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2. GENERALITA'

2.1 CONCETTO DI "DISABILE"

Si intende persona handicappata colui che presenta una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione.

In particolare, la disabilità va intesa come difficoltà all'espletamento delle "attività personali" e alla "partecipazione sociale".

2.2 ACCERTAMENTI e CERTIFICAZIONE DI "DISABILITA’"

L’articolo 4 della legge 104/92 prevede che gli accertamenti relativi alla minorazione, alle difficoltà, alla necessità dell’intervento assistenziale permanente e alla capacità individuale residua siano effettuati da parte delle ASL mediante le Commissioni mediche (legge n. 295 del 15 ottobre 1990, legge n. 423 del 27 ottobre 1993, Circolare del Ministero del lavoro n. 43 del 1 aprile 1994 e Circolare dell’INPS n. 53 del 29 aprile 2008) integrate da un operatore sociale e da un esperto nei casi da esaminare, in servizio presso le ASL.
Il DL 78/2009 all’articolo 20 comma 1 prevede che a decorrere dal 1° gennaio 2010 ai fini degli accertamenti sanitari di invalidità civile, cecità civile, sordità civile, handicap e disabilità le Commissioni mediche delle Aziende sanitarie locali siano integrate da un medico dell'INPS quale componente effettivo.

In particolare, il certificato di handicap non può essere sostituito da altri certificati di invalidità (civile, di servizio, del lavoro, di guerra) anche se attestano una invalidità totale.
Infatti occorre il riconoscimento, da parte della apposita Commissione medica della ASL integrata da un medico dell’INPS, della situazione di gravità della persona handicappata, con minorazione che ne riduce l’autonomia personale in modo da rendere necessario un intervento assistenziale permanente.

Se la Commissione medica non si pronuncia entro 45 giorni (DL 90 del 24 giugno 2014 articolo 25 comma 4), previa richiesta motivata dell'interessato, e' autorizzata a rilasciare un certificato provvisorio al termine della visita. Il certificato provvisorio produce effetto fino all'emissione dell'accertamento definitivo da parte della Commissione medica dell'INPS.

In precedenza, prima del 25 giugno 2014, la Commissione aveva tempo 90 giorni, dalla presentazione della domanda, e oltrepassando tale termine l’accertamento poteva essere effettuato dal medico dell’ASL, specialista nella patologia della quale è affetto il disabile (articolo 2, comma 2, del DL 27 agosto 1993, n. 324 convertito alla L. 27 ottobre 1993, n. 423)..
L’INPS con la circolare 32/2006 aveva chiarito inoltre che lo specialista che poteva rilasciare la certificazione provvisoria, valida sino alla conclusione del procedimento di accertamento, era il medico della struttura di ricovero pubblica o privata equiparata alla pubblica (aziende ospedaliere, strutture ospedaliere private equiparate alle pubbliche e cioè: policlinici universitari, istituti sanitari privati qualificati presidi USL, enti di ricerca).
Dal certificato doveva essere possibile riscontrare sia la descrizione degli elementi costituenti la diagnosi clinica sia la qualificazione medico legale in termini di grave infermità (Ministero Lavoro, Salute e Politiche Sociali - Nota 25 novembre 2008, n. 16754).
Inoltre la suddetta certificazione (dei medici degli ospedali gestiti direttamente dalle AASSLL e ai medici delle strutture di ricovero pubbliche o private equiparate alla pubblica) aveva natura -provvisoria- e pertanto revocabile, qualora la Commissione medica non avesse riconosciuto la sussistenza della situazione di handicap grave, con conseguente legittimazione dell’INPS a richiedere al dipendente la restituzione di quanto fruito a titolo di permesso, sin dal primo giorno dalla presentazione della domanda (Ministero Lavoro-Attività Ispettiva - Interpello n 32 del 9 agosto 2011).
Detta norma non sembrerebbe abrogata con la nuova disposizione

Per i pubblici dipendenti non ci sono norme specifiche e, quindi, vale l’indicazione generale (legge 423/1993).

2.2.1 ACCERTAMENTI e CERTIFICAZIONE SINDROME DI DOWN

In base alla legge 27 dicembre 2002, n. 289 - articolo 94 comma 3, le persone con sindrome di Down possono essere dichiarate in situazione di gravità, oltre che dalle Commissioni dell’ASL, anche dal proprio medico di famiglia o dal pediatra di libera scelta, allegando alla certificazione l’esame cromosomico (cariotipo).

Poichè la forma clinica invalidante è permanente, le persone affette da sindrome di Down (DM 2 agosto 2007- INPS messaggio 31125/2010) non sono soggette alle verifiche periodiche.

2.2.2 ACCERTAMENTI e CERTIFICAZIONE GRANDI INVALIDI DI GUERRA

I grandi invalidi di guerra, cioè i titolari di pensione o di assegno temporaneo di guerra per lesioni o infermità ascritte alla prima categoria con o senza assegno di superinvalidità, non sono assoggettati agli accertamenti sanitari: la situazione di gravità è attestata dalla documentazione (oscurando la parte relativa alla diagnosi) rilasciata agli interessati dal Ministero dell’Economia e delle Finanze al momento della concessione dei benefìci pensionistici (oscurando la parte relativa alla diagnosi) (legge 23 dicembre 1998, n. 448 - articolo 38 comma 5). Può essere tenuta valida anche la copia dell’attestato di pensione.

2.2.3 SCADENZA CERTIFICAZIONE

In sede di accertamento di handicap la Commissione dell’Asl può fissare una rivedibilità con indicazione della data di scadenza del verbale di accertamento, con effetto di decadenza dei benefici previsti (permessi lavorativi e congedi retribuiti).

Poiché non sempre la convocazione per il controllo avviene automaticamente, è consigliabile presentare istanza di nuovo accertamento.

In caso di decadenza della situazione di gravità dell’handicap e dei relativi riconoscimenti, va fatta segnalazione al datore di lavoro e all’istituto previdenziale di appartenenza.

Con la circolare 127 dell’8 luglio 2016 l’Inps chiarisce che le autorizzazioni per i tre giorni di permesso mensili previsti dalla legge 104/1992 per i disabili gravi e rilasciate sulla base di un verbale soggetto a revisione non debbono riportare più la data di scadenza, ma indicare che il provvedimento ha validità fino alla conclusione dell’iter sanitario di revisione come previsto dall’articolo 25 comma 6bis del D.L.90/2014 (Nelle more dell'effettuazione delle eventuali visite di revisione e del relativo iter di verifica, i minorati civili e le persone con handicap in possesso di verbali in cui sia prevista rivedibilità conservano tutti i diritti acquisiti in materia di benefici, prestazioni e agevolazioni di qualsiasi natura. La convocazione a visita, nei casi di verbali per i quali sia prevista la rivedibilità, e' di competenza dell'Istituto nazionale della previdenza sociale - INPS ).
In particolare, se la verifica si conclude con una conferma, il disabile o il suo familiare non dovranno presentare una nuova domanda di permessi, nemmeno se viene prevista una ulteriore revisione del nuovo verbale, a meno che nel frattempo sia cambiato il datore di lavoro o l’orario ( dal full time a part time o viceversa o se si deve modificare il tipo di permesso).

2.3 REQUISITO DI "GRAVITA’"

Il riconoscimento di una invalidità civile, anche se attesta una invalidità totale, non è sufficiente per ottenere i permessi per l’assistenza al disabile: è necessario il riconoscimento (da parte della Commissione medica o in situazione di urgenza e in via provvisoria dai medici di ospedali gestiti dalle ASL o dai medici delle strutture di ricovero pubbliche o private equiparate alla pubblica) della -situazione di gravità della persona handicappata-, la cui minorazione ne abbia ridotto l’autonomia personale in modo da rendere necessario un intervento assistenziale permanente.

Però poiché detta certificazione (dei medici degli ospedali gestiti direttamente dalle AASSLL e ai medici delle strutture di ricovero pubbliche o private equiparate alla pubblica) ha natura -provvisoria- e pertanto revocabile, qualora la Commissione medica non riconosca la sussistenza della situazione di handicap grave, l’INPS è legittimato a richiedere al dipendente la restituzione di quanto fruito a titolo di permesso, sin dal primo giorno dalla presentazione della domanda (Ministero Lavoro-Attività Ispettiva - Interpello n 32 del 9 agosto 2011).

Per comprovare il diritto alla fruizione del permesso retribuito per documentata grave infermità è idoneo il certificato redatto dallo specialista dal quale sia possibile riscontrare sia la descrizione degli elementi costituenti la diagnosi clinica che la qualificazione medico legale in termini di grave infermità (Ministero Lavoro, Salute e Politiche Sociali - Nota 25 novembre 2008, n. 16754).

2.4 RICOVERO "A TEMPO PIENO"

Per ricovero a tempo pieno si intende quello in cui il disabile trascorre tutta la giornata o gran parte di essa presso una struttura adibita all’accoglimento degli handicappati (INPS circolare 90/2007 e circolare 155/2010); i ricoveri in day hospital e i Centri socio riabilitativi diurni per disabili con finalità assistenziali o riabilitative o occupazionali rientrano nell’accezione di Istituti specializzati.

Possono essere concessi, mediante accertamento da parte del dirigente responsabile del Centro medico legale delle sede di competenza dell’INPS permessi anche nel caso di ricovero a tempo pieno di una persona con handicap grave (indipendentemente dall’età) se questi si trovi in coma vigile o in stato terminale.
Anche in caso di bambini con età inferiore ai tre anni con handicap grave possono essere concessi permessi nel caso di ricovero a tempo pieno, finalizzato ad un intervento chirurgico oppure a scopo riabilitativo.
Il D.Lgs. 119/201 all’art.3 modificando l’art. 33 del D.Lgs. 151/2001 ha eliminato la condizione ostativa del ricovero a tempo pieno, qualora sia richiesta dai sanitari la presenza del genitore.
E’ richiesta una documentazione prodotta dai sanitari della struttura ospedaliera di bisogno di assistenza da parte di un genitore o di un familiare.

La circolare INPS numero 155/2010 ha così puntualizzato le ipotesi che fanno eccezione in caso di ricovero a tempo pieno con assistenza continuativa sanitaria:


2.5 REQUISITO DI "CONVIVENZA"

Ai fini della necessità di una assistenza continuativa, per -convivenza- si deve fare riferimento, in via esclusiva, alla residenza, luogo in cui la persona ha la dimora abituale, ai sensi dell’art. 43 cod. civ., non potendo ritenersi conciliabile con la predetta necessità la condizione di domicilio né la mera elezione di domicilio speciale previsto per determinati atti o affari dall’art. 47 c.c. (INPS messaggio numero 19583 del 2 settembre 2009).
Quindi per convivenze si deve intendere solo la comune residenza, luogo in cui la persona ha la dimora abituale e non è accettabile la condizione di domicilio né la mera elezione di domicilio speciale previsto per determinati atti o affari dall’articolo 47 del codice civile.

In particolare, secondo la lettera circolare del 18 febbraio 2010 prot. 3884 del Ministero del lavoro e delle politiche socialial fine di addivenire ad una interpretazione del concetto di convivenza che faccia salvi i diritti del disabile e del soggetto che lo assiste, rispondendo, nel contempo, alla necessità di contenere possibili abusi e un uso distorto del beneficio, si ritiene giusto ricondurre tale concetto a tutte quelle situazioni in cui, sia il disabile che il soggetto che lo assistite abbiano la residenza nello stesso Comune, riferita allo stesso indirizzo: stesso numero civico anche se in interni diversi.

CONCETTO DI CONVIVENZA e DI COABITAZIONE

In tema di assistenza al familiare portatore di handicap

«… il concetto di convivenza non può essere ritenuto coincidente con quello di coabitazione poiché in tal modo si darebbe un’interpretazione restrittiva della disposizione che, oltre che arbitraria, sembra andare contro il fine perseguito dalla norma di agevolare l’assistenza degli handicappati, di talché sarebbe incomprensibile escludere dai suddetti benefici il lavoratore che conviva costantemente, ma limitatamente ad una fascia oraria della giornata, con il familiare handicappato al fine di prestargli assistenza in un periodo di tempo in cui, altrimenti, di tale assistenza rimarrebbe privo.

Conseguentemente, non può ritenersi di per sé falsa, ai fini che qui interessano, l’indicazione del R. di essere convivente con la madre, in quanto non necessariamente incompatibile con la diversa dimora del predetto con moglie e figli, né con la legittima fruizione del congedo di cui all’art. 42 comma 5 del D.Lgs. 151/2001, giacché quel che rileva è, comunque, la prestazione di un’assistenza assidua e continuativa alla portatrice di handicap».

                    Corte di Cassazione penale - sentenza n. 24470 del 17 maggio 2017

 

Ricordiamo che per alcune fattispecie il requisito di convivenza è stato eliminato dall’articolo 20 della legge 53/2000.
Anche il requisito della –esclusività- e della –continuità- sono stati abrogati dall’articolo 24 commi 2 e 3 della legge 183/2010.

Il D.Lgs. 119/2011 modificando l’art. 33 della legge 104/1992 all’articolo 6 (vedi anche circolare INPS numero 32/2012 punto 5 e circolare Funzione Pubblica numero 1/2012 punto 5) commina in capo al beneficiario del -permesso- (che risieda in un comune posto oltre 150 chilometri da quello dell’assistito) l’onere di dimostrare gli avvenuti spostamenti attraverso titoli di viaggio o altra idonea documentazione.

CODICE CIVILE

Art. 43. DOMICILIO E RESIDENZA
1. Il domicilio di una persona è nel luogo in cui essa ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi.
2. La residenza è nel luogo in cui la persona ha la dimora abituale.

Art. 47. ELEZIONE DI DOMICILIO
1. Si può eleggere domicilio speciale per determinati atti o affari.
2. Questa elezione deve farsi espressamente per iscritto.

 

2.6 ASPETTI ECONOMICI e PREVIDENZIALI

La legge 27 ottobre 1993 n.423 chiarisce che i permessi ex lege 104/1992 sono retribuiti, mentre la legge 8 marzo 2000 n.53 specifica che questi permessi sono coperti da contribuzione figurativa, cioè dai versamenti utili per il raggiungimento del diritto alla pensione.
La fruizione dei permessi lavorativi derivanti dall'articolo 33 della Legge 104/1992 non incide sulla maturazione delle ferie e della tredicesima mensilità.

2.7 ASPETTI NORMATIVI

Scelta del permesso
La fruizione delle due ore di permesso giornaliero (articolo 33 comma 2 della legge 104/92) o dei tre giorni di permesso mensile (articolo 33 comma 3 della legge 104/92) è alternativa (non è possibile fruire nello stesso mese dei permessi orari e di quelli giornalieri); per prevalente giurisprudenza, il titolare del diritto può scegliere tra permessi orari e giornalieri una volta al mese.

Il permesso richiesto dal portatore di handicap può essere cambiato da un mese all’altro, previa modifica della domanda precedentemente presentata.
Il cambiamento può essere consentito anche nell’ambito del mese, se sopraggiungono esigenze improvvise e non prevedibili al momento della richiesta del permesso.
In tal caso la comunicazione va fatta prima dell’inizio del servizio.
Infatti, se da un lato la scelta dei giorni di fruizione dei permessi mensili deve contemperare la necessità di buon andamento dell’attività imprenditoriale e il diritto all’assistenza del disabile, dall’altro canto va tenuto presente che le esigenze di tutela del disabile prevalgono sempre sulle necessità dell’impresa in caso di improcrastinabili richieste di assistenza (Ministero del Lavoro - Interpello n. 31 del 6 luglio 2010).

Richiesta part-time
La legge di riforma del Welfare al comma 44 punto d) 3 prevede che il lavoratore o la lavoratrice con figlio convivente con handicap come da articolo 3 della legge 104/1992 abbia la priorità nella richiesta di trasformazione del contratto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale.

Sede di lavoro

Diritto alla sede di lavoro più vicina e trasferimento ad altra sede di lavoro
(art. 33, 5° comma, L. 104/92; art. 19, L. 53/2000)

Il 5° comma dell'art. 33 prevede il diritto del genitore, che assiste con continuità ed in via esclusiva il figlio affetto da handicap in gravità, alla scelta della sede di lavoro più vicina al proprio domicilio.

Il lavoratore medesimo, inoltre, non può essere trasferito senza il suo consenso presso altra sede.

Sul punto è intervenuto il Consiglio di Stato, in funzione giudicante e consultiva, nei seguenti termini:
• il diritto alla sede più vicina presuppone l'esistenza (vacanza organica) del posto nella sede in cui si intende essere assegnati o rimanere;
• il diritto al trasferimento o alla permanenza in sede è subordinato all'assistenza di un soggetto con grave handicap; pertanto, se questi non versa nelle condizioni di gravità, ex art. 3, 3° comma, L. 104/92, il diritto non è riconosciuto;
• lo stesso diritto viene meno nel caso in cui cessino i presupposti (ad es. morte dell'assistito o mutamento delle condizioni sanitarie), con conseguente revoca del provvedimento;
• non è riconosciuto il beneficio al trasferimento o alla permanenza in sede al dipendente, quando già altro familiare presti assistenza continuativa al medesimo congiunto disabile.

Diritto alla sede di lavoro più vicina e trasferimento ad altra sede - rinvio –
(art. 33, 5° comma, L. 104/92; art. 19, L. 53/2000)
La legge 53/2000 ha modificato il comma 5° dell'art. 33 eliminando il requisito della convivenza; pertanto, il lavoratore, che assiste con continuità ed in via esclusiva un familiare disabile, parente o affine entro il terzo grado, può chiedere di essere trasferito ad altra sede di lavoro più vicina al proprio domicilio e non può essere trasferito ad altra sede senza il suo consenso.

 

Va sempre giustificato il trasferimento del familiare del disabile
Con sentenza n. 9201 del 7 giugno 2012, la Cassazione ha affermato che è da considerarsi illegittimo il trasferimento del lavoratore che assiste un familiare portatore di handicap anche non grave, qualora l'azienda non abbia prodotto alcun motivo che, in un bilanciamento degli interessi, possa giustificare la perdita di cure da parte del soggetto debole.
In particolare, il diritto del lavoratore a non essere trasferito ad altra sede lavorativa senza il suo consenso (articolo 33 comma 5 della legge 104/92) non può subire limitazioni anche allorquando la disabilità del familiare non si configuri come grave risultando la sua inamovibilità - nei termini in cui si configuri come espressione del diritto all’assistenza del familiare comunque disabile - giustificata dalla cura e dall'assistenza da parte del lavoratore al familiare con lui convivente, sempre che non risultino provate da parte del datore di lavoro - a fronte della natura e del grado di infermità (psico-fisica) del familiare - specifiche esigenza datoriali che, in un equilibrato bilanciamento tra interessi, risultino effettive, urgenti e comunque insuscettibili di essere diversamente soddisfatte.

LEGGE 104 e TRASFERIMENTO
Se manca la comunicazione ex art. 10-bis legge n. 241/1990 niente diniego al trasferimento

Il Tar Toscana (sentenza n. 926/2017) ha accolto un ricorso contro il diniego alla domanda di trasferimento, perché l'amministrazione non ha consentito il leale contraddittorio, ritenendo erroneamente la natura "vincolata" del suo provvedimento e non inviando la comunicazione in questione (mancanza di preavviso di rigetto della domanda). 
Ricordiamo che l'art. 33 comma 5 l. 104/92 prevede che il lavoratore che debba assistere un familiare in condizioni di grave invalidità ha diritto di scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede.
L'amministrazione, ricevuta la domanda, deve mettere in atto obbligatoriamente una serie di valutazioni di tipo organizzativo e funzionale che  finiscono all'interno di un provvedimento motivato e discrezionale, non vincolato. 
Infatti il preavviso è direttamente collegato con le motivazioni del provvedimento finale e deve essere ammessa la possibilità di riaprire l'istruttoria a seguito delle osservazioni ricevute.
Il tutto tenendo presente da una parte quello alla solidarietà familiare attraverso l'assistenza domestica, dall'altra quello del buon andamento degli uffici ed apparati.

Tar Toscana - sessione I - sentenza numero 926 del 14.06.2017  pubblicata l’11.07.2017

Solo in presenza di sopravvenuta incompatibilità ambientale il lavoratore portatore di handicap può essere trasferito in nuova sede di lavoro anche senza il preventivo consenso (Corte di Cassazione sentenza numero 24775 del 5 novembre 2013)

Il genitore che assiste con continuità un figlio disabile ha diritto (art. 33 della legge 5 febbraio 1992 n. 104) a scegliere -ove possibile- la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio (per il medico dipendente, solo nell'ambito della stessa amministrazione che abbia la disponibilità del posto corrispondente al profilo professionale posseduto dall'interessato e non tra enti diversi; tale diritto, pertanto, non può essere invocato per ottenere il trasferimento da una A.S.L/A.O. ad un'altra A.S.L/A.O. seppur della stessa Regione in quanto le aziende sanitarie sono persone giuridiche autonome e le loro "sedi di lavoro" sono le strutture operative da esse dipendenti - Tribunale di Prato sentenza numero 437 del 1 marzo 2005 e, in precedenza, Dipartimento della Funzione pubblica con nota 8352 del 21 novembre1995 e Consiglio di Stato, sezione speciale, sentenza numero 369 del 20 gennaio 1997) e non può essere trasferito ad altra sede senza il suo consenso.
Inoltre da tenere presente che qualora un lavoratore pubblico con una situazione familiare già esistente che dà diritto ai permessi "ex lege" n. 104/1992, accetti un posto di lavoro fuori dalla propria sede e, di conseguenza, venga lì trasferito, non può poi rivendicare, in via prioritaria, il trasferimento nella vecchia sede per assistere il familiare handicappato (Cassazione sentenza numero 23526 del 2 novembre 2006).
Va inoltre tenuto presente (Tar Lazio sentenza 8639/2005) che la norma che prevede il diritto del parente di un disabile alla scelta della sede di lavoro, non contempla il diritto al trasferimento in corso di rapporto di lavoro ai fini dell’avvicinamento al famigliare bisognoso di assistenza. Il criterio ispiratore della decisione di accordare o meno il beneficio del trasferimento è quello di tutelare le situazioni di assistenza già esistenti, mentre esigenze successivamente insorte a causa della sopravvenienza di uno stato di disabilità non possono trovare soddisfazione in virtù dell’applicazione della previsione legislativa all’art. 33, comma 5, della legge n. 104/92. In particolare, la concessione del beneficio di cui all’art. 33, comma 5, della legge n. 104/92 non può in alcun caso prescindere dal riscontro di una già esistente situazione di assistenza continuativa ovvero dall’attualità dell’assistenza, sicché non può essere concesso ai dipendenti che, non assistendo con continuità un familiare, aspirino al trasferimento proprio al fine di poter instaurare detto rapporto di assistenza continuativa.

Il diritto del genitore o del familiare lavoratore che assiste con continuità un handicappato, di scegliere la sede lavorativa più vicino al proprio domicilio e di non essere trasferito ad altra sede senza il suo consenso, non si configura come un diritto assoluto o illimitato perché detto diritto non può essere fatto valere allorquando, alla stregua della regola di un equo bilanciamento tra i diritti, tutti con rilevanza costituzionale, il suo esercizio finisca per ledere in maniera consistente le esigenze economiche, produttive o organizzative del datore di lavoro e per tradursi, soprattutto nei casi in cui si sia in presenza di rapporti di lavoro pubblico, con l'interesse della collettività.

Cassazione Civile Sez.Unite numero 7945 del 27 marzo 2008

Il pubblico dipendente cui è negato dall’amministrazione il trasferimento ad altra sede di lavoro (nella fattispecie per potersi avvicinare al luogo di residenza dei genitori bisognosi di assistenza essendo affetti da gravi disturbi psicofisici) può chiedere al giudice del TAR di intervenire per provvedere direttamente in sostituzione dell’amministrazione.

TAR - Lombardia numero 1428 dell’8 giugno 2011

L’articolo 24 della legge 183/2010 prevede ora che il lavoratore ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina non più al domicilio del lavoratore che presta assistenza, ma al domicilio della persona da assistere.

Il D.Lgs. 119/2011 modificando l’art. 33 della legge 104/1992 all’articolo 6 commina in capo al beneficiario del -permesso- (che risieda in un comune posto oltre 150 chilometri da quello dell’assistito) l’onere di dimostrare gli avvenuti spostamenti attraverso titoli di viaggio o altra idonea documentazione.

ESENZIONE DAL LAVORO NOTTURNO
Il lavoratore o la lavoratrice che abbiano a proprio carico per prestargli assistenza in prima persona un soggetto disabile ai sensi della legge 104/92 non sono obbligati a prestare lavoro notturno, ivi compresi eventuali turni di reperibilità o di pronta disponbilità (articolo 53 comma 3 del D.Lgs. 151/2001), essendo equiparati al lavoro notturno; non è prevista invece l’esenzione per la pronta disponibilità diurna, salvo deroghe contrattuali.

Qualora sia lo stesso lavoratore ad avere una invalidità accertata ai sensi della legge 104/92 il datore di lavoro dovrà assegnargli turni di lavoro diurno con attribuzione, ove possibile, di mansioni equivalenti a quelle che aveva in precedenza (articolo 15 D.Lgs. 66/2003).

Per l’esonero bisogna esercitare il diritto presentando domanda al proprio datore di lavoro.

2.8 PERMESSI LAVORATIVI e PART-TIME

In caso di part time varia il calcolo dei permessi mensili, o delle ore di permesso giornaliero, previsti dall’articolo 33 della Legge 104/1992.

Part-time orizzontale (lavoro tutti i giorni ma con un orario ridotto)

Nel caso del part time orizzontale, i giorni di permesso sono tre, con il numero di ore di lavoro contrattualmente previste.
Se si opta per i permessi orari spettano due ore di permesso al giorno se le ore giornaliere lavorate sono più di sei, se le ore lavorate sono meno di sei spetta un’ora al giorno.

Part-time verticale (solo alcuni giorni lavorati).

Non vi sono variazione della durata dei permessi orari, mentre per i permessi mensili:
Comparto pubblico
Il permesso mensile di tre giorni viene ridotto proporzionalmente alle giornate effettivamente lavorate (INPDAP - Circolare 34 punto 8 del 10 luglio 2000).
Comparto privato
Nel settore privato in caso di contratto part time verticale con attività lavorativa limitata ad alcuni giorni del mese, sia ad orario pieno che ad orario ridotto, il numero dei giorni di permesso spettanti va ridimensionato proporzionalmente (INPS - Circolare 133 del 17 luglio 2000):

x : a = b : c

(dove “a” corrisponde al numero dei giorni di lavoro effettivi, “b” a quello dei 3 giorni di permesso teorici, “c” a quello dei giorni lavorativi).
Il risultato numerico va arrotondato all’unità inferiore o a quella superiore a seconda che la frazione sia fino allo 0,50 o superiore.

La legge di riforma del Welfare al comma 44 punto d) 3 prevede che il lavoratore o la lavoratrice con figlio convivente con handicap come da articolo 3 della legge 104/1992 abbia la priorità nella richiesta di trasformazione del contratto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale.

IL PART TIME NON PUO’ TAGLIARE I PERMESSI DELLA 104

Il lavoratore a part-time verticale ha diritto a 3 giorni pieni di permesso mensile per assistere familiari con grave handicap ex lege 104.
La Cassazione con la sentenza 4069/2018 (in precedenza sentenza 22925/2017) in senso contrario a quanto previsto al punto 3.2 nella circolare 133/2000 dell’INPS, richiamando quanto previsto dal Dlgs 61/2000 all’articolo 4 (principio di non discriminazione in base al quale il lavoratore a part time non deve ricevere un trattamento meno favorevole rispetto al lavoratore a full time), riconosce i permessi per l’assistenza a familiari disabili tra i diritti non riproporzionali e pertanto fruibili dal lavoratore in part time di tipo verticale nella loro interezza. 

…Tenuto conto, pertanto, delle finalità dell'istituto disciplinato dall'art. 33 della Legge numero 104/1992, come sopra evidenziate attinenti a diritti fondamentali dell'individuo, deve concludersi che il diritto ad usufruire dei permessi costituisce un diritto del lavoratore non comprimibile e da riconoscersi in misura identica a quella del lavoratore a tempo pieno.   

Corte di Cassazione sezione Lavoro/civile - sentenza n. 4069 del 3.10.2017 pubbl. il 20.02.2018


Frazioni di mese
In caso di assistenza a un portatore di handicap per periodi inferiori a un mese i 3 giorni di permesso spettanti al richiedente vanno riparametrati (INPS - Circolare 128 dell’11 luglio 2003).
In particolare:

In caso di permessi orari, va tenuto presente che il permesso ad ore è legato alla singola giornata e al relativo orario e, pertanto, non si applica nessuna parametrazione.

 

2.9 PERMESSI LAVORATIVI e CUMULABILITA’

Lavoratore disabile che assiste familiare con handicap grave
Per il settore della dipendenza privata l’INPS, con la circolare 29 aprile 2008, n. 53 - punto 6, prevede che il lavoratore con disabilità grave, che già beneficia dei permessi ex lege 104/92 per se stesso, possa cumulare anche il godimento dei tre giorni di permesso mensile per assistere un proprio familiare con handicap grave, senza che debba essere acquisito alcun parere medico legale sulla capacità del lavoratore di soddisfare le necessità assistenziali del familiare anch'esso in condizioni di disabilità grave.

Per il settore della pubblica dipendenza l’INPDAP, con circolare 10 luglio 2000, n. 34 - punto 5.1, ammette la cumulabilità dei benefici in capo al lavoratore nella sua duplice qualità di familiare di persona disabile grave e di portatore, lui stesso, di handicap grave, a condizione che non vi siano altri familiari in grado di prestare assistenza.

Permessi per un disabile che già fruisce di permessi
Con la circolare 37 del 18 febbraio 1999 l’INPS regolamenta la possibilità di cumulo di permessi per assistenza a disabile che già usufruisce di permessi a condizione che

  1. il disabile abbia effettiva necessità di assistenza, accertata dal medico della sede INPS, da parte di familiare convivente
  2. che nel nucleo familiare non sia presente altro familiare –non- lavoratore in condizione di poter dare assistenza.

Con la successiva circolare 128 dell’11 luglio 2003 l’INPS precisa che familiare e invalido debbono utilizzare i permessi negli stessi giorni.

L’INPDAP per il settore pubblico non ha contemplato l’ipotesi, pertanto non la esclude né la condiziona.

NB - Gli studenti, ai fini di cui sopra (prestazioni legge 104/1992), sono equiparati ai lavoratori (anche nei periodi di inattività scolastica) e per gli universitari dopo il primo anno oltre alla iscrizione è richiesta anche l’effettuazioni di esami.

Assistenza a più disabili
Non esiste nessuna norma specifica che regolamenti il diritto di un lavoratore di raddoppiare i permessi lavorativi se deve assistere due familiari disabili.
Pareri, circolari e sentenze hanno dato interpretazioni regolamentari, talora discordanti.

Sulla questione della cumulabilità dei permessi lavorativi si era espresso per primo il Consiglio di Stato (Parere 785 del 14 giugno 1995) che si era espresso favorevolmente circa la possibilità di cumulare in capo allo stesso lavoratore permessi lavorativi per diversi familiari con handicap grave.
Per l’INPS (Circolare n. 211 del 31 ottobre 1996 punto 1) quando nel nucleo familiare sono presenti più persone handicappate gravi, bisognose di assistenza, può essere riconosciuta al lavoratore, dietro sua specifica richiesta ed al verificarsi di alcune condizioni (in particolare non vi siano altri familiari in grado di prestare assistenza), la possibilità di cumulare più permessi, sempre, però, nel limite massimo di tre giorni per ogni familiare handicappato.
Anche l’INPDAP aveva recepito l’indicazione con Circolare n. 34 del 10 luglio 2000 (punto 5.1). La cumulabilità in capo allo stesso lavoratore è ammessa a condizione che non vi siano altri familiari in grado di prestare assistenza o quando il lavoratore non sia in grado, nel limite di soli tre giorni mensili, di soddisfare le esigenze di più familiari handicappati, tenuto conto della natura dell’handicap.
Attualmente, per i soli dipendenti pubblici, il Dipartimento della Funzione Pubblica col parere numero 13 del 18 febbraio 2008, facendo riferimento all’articolo 20 delle legge 53/2000, dà però una diversa indicazione: poiché i benefici possono essere fruiti anche in assenza di convivenza, non avrebbe una giustificazione l’eventuale raddoppio dei benefici in caso di pluralità di disabili da assistere; infatti i permessi possono essere fruiti solo in riferimento ad un’unica persona disabile (un’assistenza resa con continuità è logicamente prestata in favore di una sola persona). Ne deriva, dunque, che sarebbe impossibile una pluri-assistenza.
Il parere tuttavia non sarebbe tassativo e sarebbe rimandata alla discrezionalità delle diverse amministrazioni la valutazione dei casi “eccezionali”.

La Cassazione sezione lavoro con la sentenza 4623/2010 ha, peraltro, riconosciuto a un lavoratore con due gemelli con gravi problemi di handicap il diritto a un permesso di due ore giornaliere per ciascun figlio sino al compimento del terzo anno di vita dei bimbi. Infatti l’agevolazione della legge 104/92 mira a evitare che i bimbi restino senza assistenza e pertanto va riconosciuto il diritto della lavoratrice madre o del padre lavoratore di figli con handicap in situazione di gravità a usufruire, in alternativa al prolungamento fino al terzo anno del congedo parentale, di due ore di permesso al giorno retribuito per ciascun bambino e fino al compimento del terzo anno.

Cumulo permessi e congedo straordinario
Se in una parte di un mese fruito è stato usufruito un altro tipo di assenza, in particolare da congedo straordinario (articolo 42 comma 5 del DLgs 151/2001), nella parte rimanente del mese permane il diritto ai permessi lavorativi previsti dall’articolo 33 della legge 104/1992?
Nel settore della dipendenza privata l’INPS con la circolare 29 aprile 2008 n. 53 prevede la possibilità di cumulo nello stesso mese, ma in giornate diverse, del congedo straordinario coi permessi lavorativi riparametrati sui giorni effettivamente lavorati (INPS circolare 11 luglio 2003 numero 128 punto 3): in caso di assistenza a un portatore di handicap per periodi inferiori a un mese vanno proporzionalmente ridimensionati i 3 giorni di permesso ai sensi della legge 104 spettanti al richiedente; in particolare, quando l’assistenza sia inferiore a 10 giorni continuativi non dà diritto a nessuna giornata o frazione di essa, per i periodi superiori a 10 giorni ma inferiori a 20 spetterà un solo giorno di permesso. Inoltre, in caso di fruizione di permessi ad ore ai sensi della Legge 104/92 (da parte del lavoratore handicappato o del genitore di un figlio portatore di handicap di età inferiore a 3 anni), non si procede al ridimensionamento suddetto, essendo il permesso ad ore legato alla singola giornata (ed al relativo orario) di fruizione del permesso.
Nella pubblica dipendenza il Dipartimento della Funzione Pubblica (Uppa - parere n. 1/2007) ritiene invece che durante il periodo di congedo usufruito da un genitore, in modo continuativo o frazionato, sia l’uno che l’altro genitore non possono beneficiare nello stesso mese dei tre giorni di permesso o degli equivalenti permessi orari previsti dall’art. 33, comma 3, della legge n. 104 del 1992.

Referente unico per l’assistenza alla stessa persona in situazione di disabilità grave
Il permesso per l’assistenza a un disabile in situazione di gravità non può più essere riconosciuto a più di un dipendente (l’Inps nel messaggio n. 1740/2011 dà le indicazioni) per l’assistenza alla stessa persona (referente unico), salvo che si tratti di un figlio con handicap in situazione di gravità nel qual caso spetta a entrambi i genitori (anche adottivi) alternativamente (art.24 legge 183/2010 e INPS circolare 155/2010 punto 2.1).

In particolare, non è possibile accordare i permessi in alternanza a più di un lavoratore per l’assistenza di un disabile e nell’ipotesi in cui il portatore di handicap assuma il domicilio, per determinati periodi di tempo, presso la residenza di diversi parenti entro il secondo grado è sempre necessario che ciascun avente diritto presenti, di volta in volta, l’istanza per ottenere il riconoscimento dei permessi di cui all’art. 33, L. n. 104/1992 al fine di prestare legittimamente la dovuta assistenza (Ministero Lavoro-Attività Ispettiva - Interpello n 32 del 9 agosto 2011).


L’INPS colla circolare n. 45 del 1° marzo 2011 e l’INPDAP colla circolare n. 1 del 14 febbraio 2011 forniscono un quadro riepilogativo della disciplina in materia di permessi previsti dall’art. 33 della legge 104/1992 e successive modifiche e integrazioni, in particolare dopo l’entrata in vigore della legge n. 183 del 4 novembre 2010 con la quale sono state introdotte, all’articolo 24, nuove disposizioni sui permessi retribuiti a favore dei dipendenti che assistono familiari con disabilità grave.