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7. PERMESSI PER L'ALLATTAMENTO DEI FIGLI

La legge 1204 del 30 dicembre 1971 all'articolo 10 prevede che i datori di lavoro debbano consentire alle lavoratrici madri, durante il primo anno di vita del bambino, due periodi di riposo della durata di un'ora ciascuno, anche cumulabili durante la giornata. Il riposo è uno solo quando l'orario giornaliero di lavoro è inferiore a sei ore. La donna può uscire dall'azienda.

I riposi giornalieri (permessi per l’allattamento) sono un diritto della lavoratrice madre nel primo anno di vita del bambino, di cui se ne può facoltativamente avvalere, ma non sono un dovere obbligatorio del datore di lavoro (interpello 23 del 24 settembre 2015 della Direzione Generale per l'Attività Ispettiva del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale) La lavoratrice può rinunciarvi, senza rischi di sanzioni per il datore di lavoro. Infatti la lavoratrice madre può facoltativamente rinunciare a questi permessi, anche se già richiesti al datore, senza che possa trovare applicazione nei riguardi del datore di lavoro il regime sanzionatorio previsto all’articolo 46 del DLgs 151/2001, che invece trova applicazione in caso di diniego qualora la lavoratrice non ne voglia usufruire.

I periodi di riposo sono di mezz'ora ciascuno quando la lavoratrice fruisca dell'asilo nido o di altra struttura idonea, istituiti dal datore di lavoro nell'unità produttiva o nelle immediate vicinanze di essa.

In particolare, l'INPS (Circolare 6 settembre 2006 numero 95bis) precisa che ai fini dal diritto ai riposi giornalieri va preso a riferimento l'orario giornaliero contrattuale normale, quello, cioè in astratto previsto, e non l'orario effettivamente prestato in concreto nelle singole giornate. Ne consegue pertanto che i riposi sono riconoscibili anche laddove la somma delle ore di recupero (banca ore per l'accumulo di ore espletate oltre il previsto orario giornaliero di lavoro) e delle ore di allattamento esauriscano l'intero orario giornaliero di lavoro comportando di fatto la totale astensione dall'attività lavorativa. In caso di part-time, allargato anche al caso limite di una sola ora di lavoro nell'arco della giornata, il riposo giornaliero di un'ora previsto per l'orario giornaliero fino a sei ore comporta la totale astensione dal lavoro.

Questi periodi di riposo cosiddetti per l'allattamento sono considerati ore lavorative agli effetti sia della durata che della retribuzione del lavoro (intero ammontare della retribuzione).

Con interpello n.2 del 16 aprile 2019 il Ministero del Lavoro precisa peraltro che i periodi dell’allattamento non portano a una decurtazione di 30 minuti per la così detta pausa pranzo. L’Aran nell’AranSegnalazioni n. 6/2019 evidenzia inoltre  che nella ipotesi di lavoro inferiore alle 6 ore non ha diritto alla pausa pranzo ed al buono pasto.
Anche la Cassazione colla sentenza n. 31137 del 28 novembre 2019 conferma che per la fruizione del buono pasto nei giorni in cui la lavoratrice è in permesso per allattamento occorre che la prestazione lavorativa abbia una durata superiore alle 6 ore: infatti l'assenza legittimata dai permessi per allattamento non fa maturare il diritto anche se tali ore sono equiparate per legge a quelle di lavoro ai fini retributivi e contributivi.

La legge 903 del 9 dicembre 1977 all'articolo 6-bis commi 1 e 2 prevede che questi periodi di riposo possano essere usufruiti anche dal padre lavoratore in determinate situazioni e precisamente:
  • nel caso in cui i figli siano affidati al solo padre;
  • in alternativa alla madre lavoratrice dipendente che non se ne avvalga (*);
  • nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente e cioè lavoratrice autonoma (artigiana, commerciante, coltivatrice diretta), parasubordinata o liberoprofessionista, escludendo la madre che non svolge attività lavorativa (interpretazione dell'Aran, Circolare INPS numero 8 del 17 gennaio 2003 e Circolare INPDAP numero 49 del 27 novembre 2000);
  • in caso di morte o di grave infermità della madre.
  • Era invece escluso il diritto del padre ai riposi orari quando la madre non svolge attività lavorativa (fatta salva l'ipotesi di grave infermità).

    Con la sentenza n. 4293 del 9 settembre 2008 il Consiglio di Stato sez. VI (e successiva sentenza della sezione III n. 4618 del 10 settembre 2014), poiché numerosi settori dell'ordinamento considerano la figura della casalinga come lavoratrice, individuando così la ratio della norma, volta a beneficiare il padre di permessi per la cura del figlio allorquando la madre non ne abbia diritto in quanto lavoratrice non dipendente e pur tuttavia impegnata in attività che la distolgano dalla cura del neonato, ha poi riconosciuto a un padre il diritto ai riposi orari anche se la madre non svolgeva nella fattispecie attività lavorativa essendo casalinga.
    Con la circolare numero 112 del 15.10.2009 l'INPS adeguandosi al principio espresso nella sentenza del Consiglio di Stato precisa che il padre lavoratore dipendente ha diritto ai riposi giornalieri anche nel caso in cui la madre casalinga si trovi nell'oggettiva impossibilità di dedicarsi alla cura del neonato, perché impegnata in altre attività (ad esempio accertamenti sanitari, partecipazione a pubblici concorsi, cure mediche ed altre simili).
    In data 16 novembre 2009 con la lettera circolare C/2009 n. 19605 il Ministero del lavoro ribadisce il diritto del coniuge di donna casalinga a fruire dei permessi per l'allattamento senza limiti e condizioni per mancanza di norme espresse e per non ingenerare questioni di costituzionalità nel creare disparità di trattamento. Subito dopo in data 25 novembre 2009 con la circolare n.118 l'INPS ha recepito quanto sopra e, precisamente, che il padre lavoratore dipendente ha diritto ai riposi giornalieri anche nel caso in cui la madre è casalinga, indipendentemente da situazioni di comprovata oggettiva impossibilità. Già in precedenza le Direzioni generali per l'Attività Ispettiva e per la Tutela delle Condizioni di Lavoro, del Ministero del Lavoro, con la lettera circolare B/2009 prot. 15/V/0008494/14.01.05.04 del 12/05/2009, avevano fornito chiarimenti in merito alla possibilità di riconoscere al lavoratore padre, durante il primo anno di vita del bambino, il diritto ai congedi di cui all'art. 40, DLgs 26 marzo 2001 n. 151, anche nei casi in cui la madre svolgesse attività di lavoro casalingo.

    Il Consiglio di Stato sezione IV nella sentenza n.4993 del 30 ottobre 2017 al paragrafo 11.14, prendendo in esame la problematica dei periodi di riposo riconosciuti al padre lavoratore nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente, ne circoscrive le possibilità: “se la madre sia casalinga ma, per specifiche, oggettive, concrete, attuali e ben documentate ragioni, non possa attendere alla cura del neonato, allora il padre potrà comunque fruire del riposo in questione: è vero, infatti, che la condizione di casalinga consente, in linea generale e di norma, di assicurare una presenza domestica, ma, laddove ciò nella concreta situazione non sia effettivamente possibile, si determina un vuoto di tutela del minore cui può sopperirsi con la concessione, al padre, del riposo giornaliero ex art. 40, in virtù di un'esegesi sistematica e teleologicamente orientata della norma”.

    Mentre la madre ha diritto ai riposi giornalieri durante il congedo parentale del padre, al padre non è possibile utilizzare i riposi durante il congedo di maternità e/o parentale della madre (tranne nei casi di parto plurimo), come pure nei casi in cui la madre non si avvale dei riposi in quanto assente dal lavoro per cause che determinano una sospensione del rapporto di lavoro (es.: aspettative o permessi non retribuiti, pause lavorative previste nei contratti a part-time verticale di tipo settimanale, mensile, annuale).

    A questo proposito precisiamo che il congedo su base oraria non è cumulabile coi riposi giornalieri per allattamento ex artt. 39 e 40 del T.U. maternità/paternità. 

    In passato, in caso di parto gemellare i riposi giornalieri potevano essere di durata superiore solo per provvedimenti del giudice. Ora, per la legge 53/2000 in caso di parto plurimo, i periodi di riposo sono raddoppiati e le ore aggiuntive possono essere utilizzate anche dal padre (**).

    A questo proposito la Direzione Generale per l'Attività Ispettiva del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale (interpello 23/2007), ribadendo quanto già espresso dall'INPS con la circolare numero 95bis del 6 settembre 2006, in risposta, in data 3 settembre 2007, ad un interpello del Consiglio Nazionale dell'Ordine dei Consulenti del Lavoro, relativamente alla possibilità che al padre lavoratore dipendente spettino o meno i riposi giornalieri aggiuntivi, previsti in caso di parto plurimo, non goduti dalla madre in quanto lavoratrice parasubordinata autonoma, nulla osterebbe a che il padre, lavoratore dipendente, possa fruire, in caso di parto plurimo, dei riposi giornalieri aggiuntivi (e quindi raddoppiati) secondo quanto previsto dall' art. 41 D.Lgs. n. 151/2001.".

    Le disposizioni in materia di riposi giornalieri si applicano anche in caso di adozione e di affidamento entro il primo anno di vita del bambino. Infatti secondo una ordinanza del Tribunale di Milano (secondo il giudice del lavoro dr. Amedeo Santosuosso-sentenza giugno 2002 l'espressione dell' articolo 45 del Dlgs 151/01 "entro il primo anno di vita" ha il significato non equivoco di "primo anno di vita nella famiglia adottiva"; con la sentenza 104/2003 la Corte costituzionale ha poi dichiarato illegittimo l'articolo 45 comma 1 la ove prevedeva che i riposi si applicassero in caso di adozione o di affidamento preadottivo entro il primo anno di vita del bambino cambiando la dizione -entro il primo anno di ingresso del minore nella nuova famiglia-) il diritto al riposo giornaliero va concesso non fino al primo anno di vita del bambino, ma fino al primo anno dall'ingresso nella nuova famiglia del bambino adottato o affidato.

    Questi permessi retribuiti, relativi alle due ore di riposo giornaliero, in caso di figli naturali, adottati o in affidamento con handicap in situazione di gravità e in alternativa al prolungamento del periodo di congedo parentale, possono essere usufruiti fino al compimento del terzo anno di vita del bambino handicappato. In caso di più figli con handicap il permesso di due ore spetta per ciascun figlio che non abbia ancora compito il terzo anno di vita (Cassazione sezione lavoro - sentenza 4623/10).

    In casi di speciale gravità dell'handicap, qualora il dirigente del Centro medico legale ravvisi la effettiva necessità del bambino a cure che non possono essere garantite durante le sole ore dell'allattamento, è possibile cumulare i permessi orari ex lege 104/92 e i riposi orari per allattamento come da DLgs 151/01 per lo stesso figlio portatore di handicap (messaggio INPS n. 11784) in tali ipotesi i due benefici sono previsti in favore di due situazioni completamente diverse e non tutelabili contemporaneamente con un solo istituto e precisamente da una parte i riposi per l'allattamento in quanto di età inferiore all'anno, dall'altra i permessi giornalieri perché portatore di speciale difficoltà nello svolgimento delle funzioni tipiche della piccola età.

    Ricordiamo che le lavoratrici esposte a radiazioni ionizzanti, se non possono essere adibite ad altre mansioni, hanno il diritto ad astenersi dal lavoro anche durante tutto il periodo dell'allattamento e cioè oltre al settimo mese dal parto anche oltre l'anno previsto quale periodo massimo durante il quale è possibile fruire degli ordinari permessi di allattamento (Ministero del lavoro interpello 26/2008). Infatti il periodo di allattamento non coincide necessariamente con il periodo di un anno che decorre dalla nascita del bambino previsto per il godimento dei così detti periodi per l'allattamento e giustificato dalla cura anche affettiva nei confronti del neonato. L'interdizione dal lavoro in caso di esposizione a rischio di contaminazione è legata invece all'effettivo allattamento del bambino (DLgs 151 art. 8 punto 3).

    L'inosservanza delle disposizioni sui periodi di riposo per l'allattamento e la cura dei figli è punita con una sanzione amministrativa.

    Dal punto di vista normativo e pensionistico questi periodi sono utili sia ai fini dell'anzianità di servizio e del calcolo degli istituti retributivi diretti e indiretti (ivi comprese ferie e tredicesima) sia ai fini della copertura pensionistica e previdenziale.

    (*) In particolare non può essere riconosciuto al padre lavoratore dipendente il diritto a godere dei riposi giornalieri come previsti dalla lettera b) dell'art. 40 del DLgs 151/2001 per accudire il primo figlio (due ore giornaliere durante il primo anno di vita) se contemporaneamente la madre sta fruendo del congedo di maternità (o parentale) per lo stesso figlio. Al contrario, in conformità a quanto enunciato nell' art. 41,il congedo spetta allorquando la madre sia in astensione obbligatoria o facoltativa per altro evento, ivi compreso il secondo figlio. Infatti il Testo Unico sulla Maternità prevede che, in caso di parto plurimo, i periodi di riposo siano raddoppiati e le ore aggiuntive possano essere utilizzate anche da l padre (messaggio INPS numero 14724 del 19 maggio 2006).

    (**) Secondo l'INPS (circolare numero 8 del 17 gennaio 2003) se la madre è lavoratrice autonoma (artigiana, commerciante, coltivatrice diretta o colona, imprenditrice agricola, parasubordinata, libera professionista), il padre può fruire dei riposi dal giorno successivo a quello finale del periodo di trattamento economico spettante alla madre dopo il parto e sempre che la madre (qualora si tratti di commerciante, artigiana, coltivatrice diretta o colona, imprenditrice agricola) non abbia chiesto di fruire ininterrottamente, dopo il suddetto periodo, del congedo parentale, durante il quale è precluso al padre il godimento dei riposi giornalieri. Inoltre se la madre è una lavoratrice autonoma non avrebbe diritto neppure alle ore riconosciute al padre, in caso di parto plurimo, come "aggiuntive" ai normali permessi giornalieri per l'evidente impossibilità di "aggiungere" ore quando la madre non ha la possibilità di esercitare il diritto ai riposi giornalieri. Quanto previsto nella circolare è stato parzialmente rettificato dalla circolare INPS numero 95 bis del 6 settembre 2006 e precisamente, fermo restando che per madre lavoratrice non dipendente deve intendersi la lavoratrice autonoma (artigiana, commerciante, coltivatrice diretta, parasubordinata e libera professionista) avente diritto ad un trattamento economico di maternità a carico dell'INPS o di altro ente previdenziale, va precisato che, in linea con l'evoluzione legislativa e giurisprudenziale sempre più tendente ad assicurare ad entrambi i genitori un ruolo paritario nelle cure fisiche ed affettive del bambino, anche nell'ipotesi considerata, il padre dipendente può fruire, in caso di parto plurimo, del benefido in esame in misura raddoppiata (secondo quanto previsto dall'art. 41 del T.U.). Circa le modalità di fruizione dei riposi giornalieri nella specifica ipotesi considerata (parto plurimo di madre lavoratrice non dipendente), il padre lavoratore dipendente può fruire dei riposi stessi anche durante i tre mesi dopo il parto, nonché durante l'eventuale periodo di congedo parentele della madre. In tali periodi, tuttavia, il diritto spetta nella misura di 2 ore o 1 ora a seconda dell'orario di lavoro, in analogia a quanto disposto in merito alle ore "aggiuntive" riconosciute al padre in caso di madre lavoratrice dipendente.