Autonomia Casse, quella spinta all’indietro che minaccia (anche) l’Enpam
Dopo la privatizzazione del 1993, una deriva “pubblicistica” minaccia di erodere l’autonomia delle Casse previdenziali private, includendole sempre di più tra le rigidità e i vincoli cui sono soggetti gli enti pubblici.
A rilevarlo è stato Sabino Cassese, professore emerito, già giudice costituzionale ed ex ministro del governo Ciampi, che ha tenuto una lezione in occasione all’evento “Autonomia delle Casse di previdenza al servizio delle professioni per il Paese”, organizzato dall’Adepp lo scorso 14 giugno.
Ecco di seguito il suo intervento.
PREMESSA
I rapporti tra diritto pubblico e diritto privato hanno sempre registrato mutamenti con ampliamenti dell’area pubblicistica e, al contrario, allargamenti di quella privatistica. Quindi, i rapporti tra le due aree non sono mai stati rigidi. Ma in poche occasioni si sono registrate involuzioni normative tanto gravi e pericolose quanto quelle che riguardano le Casse professionali private.
Queste involuzioni hanno finora riguardato i rapporti tra disciplina del codice civile e disciplina amministrativa; col passare del tempo, potranno comportare anche modificazioni dell’ordine delle responsabilità, passando da quelle civilistiche a quelle contabili e penalistiche, con la conseguenza di aprire all’intervento delle procure contabile e penali. Bisogna, quindi, cercare di ristabilire il corretto equilibrio al più presto.
Questa relazione si propone di mostrare l’erroneità dell’involuzione normativa in corso, alla luce della Costituzione e della norma di privatizzazione, che risale al 1993.
In questa relazione, invece, non vengono esaminate questioni che possiamo definire laterali: quella dell’equo compenso previsto solo per professionisti iscritti agli ordini; quella degli obblighi contributivi per i professionisti iscritti a casse di previdenza di categoria, a cui l’Inps chiede la contribuzione alla gestione separata; quella della ricongiunzione dei contributi accantonati presso la gestione separata Inps nella cassa professionale nella quale si sia iscritti; quella dell’obbligo di iscrizione a gestioni separate dei soggetti iscritti in altra forma di previdenza obbligatoria (questioni sollevate sia da iniziative parlamentari, sia da decisioni giudiziarie).
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- Dalla Costituzione alla riforma del 1993
Secondo la Costituzione, la protezione sociale, di cui fa parte la previdenza, rientra tra i diritti dei cittadini, ma non è un compito affidato in via esclusiva ai poteri pubblici. Anzi, la Costituzione valorizza i corpi intermedi e le formazioni sociali e ad essi affida la funzione della protezione sociale.
Infatti, l’articolo 2 della Costituzione dispone che la Repubblica riconosce e garantisce i diritti dell’uomo anche nelle formazioni sociali dove si svolge la sua personalità. L’articolo 38 dispone che “i lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria” e aggiunge che “ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato”. Dunque, la disciplina costituzionale della protezione sociale non è di tipo statalistico e prevede che ad essa provvedano organi ed istituti non istituiti e gestiti dallo Stato, ma soltanto da esso “predisposti o integrati”.
In attuazione di questa disposizione costituzionale, la legge 537/1993, articolo 1.33.4, dispone la privatizzazione degli enti pubblici di previdenza e assistenza, che non usufruiscono di finanziamenti pubblici o di altri ausili pubblici di carattere finanziario, e la loro trasformazione in associazioni o della fondazioni, con garanzie di autonomia gestionale, organizzativa, amministrativa e contabile, ferme restandone le finalità istitutive e l’obbligatoria iscrizione e contribuzione agli stessi degli appartenenti alle categorie di personale a favore dei quali essi risultano istituiti.
La norma appena citata conteneva una delega al governo per adottare un decreto legislativo, che è stato approvato nel 1994 (numero 509). Questo decreto già costituisce un arretramento rispetto all’indipendenza e all’autonomia delle Casse prevista dalla legge.
Va sottolineato che la privatizzazione delle Casse, compiuta nel 1993, non è stata una delle tante privatizzazioni che hanno riguardato il settore economico pubblico. Queste sono venute in un momento successivo, alla fine dell’ultimo decennio del secolo scorso, e sono state ispirate all’idea di riportare alla ricerca del profitto e sul mercato imprese gestite da enti pubblici in modo non profittevole e spesso godendo di benefici singolari. Invece, la privatizzazione delle Casse è stata ispirata all’idea di riconoscere i corpi intermedi; non riguardava imprese ma enti sociali; si allontanava dall’idea dello Stato come esclusivo fornitore della funzione di protezione sociale, fermo rimanendo il carattere pubblico di questa funzione, a cui corrispondono diritti dei privati.
- L’assimilazione alla pubblica amministrazione
Dal 1994 sono però intervenute numerose norme che hanno assimilato le associazioni e fondazioni alla pubblica amministrazione e che quindi vanno in controtendenza rispetto alla disciplina del 1993 – 94, che sottraeva gli enti al regime pubblicistico.
I nuovi vincoli sono contenuti in complessi normativi diretti ad aumentare i controlli, a prevedere interventi della Commissione di vigilanza sui fondi pensione, a consentire interventi dell’Agenzia per l’Italia digitale, ad applicare il codice dei contratti pubblici, ad inserire le Casse nell’elenco Istat collegato al Sistema europeo dei conti nazionali e regionali della Comunità, ad applicare agli enti la “spending review” per la riduzione della spesa pubblica, a sottoporre le Casse a controlli dell’Autorità nazionale anticorruzione e alla disciplina del pubblico impiego. A questa normativa potrebbe aggiungersi ora quella relativa agli investimenti delle Casse privatizzate.
Questa normativa comporta controlli del Ministero del lavoro, del Ministero dell’economia delle finanze, della Commissione bicamerale, della Covip, della Ragioneria generale dello Stato, della Corte dei conti, dell’Anac, dell’Agid, ed è in contraddizione sia con la disciplina privatistica alla quale si sono volute sottoporre le Casse nel 1993 – 94, sia con il criterio che la ispirava, quello dell’assenza di contributo o garanzia statale.
I punti principali di incidenza dell’impostazione pubblicistica sono tre: l’appartenenza delle Casse alla pubblica amministrazione, la loro definizione come organismi di diritto pubblico, le decisioni di investimento. A questi tre punti sono dedicati i paragrafi che seguono.
- L’appartenenza delle Casse alla pubblica amministrazione
Numerose norme, dal 2009 al 2016, hanno attratto le Casse nell’area della pubblica amministrazione. Queste norme hanno finalità di contenimento della spesa pubblica.
Ma le Casse non possono essere sottoposte alla stessa disciplina della pubblica amministrazione perché non sono rilevanti per la determinazione dei saldi di finanza pubblica. Non concorrono alla formazione del patrimonio pubblico perché le loro risorse sono costituite con contributi di privati professionisti e sono destinate ad uno scopo specifico. Su di esso e sulla sua gestione non possono applicarsi norme relative al contenimento della spesa pubblica, sia perché gli enti sono privati, sia perché le risorse gestite non provengono dal tesoro dello Stato, il quale ultimo ha solo provveduto a stabilire un obbligo di contribuzione, nello stesso tempo però escludendo che possano esservi finanziamenti pubblici o altri ausili pubblici di carattere finanziario, sia, infine, perché il patrimonio delle Casse privatizzate è vincolato quanto alla sua destinazione.
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- La definizione delle Casse come organismi di diritto pubblico
L’Autorità nazionale anticorruzione, da ultimo con il parere del 27. 4. 22, ha concluso che le Casse non sono escluse dall’applicazione del codice dei contratti pubblici, oggi contenuto nel DLGS 50/2016 perché i contratti che esse pongono in essere non sono riconducibili al mero affidamento di servizi finanziari.
Ma l’applicazione delle procedure di evidenza pubblica, e quindi il ricorso alle gare, è disposto dal codice dei contratti pubblici per gli enti pubblici e per gli organismi di diritto pubblico. Le Casse sono enti privati e per esse non ricorrono tutti e tre i requisiti di legge. Non sono enti pubblici perché definiti dalla legge fondazioni o associazioni. Non sono organismi di diritto pubblico perché per la loro esistenza debbono ricorrere tre requisiti, fissati dal diritto europeo e ripetuti nell’articolo 3 del DLGS 50/2016: a) essere istituito per soddisfare specificamente esigenze di interesse generale avente carattere non industriale commerciale; b) essere dotato di personalità giuridica; c) essere finanziato in modo maggioritario dallo Stato, da enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico, oppure essere controllato da uno di questi ultimi, oppure avere un organo di amministrazione, di direzione o di vigilanza costituito da membri dei quali più della metà è designata dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico.
Ora, nelle Casse non ricorre questo terzo requisito perché non c’è e non ci può essere un finanziamento pubblico; perché negli organi di amministrazione non vi sono membri designati per metà dallo Stato, da enti pubblici o da altri organismi di diritto pubblico e la gestione non è soggetta al controllo pubblico. Il controllo a cui fa riferimento la norma non è il controllo esterno, ma il controllo interno, tramite la partecipazione (se così non fosse, anche le banche e le assicurazioni, che sono sottoposte a controlli esterni di organismi pubblici, dovrebbero essere soggette alla disciplina del codice dei contratti pubblici e quindi stipulare contratti soltanto sulla base di gare).
- Il controllo pubblico degli investimenti
L’adozione del decreto legge 98/2011, articolo 14.3, ha indotto a ritenere che il Ministero dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e sentita la Covip, possa dettare disposizioni in materia di investimento delle risorse finanziarie anche delle Casse professionali privatizzate nel 1993.
Vi sono alcuni motivi per dubitare che si possa legittimamente arrivare a questa conclusione.
In primo luogo, l’articolo in questione è intitolato “soppressione, incorporazione e riordino di enti ed organismi pubblici”. Le casse non sono né enti, nè organismi pubblici.
In secondo luogo, le disposizioni in materia di investimenti debbono, in base al terzo comma della stessa norma, tener conto di quanto previsto dall’articolo 2.2 del decreto legislativo 509/1994. Ora, questo articolo detta un criterio diverso ed autonomo, stabilendo la necessità che le casse assicurino l’equilibrio di bilancio sulla base di bilanci tecnici almeno triennali ed è questo che le Casse debbono rispettare.
In terzo luogo, i riferimenti contenuti nel terzo comma hanno ad oggetto gli “enti previdenziali”, mentre le disposizioni che sottopongono le Casse al controllo della Commissione di vigilanza sui fondi pensioni – Covip, nel primo comma, fanno espresso riferimento agli “enti di diritto privato di cui al decreto legislativo 509/1994”.
A questi argomenti di carattere giuridico, da cui si evince che la legge non consente di dettare criteri di investimento relativamente alle Casse (stabilendo, ad esempio, limiti agli investimenti immobiliari, la disciplina delle remunerazioni, le regole sul conflitto degli interessi e il ricorso agli strumenti derivati), si aggiungono quelli di carattere sostanziale. C’è, infatti, un contrasto tra la determinazione di questi criteri e l’autonomia gestionale delle Casse. La loro gestione diventerebbe difficoltosa e costosa per il suo carattere di uniformità (in quanto riguarda Casse di dimensioni diverse) e per la sua rigidità. L’equilibrio contributi – prestazioni deve essere stabilito per ogni Cassa in relazione a dimensioni, numero di iscritti e rotazione di contribuenti e aventi diritto alle prestazioni. Si aggiunga che con normative di questo tipo, dettate dal regime del sospetto, le società di gestione del risparmio non sarebbero inclini a collaborare e che le fondazioni di origine bancaria, che hanno problematiche simili, hanno potuto autoregolamentare i propri investimenti, senza essere sottoposte a regole statali uniformi e rigide.
- Gli argomenti del vincolo e della garanzia implicita
A sostegno della ripubblicizzazione delle Casse che erano state privatizzate nel 1993 – 94, vengono adoperati due argomenti, che vanno qui considerati.
Il primo argomento è quello che si trae dalla stessa legge delegante del 1993, la quale dispone che restano ferme le finalità istitutive e l’obbligatoria iscrizione e contribuzione agli enti degli appartenenti alle categorie di personale a favore dei quali essi risultano istituiti.
Ma trarre dalla obbligatorietà dell’iscrizione e della contribuzione la conseguenza che il soggetto debba essere assimilato alla pubblica amministrazione non è solo contrario all’espressa disposizione della norma che prevede il carattere privato degli enti, ma anche alla logica. Infatti, pe fare soltanto due altri esempi di obblighi, un vincolo urbanistico gravante su un edificio collocato in una zona urbana impone obblighi che vanno rispettati, ma non fa diventare l’edificio pubblico; né gli obblighi che gravano sui notai, per la funzione pubblica che essi svolgono, li fa diventare funzionari pubblici. Questo vale a maggior ragione per le Casse, perché il vincolo non è disposto nell’interesse pubblico, ma nell’interesse dei privati che beneficieranno delle prestazioni derivanti dalle contribuzioni obbligatorie; e perché lo debbono far rispettare gli stessi amministratori delle Casse, che rappresentano la categoria assistita.
L’altro argomento è quello che viene definito della “garanzia implicita” del Tesoro in caso di insolvenza delle Casse. Questo argomento chiaramente dimostra troppo, perché dovrebbe valere anche per le banche e per le assicurazioni, e quindi ne discenderebbe che anche le banche e le assicurazioni possono essere assimilate alle pubbliche amministrazioni. Per escludere conclusioni di questo tipo, il diritto europeo ha stabilito i ben noti criteri di “bail in”.
- Conclusioni
Un noto studioso francese, Thomas Perroud, ha scritto di recente un articolo intitolato “Le droit privé est-il l’avenir de l’action public?”, illustrando il progressivo svuotamento dello Stato e del diritto pubblico, perché il diritto privato governa sempre di più l’azione pubblica, e occorre quindi ripensare il diritto privato come un diritto comune all’azione pubblica. C’è una penetrazione del diritto privato molto profonda nell’ambito del diritto pubblico. Di una tendenza di questo tipo si era reso conto il legislatore nel 1993 – 1994, compiendo la riforma delle Casse. In un quarto di secolo si stanno lentamente mettendo in dubbio i benefici di quella lungimirante riforma.
Sabino Cassese, professore emerito, già giudice costituzionale ed ex ministro