Con Quota 100 una pensione Inps alleggerita

In attesa della versione finale del disegno di legge di Bilancio, l’obiettivo di eliminare la legge Fornero reintroducendo il pensionamento d’anzianità con almeno 62 anni d’età e 38 di contribuzione, la famosa “Quota 100”, sembra ormai acquisito.

Se poi Quota 100 sarà da incentivo all’uscita dei circa 400 mila lavoratori che possono potenzialmente beneficiarne, dipenderà dalle condizioni di minore o maggiore favore dell’uscita dal mondo del lavoro.

In attesa di una conferma dell’introduzione del divieto di cumulo previsto per coloro che dovessero usufruirne (e quindi trovarsi incompatibili con qualsiasi attività professionale una volta ottenuta la pensione anticipata), resta da valutare quanto si perderebbe rispetto all’uscita con i requisiti previsti dalla contrastata riforma Fornero.

Una cosa è certa: l’assegno di chi usufruirà di Quota 100 sarà più leggero di chi si ritira con i parametri attuali.

Sono due i fattori che incidono sull’importo della pensione.

Il primo è il coefficiente di calcolo, che cresce insieme all’anzianità ed è utilizzato per moltiplicare il montante contributivo.

Per esempio, a 67 anni il coefficiente è 5,700 mentre a 62 anni scende a 4,856.

Il secondo è il montante stesso, perché è ovvio che più a lungo si lavora e più questo cresce.

Dunque ritirandosi a 67 anni (requisito per la pensione di vecchiaia valido dal 1° gennaio 2019) e con un montante da un milione di euro, si percepirebbe una pensione di 57 mila euro annui (1.000.000 € x 5,700 = 57.000 €).

Nel caso in cui invece si scegliesse andare in pensione a 62 anni avvalendosi di Quota 100, ipotizzando 20 mila euro in meno di contribuzione per ogni anno di anticipo, si otterrebbe un assegno di soli 35mila euro annui (900.000 € x 4,856 = 35.000 €).

La decurtazione potrà quindi variare a seconda dei parametri posseduti dall’interessato.

Con un anticipo di tre anni, un dipendente in possesso di 40 anni di contributi potrebbe vedersi ridurre il proprio assegno del 15 per cento circa.

L’Inps ha dato nei giorni scorsi valutazioni similari in base alle diverse condizioni degli eventuali richiedenti, calcolando una perdita di oltre 500 euro mensili (tra il 20 e il 22 per cento) rispetto al trattamento pieno, per un pensionando della pubblica amministrazione che uscisse cinque anni prima dei limiti della Fornero, avendo un stipendio di circa 40mila euro annui.

E per il futuro ? Non andrà certo meglio: chi avesse iniziato a lavorare tra i 22 e i 26 anni potrà andare via a 62 anni ma subirà una penalizzazione sull’assegno anche del 25 per cento.

Per quasi tutti gli esempi il risultato finale è univoco: se ci sarà un anticipo del pensionamento, l’altra faccia della medaglia è un taglio all’assegno di pensione.

L’unica possibilità per integrare l’assegno è una pensione parallela che di fatto possa aumentare l’assegno al termine della carriera lavorativa.

LO SCHEMA – TORNANO LE FINESTRE

Quota 100, meccanismo già introdotto in passato dal governo Berlusconi con il sistema delle quote, è stato studiato per consentire di andare in pensione anticipatamente.

Ci si potrà ritirare dal lavoro al raggiungimento dei 62 anni d’età, purché si abbiano almeno 38 anni di contributi (Quota 100).

Il requisito dei 38 anni di versamenti, però, resta fermo anche nel caso si abbia un’età superiore.

Quindi a 63, 64, 65 e 66 anni d’età, la quota diventa rispettivamente 101 (63+38), 102, 103 e 104.

Nulla di mutato invece per il pensionamento di vecchiaia a cui nel 2019 si potrà accedere con 67 anni d’età avendo almeno 20 anni di contributi, così come disposto dalla riforma Fornero.

Una reminiscenza del passato, oltre alle quote, è rappresentata dalla reintroduzione delle famose “finestre” d’uscita. Quota 100 sarà articolata su quattro finestre annuali, una ogni tre mesi.

Questo significa che coloro che raggiungeranno i requisiti entro il 31 marzo riceveranno la prima pensione ad aprile. Chi maturerà i requisiti fra il primo aprile e il 30 giugno incasserà invece l’assegno a luglio, e così via. Con un ritardo stimabile da due a tre mesi.

Viene anche previsto, oltre alle finestre,  l’ obbligo di di un preavviso di tre mesi, allungando ulteriormente, di altri tre mesi, il momento dell’uscita dal rapporto d’impiego.

Allo studio c’è anche il blocco dello scatto di cinque mesi dal prossimo gennaio in conseguenza dell’adeguamento alla speranza di vita.

Claudio Testuzza