Da Tor Vergata agli States grazie al sorriso in 3d

C’è un dentista che a soli 28 anni è stato inserito nella classifica dei trenta giovani più influenti in campo medico nel mondo stilata dalla rivista Forbes.

Giuseppe Cicero,  romano, laureato all’università di Tor Vergata con 110 e lode, si è guadagnato la notorietà grazie all’ideazione di Oral 3D, un software che permette di ‘programmare’ il sorriso dei pazienti.

“Un paio di clic – racconta – e in meno di un’ora si può stampare, a partire da un’immagine bidimensionale, un modellino in tre dimensioni della struttura ossea della bocca del paziente, mostrarglielo, studiarlo ed  effettuare una chirurgia su misura”.

Cicero ha sviluppato il progetto insieme a Martina Ferracane, ricercatrice ed esperta di politiche settoriali dell’Unione europea nell’ambito della sanità e dell’innovazione.

L’interesse per la cura orale però è una tradizione di famiglia: il padre Baldassare è medico ortodontista e il fratello Emanuele sta perfezionandosi alla Tufts University, nel Massachusetts, per diventare protesista.

Oggi Cicero insegna all’Università Europea di Madrid e tiene corsi di formazione professionale continua  sulle cellule staminali della polpa dentale per la rigenerazione ossea del cavo orale alla New York University, dove si è specializzato in Parodontologia e Chirurgia implantare.

Pur di poter frequentare il prestigioso e selettivo ateneo statunitense, a 23 anni, appena laureato, Cicero è salito su un aereo per la grande mela con l’obiettivo di illustrare di persona il suo progetto al Rettore dell’Istituto. Un tentativo andato a vuoto ma dai risvolti inattesi.

“Il caso ha voluto – racconta il giovane dentista – che quel giorno mi imbattessi nell’allora preside di Harvard, che era lì per ascoltare una relazione.

Gli ho raccontato della mia tesi sperimentale sulle cellule staminali fatta a Tor Vergata. È rimasto sorpreso. Mi ha ospitato una settimana nella sua università per tenere agli studenti dell’ultimo anno del corso di parodontologia una lezione sull’argomento, invitandomi poi a rimanere”.

“A quel punto – conclude – ho chiamato il Rettore della New York University e gli ho proposto la stessa lezione di  Harvard.

L’ho tenuta e la sera stessa sono stato ammesso, perché uno dei sei candidati selezionati ha rinunciato al suo posto. Sono cominciati tre anni fantastici di esperienza clinica”.

 

di Paola Stefanucci