LIBERTA' DECISIONALE

Perché il consenso informato sia valido deve essere espresso con "volontà libera" e prima dell'inizio dell'atto medico.

La capacità decisionale va verificata di volta in volta, accertando se il paziente sia in grado di comunicare col/coi curante/i e se dia segno di aver compreso l'informazione, se intenda le alternative e persista nelle conclusioni espresse.

In presenza di esplicito rifiuto del paziente capace di intendere e volere, il medico deve desistere da qualsiasi atto diagnostico e curativo, non essendo consentito alcun trattamento medico contro la volontà del paziente, ove non ricorrano le condizioni di necessità e urgenza implicanti "danno grave alla persona".

  “non si rinviene traccia costituzionale (e non potrebbe essere diversamente) che imponga un obbligo di curarsi o che assegni un diritto del medico a curare chi tali cure rifiuti, poiché non può immaginarsi un «bene vita» come entità esterna all’individuo e che all’individuo possa essere imposto contro la sua volontà”
  Gip del Tribunale di Torino - ordinanza depositata il 16 gennaio 2013

Un intervento "indicato", ma non necessario richiede sempre il consenso.

La documentata volontà della persona assistita di non essere informata o di delegare ad altro soggetto all'informazione, deve essere rispettata (Codice Deontologico art. 33 comma 6).

 

Secondo Domenico Fiordalisi: "Il principio dell'autodeterminazione trova un riconoscimento nel nostro ordinamento nella corretta interpretazione dell' art.2 della Costituzione , in quanto la dottrina più evoluta ha superato la concezione -funzionalista- della necessità della tutela della vita e della salute per l'adempimento degli -inderogabili doveri di solidarietà politica, economica e sociale-.

Non vi è quindi un dovere di tenersi in vita ed in buona salute per far fronte agli interessi collettivi, in quanto la Carta costituzionale è ispirata al principio personalistico.

Ne deriva il riconoscimento di un diritto a restare malato, che è legittimamente comprimibile solo dove il rifiuto di cure da parte di un soggetto esponga a pericolo la salute altrui.

A questo concetto si ispira l'attuale codice di deontologia medica

Ne deriva che, in presenza di dissenso proveniente da un soggetto capace di intendere e di volere, il trattamento coattivo costituisce reato (artt. 582-583,610-611-612-613); al contrario l'omissione di trattamento ed il mancato impedimento della morte del paziente sarà scriminato, in quanto giuridicamente doveroso ex art. 51 c.p.

Il medico avrà solo il dovere di assicurare i trattamenti consentiti dal paziente dissenziente, rappresentandogli i rischi specifici legati alla persistenza del suo rifiuto.

Non manca chi critica questa posizione (Eusebi L. Sul mancato consenso al trattamento terapeutico pag. 728, il quale valorizza la finalità terapeutica realizzata lege artis) e la Cassazione proprio con la sentenza 27 marzo 2001 n. 731 sez. IV ha scelto una posizione intermedia ritenendo di limitare la penale responsabilità del medico all'ipotesi di un intervento chirurgico effettuato contro la volontà espressa e conclamata del paziente e non anche quando il consenso manchi.

Tuttavia se il medico agisce lo fa sicuramente ritenendo suo dovere inderogabile quello di salvare la vita del paziente esposto a grave pericolo e fino a che punto la vita sarebbe un bene disponibile, come si evince dagli artt. 579, 580 c.p. relativi all'omicidio del consenziente ed all'agevolazione ed istigazione al suicidio?"