TITOLARITA' IN CASO DI MINORI

Dalla nascita alla maggiore età, tranne i casi di emancipazione e alcune altre situazioni specificatamente previste dalla legge (vedi –Si esula dal consenso informato-), gli atti relativi al minore per i quali è necessaria la capacità di agire vengono compiuti dai genitori in quanto titolari della potestà genitoriale (art. 316 c.c.), in comune accordo o dal tutore.
Se uno dei genitori non può esercitare la potestà a causa di lontananza, di incapacità, o di altro impedimento, la potestà è esercitata in modo esclusivo dall’altro genitore (art. 317 c.c.).

In caso di minore al medico compete la decisione clinica che va adottata solo dopo aver tenuto conto dell'opinione di entrambi i genitori (a maggior ragione se i genitori sono separati) e, ove possibile, la volontà del soggetto.

In particolare, secondo gli attuali orientamenti :

•  prima dei 6-7 anni un bambino non può esprimere un consenso autonomo

•  tra i 7 e i 13 anni un bambino in qualche misura può essere coinvolto nel consenso, anche se è necessario e prevale quello dei genitori

•  dopo i 14 (secondo gli ultimi orientamenti si scende a 12 anni per certe situazioni e anche a meno se capaci di discernimento) anni il bambino dovrebbe essere prioritariamente coinvolto anche se il consenso compete legalmente ai genitori (art.2 CC con la maggiore età si acquisisce la capacità di compiere tutti gli atti per i quali non sia stabilita una età diversa).

In caso di dissenso su questioni di particolare importanza ciascuno dei genitori può ricorrere al giudice (Tribunale per i Minorenni) indicando i provvedimenti che ritiene più idonei.

In caso di urgenza e necessità, il dissenso dei genitori non deve condizionare l'operato del medico: nei casi in cui vi sia difformità fra la decisione del medico e la potestà del genitore o del tutore di rifiuto alle cure, per il diritto alla vita del minore o dell'incapace, il medico, non potendosi sostituire a lui, ha il dovere di informare il giudice competente perché adotti i provvedimenti di urgenza e solo nel caso di impossibilità di un intervento del magistrato, il medico potrà e dovrà agire sulla base dello stato di necessità.

Se il padre e la madre rifiutano un trattamento, ma il figlio la pensa diversamente, secondo la legge l'intervento che non riveste un carattere di urgenza deve essere rimandato finche' il minore non avrà compiuto i 18 anni.

Figli minori di genitori non coniugati
In generale nel nostro ordinamento (art. 317 c.c.) la potestà spetta al genitore che ha riconosciuto il figlio naturale.
Tuttavia, se il riconoscimento del figlio naturale è fatto da entrambi i genitori, l’esercizio della potestà spetterà ad entrambi congiuntamente qualora siano conviventi; se i genitori non convivono fra loro l’esercizio della potestà spetta al genitore con il quale il figlio convive e se il minore non convive con alcuno di essi, la potestà spetta al primo dei genitori che ha effettuato il riconoscimento.
In generale, il consenso alle cure dei figli minori naturali riconosciuti (nati cioè fuori del matrimonio) deve essere prestato dal genitore che ha riconosciuto il minore e/o che sia con lui convivente.


Figli minori di genitori separati o divorziati
Dal 10 marzo 2006 (legge 54/2006 e in precedenza legge 149/2001) è entrata in vigore la legge sull’affidamento condiviso: la nuova normativa prevede l’affidamento esclusivo del minore ad uno solo dei genitori come ipotesi residuale ed eccezionale.
La regola è quella dell’ affidamento condiviso, con esercizio della potestà genitoriale da parte di entrambi i genito-ri, per cui:

Figli di genitori deceduti o che non possono esercitare la potestà
In questo caso si apre d’ufficio la tutela: il Tribunale per i Minorenni nomina un tutore ed è a costui che deve essere richiesto il consenso alle cure da eseguirsi sul minore (art. 343 c.c.).