo. In tutto il Paese fino a qualche mese fa si registravano 100, 120 nuovi casi al giorno”. Oggi siamo sull’ordine di 20, 25. Ma Ebola fa paura se – come dice Stefania Rapisardi, oncologa catanese, impegnata con il progetto Impala per tutelare la maternità in Africa (di cui si è parlato nel numero 4/2014 di questo giornale). “In tanti hanno abbandonato l’idea di partire per l’Africa negli ultimi tempi – dice la dottoressa. La minore richiesta ha addirittura fatto abbassare i prezzi dei biglietti aerei. Ho comprato un biglietto per Addis Abeba per partire a fine febbraio. L’ho pagato duecento euro meno dell’ultima volta”.

“Emergency non registra una diminuzione di operatori sanitari disposti a partire – dice Nicola Tarantino, che si occupa della selezione dei candidati.
Piuttosto stiamo selezionando con urgenza specialisti di area critica o terapia intensiva per il nuovo centro di cura dell’Ebola a Goderich, vicino la capitale della Sierra Leone Freetown, e abbiamo bisogno di specialisti in anestesia, chirurgia, traumatologia e pediatria per i centri in Afghanistan, Sudan e Repubblica Centroafricana.

Aspettativa agevolata

16208677057_d0bdfae262_oPer agevolare la partenza di volontari e cooperanti l’ultima legge di Stabilità ha autorizzato “anche in deroga alle norme vigenti, le richieste di aspettativa, nel limite di sei mesi, da parte di personale medico o paramedico che intenda prestare la propria opera nei Paesi del continente africano attualmente interessati dal fenomeno del virus Ebola”. La norma, così scritta, è contenuta nell’articolo 1, comma 599 della legge 23 dicembre 2014, n. 190.

IMG-20150204-WA0001Chi desiderasse partire con Emergency può visitare il sito www.emergency.it/lavoracon, chiamare i numeri 02 863161, 06 688151, oppure scrivere una mail a recruiting@emergency.it ■

di Laura Petri

foto di Tania Cristofari

@FondazioneEnpam