IL CONSENSO INFORMATO NEL CODICE DEONTOLOGICO  

Il Codice di Deontologia Medica nel costante principio del rispetto della persona del malato e della sua dignità non si discosta dal solco dottrinario e giurisprudenziale e il "consenso informato" è l'applicazione di tale concetto.

L' articolo 35   del nuovo Codice deontologico, sottolineando che “l'acquisizione del consenso o del dissenso è un atto di specifica ed esclusiva competenza del medico, non delegabile”,  stabilisce che “il medico non intraprende né prosegue in procedure diagnostiche  e/o interventi terapeutici senza la preliminare acquisizione del consenso informato o in presenza di dissenso informato”, ricalcando quanto previsto nel precedente Codice deontologico del 2007 e cioè "il medico non deve intraprendere attività diagnostica e/o terapeutica senza l'acquisizione del consenso esplicito ed informato del paziente".

All'articolo 37 in caso di minore o infermo di mente puntualizza che “il medico, in caso di paziente minore o incapace, deve acquisire dal rappresentante legale il consenso o il dissenso informato alle procedure diagnostiche e/o agli interventi terapeutici e  segnalare all'Autorità competente l'opposizione da parte del minore informato e consapevole o di chi ne esercita la potestà genitoriale a un trattamento ritenuto necessario e, in relazione alle condizioni cliniche, procede comunque tempestivamente alle cure ritenute indispensabili e indifferibili”.

Ne deriva che solo in casi routinari si può presumere dal generico conferimento dall'incarico fatto al medico liberamente scelto, anche un consenso alle cure e interventi diagnostici, anche se va tenuto presente che il consenso anche se presunto non è mai implicito.

In ogni altro caso, cioè nei trattamenti diagnostico-terapeutici che eccedono l'ordinario o con possibilità lesive sull'integrità psicofisica del paziente, il consenso deve essere sempre espresso e acquisito.

Nel rapporto medico paziente si è passati dal paternalismo benevolo alla condotta condivisa nell'atto medico, ancora considerato come una -prestazione di mezzi- secondo le regole del buon padre di famiglia e non una -garanzia di risultato-, ove, secondo il giudice Alfonso Marra, per "risultato si intende il completo svolgimento dell'attività professionale su base collaborativa in rapporto alle informazioni fornite, all'esattezza della diagnosi, della prognosi e delle conseguenze dell'intervento chirurgico, non intendendosi raggiunto qualora si verifichi un evento lesivo collegato e un rischio non comunicato al paziente".

Il Codice deontologico prevede che il consenso debba essere espresso in forma scritta nei casi previsti dalla legge e nei casi in cui per la particolarità delle pre­stazioni diagnostiche e/o terapeutiche o per le possibili conseguenze delle stesse sulla integrità fisica si renda opportuna una manifestazione inequivoca della volontà della persona.

Al quarto comma dell'articolo 35 il precedente Codice deontologico aveva  stabilito che il medico deve sempre rispettare la volontà di curarsi del paziente: " in presenza di documentato rifiuto di persona capace di intendere e di volere, il medico deve desistere dal conseguenti atti diagnostici e/o curativi, non essendo consentito alcun trattamento medico contro la volontà della persona", tranne i casi in cui "il paziente non è in grado di esprimere la propria volontà in caso di grave pericolo di vita, tenendo sempre conto di quanto eventualmente precedentemente manifestato dallo stesso in modo certo e documentato (vedi articolo 38)".

L’attuale Codice deontologico puntualizza al quarto comma dell’articolo 35 che “il medico deve sempre tenere in adeguata considerazione le opinioni espresse dal minore in tutti i processi decisionali che lo riguardano”, e all’articolo 38 vengono riprese e meglio specificate le dichiarazioni anticipate di trattamento e all’ultimo comma “Il medico coopera con il rappresentante legale perseguendo il migliore interesse del paziente e in caso di contrasto si avvale del dirimente giudizio previsto dall'ordinamento e, in relazione alle condizioni cliniche, procede comunque tempestivamente alle cure ritenute indispensabili e indifferibili”.

Ricordiamo come previsto dall’articolo 54 del codice penale in caso di grave pericolo di vita, anche senza specifico consenso, il medico è legittimato ad agire dallo -stato di necessità-.

Allora, fino a che punto l'esplicito rifiuto del paziente capace di intendere e volere obbliga il medico a cessare da qualsiasi attività di diagnosi e di terapia, posto che non è consentito alcun trattamento medico contro la volontà del paziente? Sino a che punto è valido il rifiuto del paziente alle attività di cura e di diagnosi dato che il rifiuto comporterebbe un atto dispositivo della vita o dell'integrità psicofisica cioè di beni indisponibili?

Il medico si chiede "se agisco in presenza di un consenso negativo possono incorrere nella violenza privata?", al contrario "se non agisco posso incorrere in omicidio colposo?"

Il Codice deontologico nel rispetto della persona, riconoscerebbe infatti il diritto del paziente a non curarsi.

Riteniamo interessante riportare il parere di un magistrato, il dott.Domenico Fiordalisi: " Il principio dell'autodeterminazione trova un riconoscimento nel nostro ordinamento nella corretta interpretazione dell' art.2 della Costituzione , in quanto la dottrina più evoluta ha superato la concezione -funzionalista- della necessità della tutela della vita e della salute per l'adempimento degli -inderogabili doveri di solidarietà politica, economica e sociale-.

Non vi è quindi un dovere di tenersi in vita ed in buona salute per far fronte agli interessi collettivi, in quanto la Carta costituzionale è ispirata al principio personalistico.

Ne deriva il riconoscimento di un diritto a restare malato, che è legittimamente comprimibile solo dove il rifiuto di cure da parte di un soggetto esponga a pericolo la salute altrui.

A questo concetto si ispira l'attuale codice di deontologia medica .

Ne deriva che, in presenza di dissenso proveniente da un soggetto capace di intendere e di volere, il trattamento coattivo costituisce reato (artt. 582-583, 610-611-612-613 ); al contrario l'omissione di trattamento ed il mancato impedimento della morte del paziente sarà scriminato, in quanto giuridicamente doveroso ex art. 51 c.p.

Il medico avrà solo il dovere di assicurare i trattamenti consentiti dal paziente dissenziente, rappresentandogli i rischi specifici legati alla persistenza del suo rifiuto.

Non manca chi critica questa posizione (Eusebi L. Sul mancato consenso al trattamento terapeutico pag. 728, il quale valorizza la finalità terapeutica realizzata lege artis) e la Cassazione proprio con la sentenza 27 marzo 2001 n. 731 sez. IV ha scelto una posizione intermedia ritenendo di limitare la penale responsabilità del medico all'ipotesi di un intervento chirurgico effettuato contro la volontà espressa e conclamata del paziente e non anche quando il consenso manchi."

Prosegue peraltro il dott.Fiordalisi ponendo l'attenzione che se il medico agisce lo fa sicuramente ritenendo suo dovere inderogabile quello di salvare la vita del paziente esposto a grave pericolo. Inoltre la vita non sarebbe un bene disponibile, nemmeno da parte del suo titolare, come si evince dagli artt. 579, 580 c.p . relativi all'omicidio del consenziente ed all'agevolazione ed istigazione al suicidio.

Fino a che punto dunque se il medico rimane inerte, pur in presenza del dissenso espresso, non può essere ritenuto partecipe dell'omicidio di un consenziente o agevolatore di un suicida?

Il consenso per essere valido può derivare solo dalla conoscenza, più completa possibile, possibilmente (anche per eventuali risvolti in caso di contestazione: lo detto, non l'ho detto, io non lo faccio, ecc.) dallo stesso operatore, del trattamento che verrà praticato, dei benefici che ne deriverebbero, dei rischi possibili e prevedibili, dalle diverse soluzioni diagnostico terapeutiche alternative coi rischi connessi.

Il consenso dell'assistito è valido solo se preceduto da una informazione -adeguata- e, ovviamente, -compresa-: "nell'ipotesi in cui, per negligenza o per imprudenza, il chirurgo ometta di informare adeguatamente il paziente circa i rischi cui va incontro e ottenga, perciò, un consenso viziato in quanto non adeguatamente informato..( Cassazione sez.IV 5 novembre 2002 numero 1240 )".

L'informazione deve essere resa in modo comprensibile o in modo obiettivo, seppur con quella dovuta circospezione riguardanti prognosi infauste o con gravi rischi, tali da poter preoccupare in modo traumatizzante il paziente che difficilmente potrebbe dare con serenità il consenso richiesto.

Va precisato che il dovere di informare da parte del medico e il diritto di essere informato da parte del paziente è previsto dall'articolo 33: “il medico garantisce alla persona assistita o al suo rappresentante legale un'informazione comprensibile   ed  esaustiva   sulla  prevenzione,  sul  percorso  diagnostico,  sulla  diagnosi, sulla prognosi, sulla terapia e sulle eventuali alternative diagnostico-terapeutiche, sui prevedibili rischi e complicanze, nonché sui comportamenti che il paziente dovrà osservare nel processo di cura. Il medico adegua la comunicazione alla capacità di comprensione della persona assistita o del suo rappresentante legale, corrispondendo a ogni richiesta di chiarimento”.
L'articolo prosegue poi, sinteticamente: “tenendo conto della sensibilità e reattività emotiva dei medesimi, in particolare in caso di prognosi gravi o infauste, senza escludere elementi di speranza”. Il precedente codice puntualizzava che: "le informazioni riguardanti prognosi gravi o infau­ste o tali da poter procurare preoccupazione e sofferen­za alla persona, devono essere fornite con prudenza, u­sando terminologie non traumatizzanti e senza esclude­re elementi di speranza".
L’articolo termina al penultimo comma: “il medico rispetta la necessaria riservatezza dell'informazione e la volontà della persona assistita di non essere informata o di delegare ad altro soggetto l'informazione, riportandola nella documentazione  sanitaria”, in precedenza:  "la documentata volontà della persona assistita di non essere informata o di delegare ad altro soggetto l'informazione deve essere rispettata".

Nel rispetto alla persona anche se minore il medico (articolo 35 ultimo comma) deve tener conto delle sue opinioni in tutti i processi decisionali che lo riguardano. Infatti all’articolo 33 del nuovo codice è appunto previsto che il medico deve garantire al minore elementi di informazione utili perché comprenda la sua condizione di salute e gli interventi diagnostico-terapeutici programmati, al fine di coinvolgerlo nel processo decisionale.

In caso di minori o incapaci il medico deve informare e acquisire il consenso da parte di chi esercita la potestà tutoria.

In caso di diniego al consenso informato per un intervento diagnostico-terapeutico ritenuto necessario ed indifferibile, come previsto dall'articolo 37 del Codice deontologico "Il medico segnala all'Autorità competente l'opposizione da parte del minore informato e consapevole o di chi ne esercita la potestà genitoriale a un trattamento ritenuto necessario e, in relazione alle condizioni cliniche, procede comunque tempestivamente alle cure ritenute indispensabili e indifferibili”, ciò per avere, dopo la valutazione degli interessi del minore o dell'incapace, l'eventuale autorizzazione ad intervenire, fermo restando, come ben specificato, in caso di particolare urgenza indifferibile l'immediata esecuzione del trattamento, giustificato dallo stato di necessità (articolo 54 del codice penale).

Rispetto al Codice precedente è stato introdotto un ulteriore articolo il 39:  assistenza al paziente con prognosi infausta  o con definitiva compromissione dello stato di coscienza, col quale ricorda il dovere del medico a prestare la propria opera e non abbandonare i pazienti con prognosi infausta o con definitiva compromissione dello stato di coscienza, attuando trattamenti di sostegno delle funzioni di vita finchè ritenuti proporzionali con chiaro accenno, dunque, a evitare l’accanimento terapeutico.