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18.1 ALCUNI ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI

Certificazione di gravidanza e mancata prestazione di lavoro - Cassazione 3620/2007
La lavoratrice è tenuta a presentare al datore di lavoro e all'istituto assicurativo il certificato di gravidanza, e la mancata prestazione di lavoro durante il tempo intercorrente tra la data di cessazione effettiva del rapporto di lavoro e la presentazione della certificazione non dà luogo a retribuzione (articolo 4, terzo comma, Dpr 25 novembre 1976, n. 1026). Tuttavia, secondo la Cassazione (sentenza numero 3620 del 16 febbraio 2007), ciò non significa che la presentazione del certificato sia indispensabile, anche soltanto al fine limitato del diritto alla retribuzione, e che non possa essere sostituita, a tutti gli effetti, dalla conoscenza effettiva, ottenuta anche altrimenti, che l'azienda abbia avuto dello stato di gravidanza della lavoratrice. Quello che rileva, e che condiziona il diritto alla retribuzione, è, in realtà, il fatto sostanziale della conoscenza da parte del datore dello stato di gravidanza della dipendente e dell'esistenza in vita del bambino, non il fatto formale dell'invio del certificato medico.

Diritto alla retribuzione in caso di mancato pagamento della maternità - Tribunale di Lecce sez.lavoro, sentenza 18.4.2006
Il Tribunale ha statuito che, in ipotesi di mancata corresponsione dell'indennità di maternità alla lavoratrice dipendente, quest'ultima sia titolare di un vero e proprio "diritto alla retribuzione" a contenuto sia patrimoniale, che non prettamente patrimoniale.
Tale indennità, infatti, costituisce per la lavoratrice madre il mezzo di sostentamento per sé e per la propria famiglia: sono, quindi, risarcibili non solo i danni che rappresentano una conseguenza diretta del mancato pagamento, ma anche quelli c.d. "indiretti", quali il danno esistenziale, che costituisce il normale effetto dell'inadempimento contrattuale. Graverà, comunque, sulla lavoratrice l'onere di provare il nesso eziologico tra il danno lamentato e l'inadempimento del datore di lavoro, oltre che l'impossibilità di prevenire od evitare il nocumento medesimo.

L'indennità di maternità e la risoluzione del rapporto - TAR Sardegna 563/87, TAR Toscana 1576/88, TAR Basilicata 357/91 e TAR Sardegna 1088/99
La lavoratrice in stato di gravidanza, che incorra nella risoluzione del rapporto di lavoro a tempo determinato durante il periodo di astensione obbligatoria, ha diritto alla percezione della indennità prevista dall'articolo 15 legge 30 dicembre 1971 numero 1204 a carico dell'ente di appartenenza e non dell'ente erogatore dell'indennità di malattia, anche per il periodo di astensione successivo alla scadenza del termine del rapporto.
Tale diritto decade in caso di dimissioni volontarie (TAR Lombardia sez.III 1032/99).

L'astensione per il padre lavoratore a tempo pieno - Corte costituzionale 1/87 e 179/93.
Attesi i differenti rapporti di lavoro (part-time la madre e full-time il padre) e quanto sancito dalla Corte costituzionale, il padre non potrebbe usufruire dei permessi previsti dalla legge per l'intera giornata di lavoro (8 ore), perché l'eventuale possibilità di assistere il figlio, da valutare con riferimento al rapporto di lavoro della madre, non sarebbe configurabile oltre le quattro ore giornaliere di lavoro della stessa.
(La nuova legge sui congedi parentali - legge 8 marzo 2000 numero 53 potrebbe garantire una più ampia previsione).

I permessi per l'allattamento: nessun taglio al premio incentivante - Cassazione 5151/88.
I riposi giornalieri per l'allattamento si debbono considerare per legge ore lavorative agli effetti della durata e della retribuzione del lavoro. Il legislatore ha equiparato il riposo per l'allattamento al lavoro effettivo per impedire che la lavoratrice madre, in vista di eventuali vantaggi economici, possa preferire il lavoro all'allattamento.

Madre casalinga? Al padre spetta il permesso per l'allattamento - Consiglio di Stato sezione VI, 4293/2008
Com'è noto, l'art. 6-ter l. 903/77 (introdotto dalla legge 53/00) stabilisce che: "I periodi di riposo di cui all'art. 10 della legge 30 dicembre 1971 n. 1204 e successive modificazioni e i relativi trattamenti economici sono riconosciuti al padre lavoratore: a) nel caso in cui i figli siano affidati al solo padre; b) in alternativa alla madre lavoratrice che non se ne avvalga; c) nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente."
Secondo il Consiglio di Stato, che ha sul punto richiamato un'interessante ricostruzione fornita da Cass. 20324/05, essendo noto che numerosi settori dell'ordinamento considerano la figura della casalinga come lavoratrice, va individuata la ratio della norma, volta a beneficiare il padre di permessi per la cura del figlio allorquando la madre non ne abbia diritto in quanto lavoratrice non dipendente e pur tuttavia impegnata in attività che la distolgano dalla cura del neonato.

Madre non lavoratrice dipendente e permessi al padre per l’allattamento -  Consiglio di Stato, sezione IV, 4993/2017
…  se la madre sia casalinga ma, per specifiche, oggettive, concrete, attuali e ben documentate ragioni, non possa attendere alla cura del neonato, allora il padre potrà comunque fruire del riposo in questione: è vero, infatti, che la condizione di casalinga consente, in linea generale e di norma, di assicurare una presenza domestica, ma, laddove ciò nella concreta situazione non sia effettivamente possibile, si determina un vuoto di tutela del minore cui può sopperirsi con la concessione, al padre, del riposo giornaliero ex art. 40, in virtù di un'esegesi sistematica e teleologicamente orientata della norma.

I riposi giornalieri spettano al padre militare anche se la mamma è casalinga - TAR Piemonte sezione I 1189/2012
Il Tribunale Amministrativo della Regione Piemonte sez. I, con sentenza n. 1189 del 9 novembre 2012, ha accolto il ricorso di un padre in merito al diritto di entrambi i genitori a partecipare alla cura dei figli. La particolarità della sentenza sta nel fatto che il papà è un militare dell'arma dei Carabinieri e che la mamma è una casalinga.
Il militare aveva chiesto il diritto ai riposi giornalieri previsti dall'articolo 40 D.L.vo. n.151/2001 (c.d. permesso di allattamento) che erano stati rifiutati dal proprio Comando proprio per il fatto che la moglie è casalinga e che quindi spettava a Lei badare ai figli.
L'intervento del TAR ha, invece, evidenziato come il fatto che la mamma sia casalinga non discrimini il lavoratore dal non poter partecipare alla cura dei propri figli.

Madre casalinga? Niente riposi giornalieri per il padre - Cons.Stato 4993/2017
Lo scopo della presenza domestica per il figlio di almeno uno dei genitori è ab initio soddisfatto quando uno dei due svolga attività di cura della casa
Il padre non ha alcun autonomo diritto ai riposi giornalieri, ma un diritto dipendente solo dall'impossibilità della madre di beneficiarne.
Se la madre è casalinga è innegabile che un genitore è presente in casa e, anche se è onerato dai compiti, pur gravosi, della casa e della famiglia, è in grado di soddisfare i bisogni cui tende appunto l'istituto dei riposi giornalieri, che è una "misura ausiliativa a favore (non dei genitori, ma) del bambino" e, quindi, il padre non può beneficiarne. (avv.ValeriaZeppilli - StudioCataldi)

Compatibili i riposi giornalieri del padre con madre lavoratrice autunoma che beneficia del trattamento economico di maternità – Cass. civ. sez.lavoro 22177/2018
La fruizione dei riposi giornalieri del padre lavoratore dipendente non è alternativa all’indennità della madre purchè non sia lavoratrice dipendente, infatti l’articolo 40 del DLgs 151/2001 prevede espressamente la possibilità che il padre possa utilizzare i permessi nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente.

La maternità non modifica la decorrenza del servizio - TAR Lazio sez.III 704/90 e Cons.Stato sez.V 505/91.
Tanto la decorrenza giuridica quanto quella economica del rapporto di lavoro retroagiscono alla data di assunzione (o di accettazione dell'incarico) anche se intervenuta durante il periodo di astensione obbligatoria per gravidanza. Infatti nel periodo di gravidanza e puerperio e' inibito alla lavoratrice lo svolgimento dell'attività lavorativa, ma non e' inibita la instaurazione del rapporto di lavoro.

L'astensione facoltativa va computata a tutti gli effetti anzianità di servizio - Consiglio di Stato sez.VI 5797/2007
I periodi di astensione obbligatoria dal lavoro per maternità devono essere computati, a tutti gli effetti, nell'anzianità di servizio.
In base al dato letterale della disciplina dell'astensione facoltativa si ricava che la stessa è equiparata all'effettiva prestazione di servizio, con l'eccezione degli effetti delle ferie, della tredicesima mensilità e della gratifica natalizia, lettura questa che trova anche conferma nella stessa ratio dell'istituto.
La circostanza che l'astensione facoltativa sia fruibile a scelta dell'interessata, non toglie che essa è rivolta alla tutela della prole, ossia al soddisfacimento di esigenze intimamente compenetrate, in un'ottica di naturale continuazione, con la tutela della maternità naturale posta a fondamento dell'astensione obbligatoria.
In precedenza Cons. Stato sezione VI 26 aprile 2002 numero 2254, Cons. Stato sezione VI 9 aprile 2000 numero 2038, Cons. Stato sezione II parere 17 ottobre 1990 e Cons. Stato sezione VI 16 maggio 2001 numero 2760 hanno escluso la possibilità di differenziare la computabilità dell'astensione obbligatoria e di quella facoltativa alla stregua di servizio effettivamente prestato.

Maternità e rapporto di lavoro pubblico annullato - Cassazione 23420/2004
Nel caso di annullamento, anche in sede di autotutela, degli atti della procedura concorsuale sul presupposto della quale è stato stipulato il contratto di lavoro, l'esecuzione della prestazione in base al contratto rende operante, in favore del lavoratore, la disposizione di cui all'art. 2126, comma 1, codice civile, con la conseguenza che qualora nel periodo in cui il contratto è stato eseguito si siano verificate le condizioni per il collocamento della lavoratrice in astensione obbligatoria dal lavoro, il diritto all'indennità di maternità, sorto quale effetto sul piano previdenziale della eseguita prestazione, resta insensibile alle successive vicende del rapporto correlate all'annullamento del provvedimento amministrativo.

Maternità: la costituzione del rapporto-accettazione e l'immediata astensione - TAR Lazio sez.III 1152/93, TAR Puglia - Lecce sez.I 142/98 e TAR Toscana sez.III 247/98
Il rapporto di impiego delle lavoratrici madre in astensione obbligatoria dal lavoro si instaura con l'accettazione della nomina, essendo la astensione obbligatoria equiparabile a tutti gli effetti al servizio prestato, con la conseguenza che alla lavoratrice madre e' dovuto il trattamento economico prevista dalla legge indipendentemente dalla circostanza che abbia o meno assunto regolare servizio.

Maternità: l'instaurazione del rapporto di lavoro si verifica con l'accettazione della nomina - Tar Sicilia Catania sez.III 561/03 e Tar Basilicata 685/03
Qualora la lavoratrice madre, al momento della nomina, si trovi in periodo di astensione obbligatoria (equiparabile al servizio prestato), non è possibile far conseguire la decadenza dall'impiego alla richiesta avanzata dalla lavoratrice, prima della scadenza del termine del periodo di astensione obbligatoria, di avvalersi di un periodo di astensione facoltativa: l'instaurazione del rapporto di lavoro, infatti, si verifica con l'accettazione della nomina, indipendentemente dall'effettiva assunzione in servizio.

Maternità: decorrenza nomina della lavoratrice in astensione obbligatoria per maternità - Tar Abruzzo sez. l'Aquila 185/05
L'anzianità di servizio (effetti giuridici e economici) della lavoratrice in astensione obbligatoria per maternità che abbia superato un concorso presso la pubblica amministrazione non deve essere computata a partire dal giorno dell'effettiva assunzione del servizio, ma dalla data prevista per tutti gli altri concorrenti o, in subordine, a partire dall'adozione del provvedimento di nomina, in quanto il periodo trascorso in astensione obbligatoria per maternità è equiparabile al servizio effettivamente svolto.

L'indennità di maternità in caso di cessazione del rapporto - Cons.Stato sez.V 681/88, TAR Veneto sez.II 1457/91, Cons.Stato sez.V 1299/97 e TAR Sardegna 1082/98.
L'indennità di maternità prevista dall'art.15 della legge 1204/71 per il periodo di astensione obbligatoria dal lavoro per gravidanza e puerperio, spetta non solo quando la cessazione del rapporto di lavoro intervenga durante il periodo di astensione, ma anche quando quest'ultimo abbia inizio entro il termine di sessanta giorni dalla cessazione del rapporto e in tal caso l'indennità si configura non già come un diritto nascente direttamente dal rapporto di lavoro, ma come una provvidenza a favore della maternità connessa con la prestazione attuale o pregressa dell'attività lavorativa.
Il soggetto passivo sul quale grava l'obbligo di corrispondere l'indennità di maternità alla lavoratrice madre assunta con contratto a tempo determinato e' il datore di lavoro della lavoratrice e non l'Ente previdenziale.

Scatta l'indennità di maternità per la lavoratrice (assunta con contratto a termine) che si rivela incinta alla visita medica - Cassazione sez.lavoro 22887/2008
Nei contratti a termine scatta la maternità per la lavoratrice che si rivela incinta alla visita medica e va riconosciuto il pieno diritto all'indennità.
Per ulteriori controlli il datore non può indirizzare la gestante all'Asl, ma deve passare attraverso l'ispettorato del lavoro che procede a sua discrezione.
In particolare, la Cassazione osserva che la indennità di maternità ha carattere solidaristico, a tutela della maternità e delle lavoratrici madri in applicazione dei principi di cui agli artt. 31 e 37 della Costituzione, e spetta, come questa Corte ha in precedenza affermato con la sentenza 7-8-1999 n. 8526, "alla lavoratrice gestante sospesa, assente dal lavoro senza retribuzione o disoccupata da meno di sessanta giorni dall'inizio del periodo di astensione obbligatoria dal lavoro, indipendentemente dalla natura della attività prestata dall'assicurata anteriormente all'inizio del periodo di disoccupazione, dal soggetto tenuto alla prestazione (che, per i dipendenti, pubblici, è l'amministrazione o l'ente di appartenenza…) e dall'esistenza di una specifica contribuzione…".

Indennità di maternità e disoccupazione - Cassazione 21218/2004
La Cassazione, accogliendo il ricorso di una lavoratrice contro l'INPS, ha affermato che "qualora l'astensione obbligatoria dal lavoro abbia inizio trascorsi sessanta giorni dalla risoluzione del rapporto di lavoro e la lavoratrice, disoccupata ed in godimento dell'indennità di disoccupazione, la stessa ha diritto, anziché della indennità di disoccupazione, all'indennità di maternità per tutto il periodo previsto per l'astensione dal lavoro, anche se nel frattempo è scaduto il limite entro il quale avrebbe avuto diritto all'indennità di disoccupazione ove tale indennità non fosse stata sostituita dall'indennità di maternità".

Indennità di maternità e contratto di solidarietà - Cassazione 3054/2005
Nei contratti di solidarietà "difensiva", si deve escludere che la riduzione di orario, possa costituire una ipotesi di sospensione dal lavoro senza retribuzione, ove siano trascorsi più di 60 giorni dall'inizio della sospensione, nei casi in cui precludano alle lavoratrici madri il diritto all'indennità di maternità.

Gravidanza intervenuta durante il preavviso e licenziamento
Cassazione Lavoro Ord.9268/2019

Il licenziamento di una lavoratrice il cui stato di gravidanza sia iniziato durante il periodo di preavviso è legittimo, ma la efficacia si sospende in quanto il periodo di preavviso si interrompe come nel caso della malattia o dell’infortunio. Esso continua a decorrere dal momento in cui cessa la causa sospensiva (il compimento di un anno di età del bambino).
La Suprema Corte non ha ritenuto applicabile l’art. 54 del D.L.vo n. 151/2001 che, fatte salve alcune specifiche eccezioni, stabilisce la nullità del recesso datoriale.

Indennita' intera a chi perde il posto - Cassazione 21121/2009
In tema di tutela delle lavoratrici madri, qualora l'astensione obbligatoria dal lavoro abbia inizio decorsi sessanta giorni dalla risoluzione del rapporto di lavoro e la lavoratrice si trovi, all'inizio dell'astensione obbligatoria dal lavoro, disoccupata e in godimento dell'indennità di disoccupazione, la stessa ha diritto, anziché all'indennità di disoccupazione, all'indennità di maternità per tutto il periodo previsto per l'astensione dal lavoro.
Ciò anche se nel frattempo è scaduto il limite entro il quale avrebbe avuto diritto all'indennità di disoccupazione ove tale indennità non fosse stata sostituita dall'indennità di maternità.

In caso di licenziamento diritto alle retribuzioni successive alla effettiva cessazione del rapporto - Cassazione sez.Lavoro 12693/2012
In tema di rapporto di lavoro irregolare, la lavoratrice in stato di gravidanza o puerperio licenziata nonostante il divieto di licenziamento ha diritto alle retribuzioni successive alla data di effettiva cessazione del rapporto, indipendentemente dall'invio della relativa certificazione medica ove il datore di lavoro abbia avuto comunque conoscenza effettiva dello stato di gravidanza.

Lavoratrice madre, recesso nullo e danni risarciti - Cassazione sez.Lavoro 475/2017
Il licenziamento comminato durante la gestazione o il puerperio (in particolare, dall’inizio del periodo di gravidanza sino al compimento di 1 anno d’età del nato) è improduttivo di effetti in base all’art.54 del DLgs 151/01 con la conseguenza che il rapporto deve ritenersi giuridicamente pendente e il datore di lavoro inadempiente va condannato a riammettere la lavoratrice in servizio e a pagarle tutti i danni  derivanti dall’inadempimento in ragione del mancato guadagno.

Congedo parentale e part-time - indennità piena in caso di licenziamento illegittimo - Corte di giustizia Europea C-588/2012
La Corte di Giustizia Europea, con sentenza C-588/12 pubblicata il 27 febbraio 2014, ha stabilito che il risarcimento per illegittimità del licenziamento è sempre dovuto per intero anche nel caso in cui il lavoratore percepisca una retribuzione inferiore perché occupato con un orario ridotto in forza di un congedo parentale.
La Corte di Giustizia ha, infatti, precisato che il diritto del lavoratore di ottenere una indennità forfettaria di tutela in caso di licenziamento illegittimo, istituto belga che corrisponde alla nostra indennità di risarcimento di tutela, è uno dei diritti acquisiti alla data d’inizio del congedo parentale e come tale deve rimanere immutato fino alla fine del congedo, indipendentemente dalla modifica dell'orario di lavoro.

L'indennità sostitutiva del preavviso in caso di dimissioni volontarie - Cassazione 11164/91.
In caso di dimissioni volontarie presentate durante il periodo per cui è previsto il divieto di licenziamento (dall'inizio della gestazione sino al compimento di un anno di vita del bambino), la lavoratrice madre ha diritto all'indennità sostitutiva di preavviso (anche nell'ipotesi in cui debba passare alle dipendenze di altro datore di lavoro).

P.A. - 30 giorni con piena indennità anche se il bambino ha superato i tre anni - Cassazione 3606/2012
Il D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 32, comma 1, lett. a) prevede il diritto al congedo parentale di sei mesi nei primi otto anni di età del bambino e un trattamento economico ( art. 34) del 30% della retribuzione fino al terzo anno di vita del figlio e dal terzo all'ottavo anno (in cui pure il congedo è consentito) l'indennità del 30% della retribuzione è dovuto solo se l'interessato è titolare di reddito inferiore ad una certa soglia. Sono fatti salvi (comma 2 art.1 del DLgs 151/2001) i trattamenti più favorevoli stabiliti nei singoli contratti di lavoro.
Pertanto, se nel contratto è prevista la dizione che per i primi 30 giorni di assenza dell’astensione facoltativa spetta l’intera retribuzione, tale diritto va riconosciuto senza limiti temporali purchè entro l’ottavo anno di vita del bambino.

…Il contratto conferisce il diritto, alla retribuzione integrale per i primi trenta giorni e lo ricollega al "periodo di astensione facoltativa dal lavoro previsto dalla L. n. 1204 del 1971, art. 7, comma 1", il quale, come già rilevato, lo prevede nei primi otto anni di vita del bambino. Detto richiamo inequivocabile induce a ritenere che la retribuzione piena per trenta giorni spetti anche se il bambino ha superato i tre anni…

Indennità di maternità - L’astensione dura sempre 5 mesi - Cassazione 10180/2013
Anche se la lavoratrice madre, continuando le prestazioni lavorative sino all’ottavo mese di gravidanza, dimentica di presentare all’INPS la certificazione del medico del SSN e del medico competente aziendale di idoneità a prolungare il lavoro sino all’ottavo mese per fruire di un mese in più durante l’astensione obbligatoria post partum, l’INPS è tenuto a pagare l’indennità di maternità per un periodo complessivo di 5 mesi, non potendo pretendere di ridurre di una mensilità la durata complessiva del periodo di copertura economica spettante, non essendo prevista alcuna sanzione per la mancata produzione della certificazione.
Secondo i giudici della Cassazione, non è possibile ipotizzare alcuna conseguenza di carattere sanzionatorio (non prevista nella legge) alla lavoratrice, destinataria della tutela della maternità prevista dalla legge. Il periodo di 5 mesi di astensione dal lavoro col relativo diritto all’indennità sostitutiva della retribuzione, è sottratto infatti alla disponibilità delle parti e di conseguenza la mancata presentazione del certificato non può avere come conseguenza una riduzione di copertura dell’indennità. La riduzione dell’indennità di maternità non ha fondamento legislativo e sarebbe solamente una sanzione a carico della lavoratrice, estranea alle regole e alle finalità delle norme di tutela della maternità.

Maternità delle libere professioniste - Cassazione 14814/2001
Il diritto delle libere professioniste iscritte ad una cassa di previdenza e assistenza a percepire l'indennità di maternità per i due mesi antecedenti la data del parto ed i tre mesi successivi, ex art. 70 del D. L.vo n. 151/2001, spetta anche allorché il rapporto assicurativo non copra tutto l'arco dei cinque mesi del periodo protetto, per essere stato costituito in epoca successiva al sessantesimo giorno precedente il parto, ben potendosi, in tal caso, frazionare l'indennità in rapporto al periodo di copertura assicurativa.

Maternità delle lavoratrici professioniste - Cassazione 26568/2007
Per il calcolo dell'indennità di maternità prima delle modificazioni introdotte dalla legge 289 del 2003 si doveva far riferimento al reddito professionale percepito e denunciato ai fini fiscali, senza alcun massimale.

Cassa professionisti - parto gemellare indennità singola – Cassazione 14676/2019
il professionista ha diritto all’indennità di maternità singola anche in caso di parto gemellare o di adozione di due bambini: 80% dei cinque dodicesimi del reddito professionale dichiarato.
La professionista o il professionista, contrariamente a quanto avviene nel settore della dipendenza, può continuare la propria attività e in teoria non subirebbe alcuna flessione reddituale; inoltre, poiché l’indennità di maternità avrebbe la funzione di compensare l’eventuale flessione del reddito professionale, la supposta flessione, derivante dalla nascita o dalle nascite, non è certo influenzata dal numero dei nati. 
In particolare il contributo è dovuto dalla Cassa anche al padre al posto della madre (Corte Costituzionale sentenza n.385/2005).

Maternità delle lavoratrici autonome - Cassazione 19792/2005
L'indennità giornaliera di cui alla legge 546/87 spettante per i 2 mesi antecedenti la data presunta del parto, nonché per i 3 mesi successivi alla data effettiva dello stesso non può essere erogata a partire da una data anteriore a quella in cui è stata proposta la domanda di iscrizione degli elenchi, ovvero da una data ancora precedente che tenga conto dei termini di legge entro i quali la domanda è consentita, salva, in questo secondo caso, la prova dell'assenza di ogni attività lavorativa svolta dalla lavoratrice madre prima della domanda di iscrizione.

Maternità e diritto alla conservazione del posto - Cassazione 2244/2006
La condotta della lavoratrice gestante o puerpera che, al momento dell'assunzione al lavoro, non porta a conoscenza del suo stato il datore di lavoro, non può in alcun caso concretizzare una giusta causa di risoluzione del rapporto lavorativo e, più specificatamente, la colpa grave prevista dall'art. 2, comma 3, lett a), della Legge n. 1204/1971.

Maternità e rientro tutelato per la neomamma – Cassazione Lavoro 13455/2016
La lavoratrice madre ha diritto al rientro in servizio presso la stessa unità lavorativa o in altra però nell’ambito dello stesso comune.
Pertanto non è ingiustificata la prolungata assenza della lavoratrice neo mamma a riprendere servizio presso una sede diversa da quella di provenienza e il provvedimento del licenziamento per prolungata assenza adottato dal datore di lavoro è privo di legittimità, non essendo la sede di rientro dopo la astensione per maternità quella di provenienza o con altra sede però ubicata nello stesso comune.

Congedo obbligatorio e neo-assunzione - Min.Economia e Finanze nota 33950/2004
L’astensione obbligatoria per maternità è regolata dall’articolo 16 del DLgs 1651/2001: diritto della neomamma al congedo obbligatorio con preclusione dal servizio e amministrazione che non può pretenderlo.
In caso di neo-assunzione di soggetto in astensione obbligatoria, il rapporto di lavoro si perfeziona con la semplice accettazione della nomina da parte del soggetto, essendo ininfluente la presa di servizio. 

Licenziamento della lavoratrice madre - Cassazione 10391/2005
Il divieto di licenziamento della lavoratrice madre non opera nel caso in cui ci si trovi di fronte alla fattispecie prevista dall'art 54, c. 3, lett. b del D.L.vo 151/01 (cessazione di attività dell'azienda). Si tratta di una stretta interpretazione in base alla quale per la non applicazione del divieto debbono ricorrere entrambe le condizioni previste dalla lettera b e cioè: il datore di lavoro deve essere un'azienda e vi deve essere cessazione dell'attività.

Licenziamento della lavoratrice madre - Cassazione 6595/2000
Il divieto di licenziamento della lavoratrice madre è correlato allo stato oggettivo della gravidanza o del puerperio ed opera anche nel caso in cui il datore di lavoro sia inconsapevole.

Licenziamento della lavoratrice madre e licenziamento del lavoratore ammalato - Cassazione 21375
L'azienda può licenziare un lavoratore in malattia, fermo restando che tale licenziamento sarà effettivo solo nel giorno in cui questo avrebbe dovuto riprendere il servizio, mentre è nullo il licenziamento di una donna in maternità. Infatti la legge italiana delinea in termini positivi e negativi il licenziamento durante la maternità, mentre non vi sono previsioni per la malattia del lavoratore.

Maternità e licenziamento nullo - Cassazione 10531/2004
Il licenziamento della lavoratrice madre durante la gravidanza o prima del compimento di un anno di età del bambino è nullo, indipendentemente dal numero dei dipendenti dell'azienda. Alfine di ottenere una riduzione dell'importo dovuto, il datore di lavoro deve dimostrare che la lavoratrice, dopo il licenziamento, ha svolto un'attività lavorativa retribuita.

Divieto di licenziamento tra inizio della gravidanza e il termine del congedo di maternità - Corte Giustizia Europea 11 ottobre 2007
La Corte ha stabilito che il divieto di licenziamento della lavoratrice durante il periodo di tutela deve essere interpretato nel senso che esso vieta non soltanto di notificare una decisione di licenziamento in ragione della gravidanza e/o della nascita di un figlio (durante il periodo stesso), ma anche di prendere misure preparatorie ad una tale decisione prima della scadenza di detto periodo. Per la Corte, la decisione di licenziamento in ragione della gravidanza e/o della nascita di un figlio è contraria alla direttiva 76/207, qualunque sia il momento in cui tale decisione di licenziamento venga notificata, e anche se essa è notificata dopo la scadenza del periodo di tutela.

Maternità e divieto di licenziamento - Cassazione 16189/2002
A seguito della pronuncia della Corte Costituzionale n. 61/1991, il licenziamento intimato nonostante il divieto di cui all'art. 2 della legge n. 1204/71 è affetto da nullità e comporta, anche in mancanza di richiesta di ripristino del rapporto, il pagamento a titolo risarcitorio delle retribuzioni successive alla data di effettiva cessazione del rapporto, dovendo lo stesso ritenersi mai interrotto.

Va risarcita la lavoratrice invitata a rimanere a casa dopo la maternità - Cassazione sezione Lavoro 11113/2021
La Corte di Cassazione, dopo aver analizzato tutti i motivi del ricorso, tra loro strettamente connessi, rigetta il ricorso condannando la società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità ritenendo  condotta discriminatoria meritevole di risarcimento l'invito persuasivo rivolto alla lavoratrice a non rientrare al lavoro dopo la maternità.
(a cura di avv. Annamaria Villafrate – Studio Cataldi)

Lavoratrice madre – deroga al divieto di licenziamento – Cassazione 13861/2021
Con ordinanza n. 13861 del 20 maggio 2021, la Corte di Cassazione ha ribadito l’illegittimità del licenziamento comminato alla lavoratrice madre durante il periodo di tutela previsto dall’articolo 54, del decreto legislativo n. 151/2001 (dall’inizio della gestazione fino al compimento di un anno di età del bambino), nel caso in cui sia comminato per cessazione dell’attività di un singolo reparto dell’azienda e non dell’intera attività aziendale. Ciò in considerazione del fatto che non vi può essere una interpretazione estensiva della deroga al divieto di licenziamento, così come prevista dal comma 3, lettera b), dello stesso articolo 54.

Gestanti licenziabili solo per eventi eccezionali - Corte di giustizia europea  C-103/16
Il licenziamento della dipendente gravida può avvenire solo in casi «eccezionali» e tra questi eventi non rientra il licenziamento collettivo se non viene motivata la  eccezionalità. Inoltre la tutela scatta dal momento in cui la donna è incinta e non dal momento della comunicazione al datore di lavoro. e non deve esistere alcuna possibilità di riassegnare la lavoratrice ad altro posto di lavoro adeguato alla sua condizione.

Licenziamento per chiusura del reparto di lavoratrice in gravidanza - Cassazione 22720/2017
E’ illegittimo il licenziamento adottato da un datore di lavoro durante il periodo di gravidanza della lavoratrice, per chiusura di reparto, sia pure posticipato per gli effetti, alla fine del periodo di tutela.
La Suprema Corte ha ritenuto che il licenziamento della lavoratrice sia da definirsi nullo in quanto le uniche eccezioni che lo consentono sono quelle indicate espressamente dall’art. 54 del decreto legislativo n. 151/2001.

Le lavoratrici non possono essere licenziate dall'inizio del periodo di gravidanza fino al termine dei periodi di interdizione dal lavoro previsti dal Capo III, nonche' fino al compimento di un anno di eta' del bambino Il divieto di licenziamento non si applica nel caso:

a) di colpa grave da parte della lavoratrice, costituente giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro;
b) di cessazione dell'attivita' dell'azienda cui essa e' addetta;
c) di ultimazione della prestazione per la quale la lavoratrice e' stata assunta o di risoluzione del rapporto di lavoro per la scadenza del termine;
d) di esito negativo della prova; resta fermo il divieto di discriminazione di cui all'articolo 4 della legge 10 aprile 1991, n. 125, e successive modificazioni.

Durante il periodo nel quale opera il divieto di licenziamento, la lavoratrice non puo' essere sospesa dal lavoro, salvo il caso che sia sospesa l'attivita' dell'azienda o del reparto cui essa e' addetta, sempreche' il reparto stesso abbia autonomia funzionale.

Con tale decisione viene confutato un precedente indirizzo espresso nella sentenza n. 23684/2004 con la quale si sosteneva che la clausola esonerativa dal divieto (cessazione dell’attività aziendale) fosse applicabile anche alla chiusura di un reparto dotato di autonomia funzionale.

Licenziamento di lavoratore in permesso parentale – Cassazione 5425/2019
la Corte di Cassazione afferma che il datore di lavoro può procedere legittimamente a licenziare un lavoratore assente dal lavoro in quanto fruente del congedo ex art. 4, comma 2, della legge n.53/2000, ricompreso tra i soggetti individuati al termine di una procedura collettiva di riduzione di personale ex articoli 4 e 5 della legge 223/1991.
La previsione contenuta nel citato art. 4, comma 2, secondo la quale il lavoratore conserva il posto di lavoro, tende soltanto a tutelare lo stesso da un recesso dovuto a tale motivazione.

Licenziamento Lavoratrice Madre in caso di chiusura dell'azienda – Cassazione 14515/2018
La lavoratrice madre può essere licenziata, anche prima del compimento dell’anno di vita del bambino, in caso “di cessazione dell’attività dell’azienda cui essa è addetta” (Decreto legislativo 151/2001 articolo 54, comma 3, lettera b).
Però, l’indicazione non può essere estesa, in via analogica, anche al caso di chiusura di un singolo reparto in cui opera la dipendente. In quest’ultimo caso, il licenziamento deve essere considerato illegittimo, ai sensi dell’articolo 54, comma 1.

Neo mamma: licenziamento «no», trasferimento  «si’» - Trib.Roma sez.Lavoro civile 42428/2017
Se un reparto aziendale chiude per la neo mamma è vietato il licenziamento, ma non una nuova collocazione anche a distanza: lo spostamento è, infatti, legittimo quando non è disponibile un posto nella stessa città.
Il giudice del lavoro nel ritenere legittimo il trasferimento fa presente che “l’articolo 54 del DLgs n.151/2001 si limita a vietare il licenziamento della lavoratrice madre sino al compimento di un anno di età del figlio, ma non vieta la sospensione dell’attività nel caso di cessazione del reparto cui era addetta la stessa lavoratrice, né il trasferimento della lavoratrice medesima”.

Tutela breve per aborto entro 180 giorni dal concepimento - Cassazione Lavoro 14723/2015
La lavoratrice dipendente che abortisce entro i primi 180 giorni di gravidanza non può essere licenziata durante tutto il periodo della gravidanza e fino a termine del periodo di malattia conseguente alla interruzione di gravidanza.

Dipendente in gravidanza: risoluzione consensuale con convalida - Cassazione 12128/2015
La risoluzione consensuale del rapporto di lavoro intervenuta quando la lavoratrice è in gravidanza non estingue il rapporto di lavoro se non c’è la convalida del servizio ispettivo del Ministero del lavoro. Ciò a garanzia che la risoluzione del rapporto non derivi da una libera scelta da parte della lavoratrice solo in apparenza autonoma.

Vedi articolo 4 comma 16 delle legge 92/2012 che modifica articolo 55 comma 4 del DLgs 151/2001:
16. Il comma 4 dell'articolo 55 del testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternita' e della paternita', di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, e' sostituito dal seguente:
«4. La risoluzione consensuale del rapporto o la richiesta di dimissioni presentate dalla lavoratrice, durante il periodo di gravidanza, e dalla lavoratrice o dal lavoratore durante i primi tre anni di vita del bambino o nei primi tre anni di accoglienza del minore adottato o in affidamento, o, in caso di adozione internazionale, nei primi tre anni decorrenti dalle comunicazioni di cui all'articolo 54, comma 9, devono essere convalidate dal servizio ispettivo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali competente per territorio. A detta convalida e' sospensivamente condizionata l'efficacia della risoluzione del rapporto di lavoro».

Matrimonio e divieto di licenziamento - Cassazione 17845/2011
La tutela accordata alle lavoratrici che contraggono matrimonio è fondata sull'elemento obiettivo della celebrazione del matrimonio e non è subordinata all'adempimento di alcun obbligo di comunicazione da parte della lavoratrice.

Ritardo al rientro al lavoro: licenziamento non giustificato - Cassazione 19912/2011
È nullo il licenziamento inflitto alla lavoratrice solo perché ha ritardato di qualche giorno il rientro al lavoro dopo il congedo di maternità.

Astensione facoltativa - legittimo il licenziamento per mancata comunicazione - Cassazione 16746/2012
E’ legittimo il licenziamento della lavoratrice madre in astensione facoltativa che non invia la richiesta di congedo all’Inps e per conoscenza al datore, così come stabilito dal decreto legislativo n. 151/2011:"il genitore è tenuto, salvo casi di oggettiva impossibilità, a preavvisare il datore secondo le modalità e i criteri definiti dai contratti collettivi, e comunque con un periodo di preavviso non inferiore a quindici giorni".
In particolare "la lavoratrice che intende esercitare la facoltà di assentarsi dal lavoro per il periodo di astensione facoltativa ha l'onere di darne preventiva comunicazione al datore di lavoro e all’istituto di assicuratore ove quest'ultimo sia tenuto a corrispondere la relativa indennità, precisando il periodo dell’assenza, che è frazionabile".

Colpa grave (e licenziamento legittimo) per la lavoratrice che si ostina a non rientrare dall’astensione obbligatoria per maternità - Cassazione 14905/2012
In relazione al divieto di licenziamento della lavoratrice madre ex art. 54 del D.L.vo n. 151/2001 ed alla non applicazione della disposizione in presenza “di colpa grave da parte della lavoratrice, costituente giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro (comma 3, lettera c)”, non avendo la stessa ripreso servizio (restando a casa per quaranta giorni) accampando, quale motivazione, il mancato pagamento di una mensilità di retribuzione, la Cassazione (sentenza n. 14905 del 5 settembre 2012) ha censurato il comportamento della lavoratrice e ha ritenuto che ci si trova in presenza di “colpa grave”, cosa che consente di superare il divieto di licenziamento, in quanto, a fronte del comportamento scorretto del datore di lavoro (mancato pagamento di una retribuzione mensile), la reazione dell’interessata appare spropositata e tale da rappresentare una “ritorsione” contraria ai principi di buona fede e di correttezza.

Illegittimo il licenziamento della lavoratrice incinta che ha abbandonato il posto di lavoro per malore - Cassazione sez. lavoro 1089/2012
È illegittimo il licenziamento della lavoratrice incinta per un presunto abbandono ingiustificato del posto di lavoro -indipendentemente della comunicazione al datore di lavoro della probabile gravidanza- laddove sia costretta da un malore a lasciare il luogo di servizio.

Assistente alla poltrona licenziata nel periodo di gravidanza e risarcimento del danno - Cassazione 5749/2008
Il divieto di licenziamento di cui alla L. n. 1204 del 1971, art. 2 opera in connessione con lo stato oggettivo di gravidanza o puerperio e, pertanto, il licenziamento intimato, nonostante il divieto che è affetto da nullità a seguito della pronuncia della Corte Cost. n. 61 del 1991, comporta, anche in mancanza di tempestiva richiesta di ripristino del rapporto e ancorché il datore di lavoro sia inconsapevole dello stato della lavoratrice, il pagamento delle retribuzioni successive alla data di effettiva cessazione del rapporto, le quali maturano a decorrere dalla presentazione della certificazione attestante lo stato di gravidanza, ai sensi del D.P.R. n. 1026 del 1976, art. 4.

E' nullo il licenziamento della lavoratrice in prova - Cassazione 1334/92 e 4747/93 (in senso contrario la Corte costituzionale con sentenza 172/96).
L'articolo 2 della legge 1204/71 stabilisce che le lavoratrici non possono essere licenziate dall'inizio del periodo di gestazione fino al termine del periodo di interdizione dal lavoro o al compimento dell'anno di età del bambino, non facendo distinzione tra lavoratrici in prova o definitivamente assunte, salvo i casi espressamente previsti in cui il divieto di licenziamento non e' applicabile e precisamente: colpa grave della lavoratrice, cessazione dell'attività dell'azienda (non del reparto-Cassazione 1334/92), ultimazione della prestazione per la quale la lavoratrice e' stata assunta o risoluzione del rapporto del lavoro per la scadenza del termine (in ospedale: incarichi o supplenze). Poiché la legge non annovera il mancato superamento della prova tra le cause che legittimino il licenziamento della lavoratrice madre, ne deriva la nullità del licenziamento intimato alla lavoratrice in prova che si trovi in stato di gravidanza.

La maternità in prova - Cassazione 4740/92.
Una lavoratrice madre ha diritto alla conservazione del posto fino a un anno di età del bambino anche se la gravidanza si manifesta durante il periodo di prova e può essere licenziata solo nel caso in cui la prova abbia avuto esito negativo.

La supplenza per maternità con due contratti part-time - Cassazione lavoro 11380/92.
E' lecito sostituire una lavoratrice madre a tempo pieno con due contratti part-time a termine.

La lavoratrice madre disoccupata all'inizio del periodo di astensione obbligatoria - TAR Toscana sez.III 238/92
Ai sensi dell'articolo 17 secondo e quarto comma L.1204/71, spetta la indennità giornaliera di maternità alla lavoratrice gestante che, all'inizio del periodo di astensione obbligatoria, si trovi disoccupata, purché tra l'inizio dello stato di disoccupazione e quello del detto periodo non siano trascorsi più di 60 giorni, nonché alla lavoratrice che si trovi disoccupata, ma non in godimento della indennità di disoccupazione, purché al momento della astensione obbligatoria dal lavoro non siano trascorsi più di 180 giorni dalla data di risoluzione del rapporto e, nell'ultimo biennio che precede il detto periodo, risultino a favore, ai fini della assicurazione di malattia, 26 contributi settimanali. Ai sensi dell'articolo 8 D.L. 29 marzo 1991 numero 103 convertito in L.1 giugno 1991 numero 166, il trattamento economico previsto dagli articoli 15 primo comma e 17 L.30 dicembre 1971 numero 1204 e' applicabile anche alle lavoratrici madri assunte a tempo determinato dalle Regioni.

La tardiva presentazione dei certificati - TAR Campania Napoli sez.V 118/92, TAR Toscana 412/97 e Cassazione 7439 - 8318 - 11151/92.
La inosservanza dei termini per la produzione dei relativi certificati non comporta, per la lavoratrice madre, la perdita del diritto alla corresponsione delle indennità spettanti, ai sensi della L. 30 dicembre 1971 numero 1204 e del DPR 25 novembre 1976 numero 1026. Infatti i termini per la presentazione del certificato di gravidanza e quello di assistenza al parto debbono ritenersi ordinatori e pertanto non possono venire meno i diritti fondamentali derivanti dalle norme di tutela della maternità, compresi quelli economici. Tuttavia parrebbe consolidato il principio, in mancanza di una specifica previsione, di agganciare la prescrizione per la domanda al termine di un anno come per l'indennità di malattia (art.6 legge 11 gennaio 1943 numero 138), sia per le lavoratrici subordinate sia per quelle autonome. Diversa invece e' la previsione per le libere professioniste in quanto espressamente contemplato dalla legge il termine di presentazione della domanda: a partire dal compimento del sesto mese di gravidanza ed entro il termine perentorio di 180 giorni dal parto (art.2 legge 11 dicembre 1990 numero 379).
(Attenzione per l'ENPAM l'inoltro tardivo della domanda comporta inderogabilmente la perdita del diritto all'indennità di maternità).

La malattia anziché l'interdizione anticipata - TAR Molise 160/92.
In base all'articolo 17 primo comma L.30 dicembre 1971 numero 1204, il trattamento economico di cui al primo comma dell'articolo 15 spetta anche quando il termine finale del rapporto di lavoro (art.2 lett.c) venga a scadere in un periodo in cui la dipendente si trovi già in interdizione obbligatoria o anticipata; pertanto, la disposizione non e' applicabile alla dipendente che, pur affetta da patologie relative alla gravidanza, che renderebbero possibile l'astensione dal lavoro, non abbia formalizzato tale situazione avviando la relativa procedura presso l'Ispettorato del lavoro ex art.18 DPR 1026/76 e, pertanto, si trovi, al momento di scadenza del termine, in congedo per malattia e non in interdizione anticipata.

Sostituzione per maternità e mansioni diverse - Cassazione 3598/2010
Con sentenza n. del 16 febbraio 2010, la Cassazione ha affermato che l'assunzione di un lavoratore per sostituire una dipendente in maternità non preclude la possibilità, da parte dell'imprenditore, di utilizzare lo stesso lavoratore con mansioni diverse dalla persona sostituita. In pratica, il sostituito può svolgere mansioni diverse ma deve, comunque, esistere una correlazione di tipo causale tra l'attività del nuovo assunto e quella del dipendente assente.

L'aspettativa politica non esclude l'indennità di maternità - Cassazione 3092/93.
La lavoratrice in stato di gravidanza, che all'inizio del periodo di astensione obbligatoria dal lavoro si trovi (anche da più di 60 giorni) in aspettativa politica o sindacale non retribuita, ha diritto alle prestazioni previdenziali garantite dall'art.31 quarto comma dello Statuto dei lavoratori (legge300/70), ivi compresa l'indennità giornaliera di maternità corrisposta dall'INPS.

Illegittima l’esclusione della lavoratrice da un corso di formazione a causa della maternità - Corte di giustizia Europea C-595/2012
La Corte di Giustizia Europea, con sentenza C-595/12 pubblicata il 6 marzo 2014, ha stabilito che un trattamento meno favorevole riservato ad una donna per ragioni collegate alla gravidanza o al congedo per maternità costituisce una discriminazione basata sul sesso.
In particolare, una lavoratrice in congedo obbligatorio di maternità non può essere esclusa da un corso di formazione proprio a causa della fruizione del congedo obbligatorio in quanto, questo costituisce un trattamento contrario al diritto dell’Unione.
La Corte ha espressamente ribadito che la maternità non deve in alcun modo penalizzare la carriera della donna lavoratrice.

L'astensione facoltativa sul calcolo del Tfr - Cassazione 2114/93 (in senso contrario sentenze della Pretura e del Tribunale di Milano).
Il periodo di astensione facoltativa di maternità va incluso tra le cause di sospensione del rapporto per le quali l'articolo 2120 terzo comma cod.civ. prevede la commutabilità agli effetti del Tfr di quanto il lavoratore avrebbe avuto diritto in caso di normale svolgimento della prestazione cosiddetta retribuzione figurativa, sono cioè periodi lavorativi a tutti gli effetti.

Raddoppio del congedo parentale in caso di parto gemellare, trattamento economico dei primi trenta giorni - Tribunale di Novara 72/2017
Nel pubblico impiego,  in caso di parto plurimo i periodi di congedo sono raddoppiati e allo stesso modo deve essere considerato il relativo trattamento economico:

…diritto della ricorrente alla corresponsione dell’intera retribuzione per i primi 30 giorni e nella misura del 30 per cento per il restante periodo di astensione usufruita nel quadro dell’istituto del congedo parentale anche per la seconda figlia nata da parto gemellare

L'INPS e l'indennità di maternità - Cassazione sez. lavoro 7649/96.
La lavoratrice che non possa ottenere dal datore di lavoro la corresponsione dell'indennità di maternità può agire direttamente contro l'INPS , anche se l'imprenditore ha già ricevuto le somme relative, in quanto non assume la qualità di parte nell'obbligazione previdenziale che intercorre esclusivamente tra il lavoratore e l'INPS.

L'assenza per convalescenza del figlio - Cassazione 2953/97.
Il diritto della lavoratrice madre ad assentarsi durante la malattia del bambino di età inferiore ai tre anni comprende anche la fase della convalescenza.

L'assenza per malattia cronica in fase di acuzie del figlio - TAR Lombardia 2394/98.
Spetta la astensione dal lavoro della madre lavoratrice quando il figlio minore dei tre anni sia affetto da fasi acute di una patologia cronica, in quanto queste ultime hanno carattere episodico e una durata non dissimile da quelle delle comuni malattie dei bambini e anzi richiedono una assistenza materiale e affettiva maggiore di quella occorrente in presenza di infermità a carattere permanente.

Il divieto di licenziamento della donna gravida - TAR Parma 39/88, TAR Toscana 1576/88 e TAR Lazio sez.I 914/99
La disposizione dell'art.2 della legge 1204/71, che vieta il licenziamento della lavoratrice dall'inizio del periodo di gestazione sino al termine del periodo di interdizione previsto dall'art.4 della medesima legge, nonché fino al compimento di un anno di età del bambino, anche per il personale delle USL, e' applicabile al personale con rapporto a termine, anche se il periodo di astensione si prolunga oltre la conclusione del rapporto di lavoro, purché il periodo di astensione obbligatoria abbia avuto inizio durante il rapporto di impiego.
Per contro e' legittimo il provvedimento col quale viene risolto un rapporto di lavoro a tempo determinato per scadenza di termine prima del periodo di astensione obbligatoria come previsto dall'art.2 lett.c) della legge 1204/71 (TAR L'Aquila 157/75, TAR Catanzaro 62/77, TAR Toscana 709/78, TAR Puglia - Lecce sez.I 142/98 e TAR Lazio sez.III 1172/99).

E' nullo il licenziamento della donna gravida ancorché il datore di lavoro sia inconsapevole dello stato della lavoratrice - Cassazione sez.lavoro 6595/2000
E' nullo il licenziamento della lavoratrice in gravidanza, indipendentemente della consapevolezza o meno del datore di lavoro sullo stato interessante della lavoratrice.

Maternità e contratto a tempo determinato - Cassazione 9864/2002
Non c'è alcuna norma che imponga alla lavoratrice gestante di notiziare, al momento della stipula del contratto, il datore di lavoro del proprio stato. Né un siffatto obbligo può ricavarsi, pur quando la lavoratrice viene assunta con contratto a tempo determinato, dai canoni generali di correttezza e buona fede di cui agli articoli 1175 e 1375 c.c. o da altro generale principio del nostro ordinamento, considerato che l'accoglimento di una diversa opinione condurrebbe a ravvisare nello stato di gravidanza e puerperio di cui agli articoli 16 e 17 del D. L.vo n. 151/2001 un ostacolo all'assunzione al lavoro della donna e finirebbe, così, per legittimare operazioni ermeneutiche destinate a minare in maniera rilevante la tutela apprestata a favore delle lavoratrici madri.

Il trattamento economico della libero professionista in gravidanza al momento della iscrizione - Pretura di Roma 28 febbraio 1994, Cassazione 14814/2002
La lavoratrice autonoma che partorisce anche dopo pochi giorni l'avvenuta iscrizione alla Cassa di previdenza ha diritto alla indennità di maternità relativa al solo periodo successivo alla iscrizione.

La determinazione del trattamento economico dell'indennità di maternità spettante alle libero professioniste - Cassazione sez.lavoro 11817/98
La misura dell'indennità di maternità va parametrata al reddito percepito e denunciato ai fini fiscali (come disposto dall'articolo 1 secondo comma della legge 379/90) senza che assuma alcun rilievo la forma in cui viene in concreto svolta la attività professionale.

I permessi per i figli handicappati - Cassazione sez.lavoro 8068/98
La concessione dei tre giorni al mese di permesso retribuito ai genitori (alternativamente) di minore con più di tre anni di età portatore di handicap grave, secondo la previsione dell'articolo 33, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, è subordinata all'indefettibile condizione che l'accertamento della gravità dell'handicap venga effettuato dalle commissioni mediche insediate presso le Aziende Sanitarie Locali, appositamente integrate, allo scopo, da un operatore sociale e da un esperto nei nasi da esaminare in servizio presso le A.S.L. medesime, secondo quanto stabilito dall'articolo 1, legge n. 295/1990.
(Il ricorrente, dipendente dell'istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, adisce il Pretore di Foggia, chiedendo la condanna del datore di lavoro al riconoscimento del diritto ad usufruire di tre giorni al mese di permessi retribuiti per assistere il figlio affetto da grave handicap, a norma dell'articolo 33, comma 3, legge n. 104/1992. Il Pretore accoglie la domanda, ma in appello la decisione di primo grado viene totalmente riformata dal Tribunale di Foggia, a causa della mancanza degli accertamenti sanitari previsti dall'articolo 1, legge n. 295/1990, richiamato dall'articolo 4, legge n. 104/1992).

Parto gemellare: spettano i danni per riposi doppi non riconosciuti - Consiglio di Stato sez.VI 2735/2011
La lavoratrice che ha avuto due gemelli ha diritto al riposo giornaliero in misura doppia. In caso non venga accordato, il risarcimento economico alla lavoratrice è automatico anche senza l’allegazione dei documenti dei danni materiali quale la necessità di far fronte al pagamento del personale per l’assistenza ai bambini: una volta sfumato il permesso doppio, l’unica tutela possibile è il risarcimento.
Il riconoscimento del riposo oltre che a tutelare la salute della madre, è volto anche alla tutela delle necessità fisiologiche dei neonati che nel primo anno di vita hanno bisogno di attenzione ed affetto in misura adeguata, da cui se i figli sono due in un solo colpo, doppio deve anche essere il tempo da dedicare loro da parte della madre lavoratrice.

Permessi doppi con due figli handicappati - Cassazione sez. lavoro 4623/2010
Il lavoratore che ha due figli con gravi problemi di handicap ha diritto a un permesso di due ore giornaliere sino al compimento del terzo anno di vita dei bimbi. Infatti l'agevolazione della legge 104/92 mira a evitare che i bimbi restino senza assistenza e pertanto va riconosciuto il diritto della lavoratrice madre o del padre lavoratore di figli con handicap in situazione di gravità a usufruire, in alternativa al prolungamento fino al terzo anno del congedo parentale, di due ore di permesso al giorno retribuito per ciascun bambino e fino al compimento del terzo anno.

Militari - Tutela della genitorialita’ e trasferimento temporaneo – Tar Puglia sez.I Ord. 94/2019

DECRETO LEGISLTIVO 151/2001  agg. 29.04.2018
Art. 42-bis. - Assegnazione temporanea dei lavoratori dipendenti alle amministrazioni pubbliche

  1. Il genitore con figli minori fino a tre anni di età dipendente di amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, può essere assegnato, a richiesta, anche in modo frazionato e per un periodo complessivamente non superiore a tre anni, ad una sede di servizio ubicata nella stessa provincia o regione nella quale l'altro genitore esercita la propria attività lavorativa, subordinatamente alla sussistenza di un posto vacante e disponibile di corrispondente posizione retributiva e previo assenso delle amministrazioni di provenienza e destinazione. L’eventuale dissenso deve essere motivato e limitato a casi o esigenze eccezionali. L'assenso o il dissenso devono essere comunicati all'interessato entro trenta giorni dalla domanda.

Una delle circostanze in cui può non essere accordato il trasferimento temporaneo è quella dove l'Amministrazione obietta che è praticamente impossibile destinare il militare (privo di specializzazioni) presso altra sede in quanto l'ostacolo principale è rappresentato da prevalenti esigenze di servizio e/o carenze di organico, o altro.
Nella fattispecie un militare aveva prodotto una motivata istanza chiedendo il trasferimento temporaneo per tre anni presso un reparto ubicato nella città dove sarebbe più agevole il ricongiungimento alla sua famiglia e, quindi, ai figli minori.
Ricevuta l'istanza, l'Amministrazione in prima battuta ha negato il trasferimento temporaneo, ritenendo migliorati i problemi familiari in precedenza rappresentati ed attinenti a seri problemi di salute dei figli minori e della madre; inoltre, anteponendo le esigenze di organico nella sede di provenienza e di auspicata destinazione.
Esaminata la posizione processuale del ricorrente e dell'Amministrazione (che contesta la posizione dell'antagonista), il Tar ha accolto l'istanza cautelare del militare.
Il Collegio giudicante ha affermato che la presenza di un identico caso risolto favorevolmente in sede cautelare (e, si aggiunge, dallo stesso tribunale), ben può essere utilizzato per decidere in senso favorevole l'analoga domanda presentata dal successivo militare, anch'egli privo di specializzazioni nel profilo di impiego.
In particolare, il Tar, valutato l'insieme degli elementi sopra indicati ha accolto incidentalmente l'istanza cautelare, per consentire all'Amministrazione militare un riesame dell'istanza.
Riesame che andrà condotto alla luce delle ragioni di fondo poste a fondamento della richiesta di trasferimento temporaneo, oltre che delle funzioni effettive del militare privo di specializzazione.
(avv. Francesco Pandolfi – www.studiocataldi.it)

Handicap: trasferimento per mobilità da preesistente sede di lavoro - Tar Lazio 8639/05
La norma che prevede il diritto del parente di un disabile alla scelta della sede di lavoro non contempla il diritto al trasferimento in corso di rapporto di lavoro ai fini dell'avvicinamento al famigliare bisognoso di assistenza.
Il criterio ispiratore della decisione di accordare o meno il beneficio del trasferimento non può che restare quello di tutelare le situazioni di assistenza già esistenti, mentre esigenze successivamente insorte a causa della sopravvenienza di uno stato di disabilità non possono trovare soddisfazione in virtù dell'applicazione della previsione legislativa all'art. 33, comma 5, della legge n. 104/92.
In particolare la concessione del beneficio di cui all'art. 33, comma 5, della legge n. 104/92 non può in alcun caso prescindere dal riscontro di una già esistente situazione di assistenza continuativa ovvero dall'attualità dell'assistenza, sicché non può essere concesso ai dipendenti che, non assistendo con continuità un familiare, aspirino al trasferimento proprio al fine di poter instaurare detto rapporto di assistenza continuativa (C.d.S., sent. n. 898 del 7 febbraio 2001; Cass. Civ., sent. 20 gennaio 2001, n. 829; C.d.S., parere n. 1623/2000, già citato; TAR Puglia, sent. n. 1997 del 2003; TAR Lombardia, sent. n. 4465 del 25 giugno 2001; TAR Sicilia, Catania, sent. n. 1145 del 22 giugno 2000).

Il trasferimento del lavoratore ex legge 104/92 per l'assistenza a parente disabile - TAR Lazio Roma sezione I quater 2488/2007
Il trasferimento o l'assegnazione del lavoratore presso una sede che consenta la prosecuzione del rapporto di assistenza verso un parente o un affine entro il terzo grado in situazione di handicap, ai sensi dell'art. 33, comma 5, della legge 104/92, ha natura di interesse legittimo ed è attuabile purché non ostino a tale assegnazione o trasferimento superiori esigenze organizzative dell'Amministrazione.
In particolare: "la disciplina di cui all'art. 33, comma 5, della legge n. 104/92, attraverso l'inciso -ove possibile-, subordina i trasferimenti ad esigenze organizzative della Amministrazione, identificabili con il buon andamento del servizio".

Legge104: se manca la comunicazione ex art. 10-bis legge n. 241/1990 niente diniego al trasferimento - Tar Toscana sessione I 926/2017 
ll Tar Toscana (sentenza n. 926/2017) ha accolto un ricorso contro il diniego alla domanda di trasferimento, perché l'amministrazione non ha consentito il leale contraddittorio, ritenendo erroneamente la natura "vincolata" del suo provvedimento e non inviando la comunicazione in questione (mancanza di preavviso di rigetto della domanda). 
Ricordiamo che l'art. 33 comma 5 l. 104/92 prevede che il lavoratore che debba assistere un familiare in condizioni di grave invalidità ha diritto di scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede.
L'amministrazione, ricevuta la domanda, deve mettere in atto obbligatoriamente una serie di valutazioni di tipo organizzativo e funzionale che  finiscono all'interno di un provvedimento motivato e discrezionale, non vincolato. 
Infatti il preavviso è direttamente collegato con le motivazioni del provvedimento finale e deve essere ammessa la possibilità di riaprire l'istruttoria a seguito delle osservazioni ricevute.
Il tutto tenendo presente da una parte quello alla solidarietà familiare attraverso l'assistenza domestica, dall'altra quello del buon andamento degli uffici ed apparati.

I permessi della 104 non sono un beneficio ma un diritto - Cassazione 21416/2019
In materia di permessi previsti dalla legge 104/1992 “Si tratta di una misura a sostegno dei disabili il cui presupposto è costituito dall'esistenza dello stato di handicap grave della persona da assistere, accertato dagli organi competenti e tale da richiedere un intervento assistenziale permanente e continuativo, ai sensi dell'art. 3 della legge 104/1992” (Cassazione civile sez. Lavoro sent. n.21416 del 18 giugno 2019 depositata il 14 agosto 2019).
Pertanto, secondo l’esperto di Italia Oggi Antimo Di Geronimo, “non si tratterebbe di un semplice beneficio nella disponibilità del lavoratore interessato, che peraltro è tenuto per legge ad occuparsi del disabile, ma di un diritto soggettivo potestativo, fondamentale, incomprimibile e costituzionalmente tutelato che insorge in capo al disabile assistito e che si collega al diritto alla salute”.
E’ fruibile a giorni, non è suscettibile ad alcuna autorizzazione (“il datore in quanto soggetto passivo dell’obbligazione , si trova in una situazione di mera soggezione”). 

Posto vacante e legge n. 104/1992 - Con sentenza n. 20523 del 27 giugno 2022, la Corte di Cassazione ha affermato che la scelta della sede di lavoro più vicina al domicilio seppur prevista dall’art. 33, comma 5, della legge n. 104/1992 per i fruitori della stessa, non è un diritto assoluto, atteso che la disposizione prevede l’inciso “ove possibile”. Ciò significa che occorre bilanciare l’interesse del lavoratore con quello economico-organizzativo del datore di lavoro.

Permessi 104 e ferie - Cassazione 14187/2017
 I permessi della104  non penalizzano il lavoratore nel computo delle ferie.
Corte di Cassazione ordinanza numero 14187/2017: è "illegittima la decurtazione di due giorni di ferie annuali in conseguenza del godimento dei permessi concessi ex art. 33 della legge n. 104".
I permessi accordati in base alla Legge 104, "concorrono nella determinazione dei giorni di ferie maturati dal lavoratore che ne ha beneficiato".
Il dipendente che si assenta dal lavoro per assistere un parente malato, non può dunque essere penalizzato in alcun modo, anzi, il suo diritto alle ferie "garantisce il ristoro delle energie a fronte della prestazione lavorativa svolta" e si rende ancor più necessario a fronte dell’assistenza ad un invalido, "che comporta un aggravio in termini di dispendio di risorse fisiche e psichiche".

Contro l’inerzia dell’Ammnistrazione provvede il TAR - TAR Lombardia 1428/2011
Il pubblico dipendente cui è negato dall’amministrazione il trasferimento ad altra sede di lavoro (nella fattispecie per potersi avvicinare al luogo di residenza dei genitori bisognosi di assistenza essendo affetti da gravi disturbi psicofisici) può chiedere al giudice del TAR di intervenire per provvedere direttamente in sostituzione dell’amministrazione.

Presupposti per la fruizione dei permessi di cui all'art. 33, c. 3, della L. n. 104/1992 come modificata dalla Legge n. 53 del 2000 - Cassazione sez. lavoro 9557/2010
Ai fini della fruizione dei permessi retribuiti, è necessario che l'assistenza al parente o affine entro il 3° grado portatore di handicap, ancorché non convivente, sia in atto, continuativa ed esclusiva. Pertanto, è irrilevante l'assistenza, limitata a contatti telefonici ed indicazioni logistiche, e non continuativa nel tempo.

Non e' illimitato il diritto al trasferimento ex lege 104/92 - Cassazione Civile sez. unite 7945/2008
Alla stregua della L. 5 febbraio 1992, n. 104, art. 33, comma 5, il diritto del genitore o del familiare lavoratore che assiste con continuità un handicappato di scegliere la sede lavorativa più vicino al proprio domicilio e di non essere trasferito ad altra sede senza il suo consenso non si configura come un diritto assoluto o illimitato perché detto diritto può essere fatto valere allorquando - alla stregua della regola di un equo bilanciamento tra i diritti, tutti con rilevanza costituzionale - il suo esercizio finisca per ledere in maniera consistente le esigenze economiche, produttive o organizzative del datore di lavoro e per tradursi - soprattutto nei casi in cui si sia in presenza di rapporti di lavoro pubblico - con l'interesse della collettività. Considerazioni queste la cui prova fa carico sulla parte datoriale privata e su quella pubblica.

Assistenza parente disabile e scelta della sede - Tar Lazio - 8826/2010
Il diritto alla scelta della sede ai fini dell'assistenza continuativa ed esclusiva al parente e affine entro il terzo grado portatore di handicap non si configura come diritto soggettivo in senso proprio, con caratteri di pienezza e assolutezza, in quanto il beneficio è assicurato "ove possibile". Pertanto, il requisito della esclusività assistenziale è integrato solo se l'istante comprova l'inesistenza di altri parenti ed affini in grado di occuparsi dell'assistenza del disabile mediante dati ed elementi di carattere oggettivo.

Il calcolo per l'astensione obbligatoria non deve comprendere la data presunta dal parto ovvero la data dell'evento - Corte di Cassazione n. 1401/2001
Il periodo di astensione di "due mesi precedenti la data presunta del parto" - previsto dall'art. 4, primo comma, lett. a), della legge 1204/71 - va determinato senza computare il giorno dell'evento, che costituisce il "dies a quo" per calcolare a ritroso il periodo in questione. Analogamente il periodo di cui alla lettera c), vale a dire "3 mesi dopo il parto", non comprende il giorno del parto.

Attività lavorativa durante il congedo parentale - Cassazione n. 16207/2008
L'esercizio del diritto al congedo parentale volto non alla cura diretta del bambino, ma allo svolgimento di una attività lavorativa differente, ancorché incidente positivamente sull'organizzazione economica e sociale della famiglia, configura un abuso per sviamento della funzione propria del diritto ed è idoneo ad essere valutato dal giudice ai fini della sussistenza di una giusta causa di licenziamento.

"L'articolo 32 della legge 151 del 2001nel prevedere che il lavoratore possa astenersi dal lavoro nei primi otto anni di vita dal figlio, percependo dall'ente previdenziale un'indennità commisurata a una parte della retri-buzione, configura un diritto po-testativo che il padre lavoratore può esercitare nei confronti del datore di lavoro, nonché dell'ente tenuto all'erogazione dell'inden-nità, onde garantire con la pro-pria presenza il soddisfacimento dei bisogni affettivi del bambino e della sua esigenza di un pie-no inserimento nella famiglia; pertanto, ove si accerti cha il periodo di congedo viene invece utilizzato dal padre per svolgere una diversa attività lavorativa, si configura un abuso per svia-mento della funzione propria del diritto, idoneo ad essere valutato dal giudice ai fini della sussistenza di una giusta causa di licenziamento, non assumendo rilievo che lo svolgimento di tale attività contribui-sca a una migliore organizzazio-ne della famiglia".

Durante le assenze per maternità nessun altro lavoro - Corte dei conti Lombardia n.286/2008
Una infermiera è stata condannata per danno erariale perché utilizzava i permessi previsti dalla legge 53/2000 (il congedo previsto a favore dei lavoratori genitori di un bambino fino a otto anni di vita con cui questi possono essere autorizzati all'astensione facoltativa con riduzione dello stipendio) per effettuare prestazioni professionali presso una struttura privata, percependo contemporaneamente dall'Azienda ospedaliera l'indennità prevista nell'ipotesi di congedo parentale.
Chi lavora per lo Stato non può lavorare (tranne eccezioni espressamente previste dalla legge) per altri.
Il tempo libero a disposizione durante i periodi di congedo ex art.3 della legge 53/2000 non può essere utilizzato nello svolgere attività privata retribuita per conto terzi, in quanto violerebbe il dovere di fedeltà nei confronti della amministrazione di appartenenza e il principio della esclusività della prestazione lavorativa, sanciti dagli art. 60 del Dpr 3/57, art. 1 comma 60 della legge 662/96 e art. 53 del T.U. 165/2001.

Nessuna occupazione durante l'interdizione per gravidanza a rischio - Corte dei conti Trentino Alto Adige - Sez. giurisdizionale regionale di Trento n. 21/2008
Secondo la Corte dei conti del Trentino Alto Adige sezione giurisdizionale regionale di Trento (sentenza numero 21 del 21 aprile 2008) l'interdizione anticipata dal lavoro per gravidanza a rischio per le proprie caratteristiche va piuttosto assimilata all'aspettativa per infermità. Lo stato patologico che legittima il ricorso all'istituto dell'astensione anticipata dal lavoro, giustifica l'assenza retribuita e due condizioni:
1. sussiste uno stato morboso in atto
2. questo stato morboso impedisce l'attività lavorativa ovvero l'attività lavorativa crea rischi per la gravidanza.
Pertanto l'assenza presuppone il dovere di curarsi e di non prestare altre attività, seppur solo assimilabili a quelle lavorative, quale per esempio la frequenza a corsi di aggiornamento e di specializzazione.
Secondo alcuni dovrebbe valere l'obbligo della reperibilità dalle ore 8 alle 13 e dalle 14 alle 20.

Maternità e termini per il ricorso - Cassazione Sezioni unite 12718/2009
Con sentenza n. 12718 del 12 maggio 2009, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno affermato che il termine di decadenza per poter proporre l'azione giudiziaria (previsto dall'art. 47 del DPR 639/70) decorre dalla data di scadenza dei termini prescritti per l'esaurimento del procedimento amministrativo. I predetti termini vanno calcolati a decorrere dalla data di presentazione della domanda amministrativa. Nel caso proposto alla Suprema Corte, in caso di mancata pronuncia dell'INPS sulla richiesta di prestazione, l'azione giudiziaria può essere presentata, a pena di decadenza, entro il termine di un anno dalla data di comunicazione della decisione del ricorso pronunciata dai competenti organi dell'INPS o dalla data di scadenza del termine fissato per la pronuncia della decisione ovvero dalla data di scadenza dei termini prescritti per l'esaurimento del procedimento amministrativo, calcolati a decorrere dalla data di presentazione della domanda di presentazione.

Maternità: diritti salvi sul lavoro - Corte di giustizia sentenza C-116/09 del 22 ottobre 2009
I diritti sul lavoro preesistenti all'inizio del congedo parentale non possono subire una riduzione per effetto del congedo stesso.
Lo stabilisce la sentenza della Corte di giustizia alla causa C-11612008.
In particolare, la sentenza ha deciso in merito a un'indennità di licenziamento (prevista in Belgio), stabilendo che la direttiva a 96/34/Ce re-lativa all'accordo quadro sul congedo parentale fissa che i diritti acquisiti o in via dl acquisizione, da parte del lavoratore, alla data di inizio del congedo parentale restino immutati fino alla fine del congedo.
Tale norma mira a evitare la perdita dei diritti che derivano dal rapporto di lavoro, nonché a garantire che, al termine del congedo, la situazione del lavoratore sia la medesima esistente precedentemente al congedo.

Lavoratrici madri e turni notturni – Corte di giustizia sentenza C-41/17 del 19 settembre 1018
La Corte Europea di Giustizia nella causa C-41/17, del 6 settembre 2018, ha affermato che le lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento che effettuano un lavoro a turni svolto parzialmente in orario notturno devono ritenersi svolgere un lavoro notturno e godono della tutela specifica contro i rischi ai quali tale lavoro può essere associato.
Con la sentenza, la Corte dichiara, in primo luogo, che la direttiva 92/85 si applica a una situazione in cui la lavoratrice interessata svolge un lavoro a turni nell’ambito del quale compie una parte soltanto delle proprie mansioni in orario notturno. La Corte osserva, anzitutto, che la direttiva 92/85 non contiene alcuna precisazione circa la portata esatta della nozione di «lavoro notturno». Essa rileva come dalle disposizioni generali della direttiva 2003/88 sull’organizzazione dell’orario di lavoro emerga che una lavoratrice la quale svolge un lavoro a turni nel cui ambito compie unicamente una parte delle sue mansioni nelle ore notturne deve ritenersi svolgere un lavoro in «periodo notturno» e deve pertanto essere qualificata come «lavoratore notturno». La Corte afferma che le disposizioni specifiche della direttiva 92/85 non devono essere interpretate in maniera meno favorevole delle disposizioni generali di cui alla direttiva 2003/88, né in modo contrario alla finalità della direttiva 92/85, che è di rafforzare la protezione di cui godono le lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento. La Corte aggiunge che, per beneficiare di tale protezione dell’ambito del lavoro notturno, la lavoratrice interessata deve presentare un certificato medico che ne attesti la necessità per la sua sicurezza o la sua salute.
In secondo luogo, la Corte dichiara che le norme sull’inversione dell’onere della prova previste dalla direttiva 2006/54 si applicano a una situazione, laddove la lavoratrice interessata esponga fatti tali da suggerire che la valutazione dei rischi associati al suo posto di lavoro non ha incluso un esame specifico che tenesse conto della sua situazione individuale, il che permette quindi di presumere l’esistenza di una discriminazione diretta fondata sul sesso ai sensi di tale direttiva. La Corte sottolinea a tale riguardo che, poiché ai sensi della direttiva 92/85 le lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento che svolgono un lavoro notturno godono di una protezione rafforzata e specifica contro il rischio particolare che il compimento di un simile lavoro può presentare, la valutazione dei rischi associati al posto di lavoro di dette lavoratrici non può essere sottoposta a requisiti meno rigorosi di quelli che si applicano nell’ambito del regime generale istituito da tale direttiva che definisce le azioni da adottare in relazione a tutte le attività che possono presentare un rischio specifico per le suddette lavoratrici. La Corte aggiunge che tale valutazione deve includere un esame specifico che tenga conto della situazione individuale della lavoratrice interessata al fine di determinare se la sua salute o la sua sicurezza o quelle del bambino siano esposte a un rischio. La mancanza di un simile esame configurerebbe un’ipotesi di trattamento meno favorevole di una donna per ragioni collegate alla gravidanza o al congedo per maternità, ai sensi della direttiva 92/85, il che costituirebbe una discriminazione diretta fondata sul sesso, a norma della direttiva 2006/54, che consente l’inversione dell’onere della prova.
da Dpl Mo - fonte: Corte di Giustizia Europea

Lavoro in Svizzera e contributi figurativi di maternità - Cassazione sentenza 14256/2012
5 anni di versamenti contributivi in Svizzera danno diritto alla contribuzione figurativa durante il congedo di maternità.

Maternità: cinque mesi di congedo (pre e post partum) anche al padre - Tribunale del Lavoro di Firenze sentenza numero 1169 del 16 novembre 2009
Riconosciuto il diritto di un padre lavoratore a vedersi retribuito l'intero periodo di astensione dal lavoro per la maternità della moglie, per un totale di cinque mesi.
Il caso è quello di una coppia toscana in cui la madre, lavoratrice autonoma, colpita da una grave malattia non aveva chiesto alcuna indennità all'INPS. A questo punto era stato il padre, lavoratore dipendente, a farne richiesta, ma l'INPS si era limitato a riconoscergli unicamente i tre mesi post partum e l'80% della retribuzione.
Secondo l'INPS, infatti, non solo non c'era alcuna domanda da parte della madre per i due mesi antecedenti la data del parto, ma neppure erano stati versati i relativi contributi nella gestione previdenziale di riferimento.
Il marito si è però rivolto al Tribunale del Lavoro di Firenze che, con la sentenza del 16 novembre 2009 n. 1169, ha ribaltato l'assunto, in quanto, legge alla mano, l'articolo 28 del Dlgs 151/2001, riconosce "al padre lavoratore il diritto al congedo di paternità per tutta la durata del congedo di maternità" così come spetta alla lavoratrice madre: poiché il bene da tutelare non è unicamente quello della salute della donna, ma anche, grazie alla presenza continuativa del genitore, quello dell'assistenza materiale e affettiva del nascituro, il ruolo del coniuge, futuro padre, è fondamentale anche durante la fase della gestazione, proprio perché aiutare la donna gravida, specie negli ultimi mesi prima del parto, vuol dire, in sostanza, occuparsi del bimbo.

Permesso dei tre giorni anche se il disabile è assente per lavoro - Corte dei conti sede giurisdizionale del Lazio sentenza 2039/2009
Per assistere un parente disabile in stato di gravità il lavoratore può utilizzare tre giorni al mese di permesso retribuito secondo quanto previsto dall'articolo 33 della legge 104/1992 anche se la persona handicappate è in servizio nel suo posto di lavoro. Il diritto previsto dalla legge 104/09 all'articolo 33 (tre giorni di permesso mensile coperti da contribuzione figurativa per assistere una persona con handicap in situazione di gravità, parente o affine entro il terzo grado, convivente) non prescinderebbe dal concetto di cura in senso stretto del familiare ammalato, estendendosi alla esigenza di assisterlo i tutte le incombenze connesse con la disabilità, nell'espletamento delle quali non è richiesta espressamente la sua presenza.
Alla luce dei principi generali e delle finalità della normativa, il concetto di assistenza alla persona affetta da handicap non può essere in alcun modo limitato a stati di provvisoria incapacità lavorativa dell'invalido o alla eccezione di cura in senso stretto, ma deve estendersi ad ogni esigenza che sia effettivamente collegata allo stato di handicap e alle relative necessità terapeutiche così da assicurare il rispetto della dignità della persona handicappata, la promozione dell'autonomia e della integrazione della medesima nel contesto sociale e lavorativo.

I permessi ex 104 non sono ferie - Cassazione sez. II penale - sentenza 54712/2017
L’uso  improprio del permesso si configura come delitto di truffa anziché solo quello di danno patrimoniale.
I permessi della legge 104 non possono e non debbono essere considerati come giorni di ferie, ma solo come una agevolazione che il legislatore ha concesso a chi si è fatto carico di un gravoso compito di assistenza. Pur non essendo obbligato a prestare assistenza alla persona handicappata nelle ore in cui avrebbe dovuto svolgere attività lavorativa, non può tuttavia utilizzare quei giorni  come se fossero giorni di ferie senza, quindi, prestare alcuna assistenza alla persona handicappata.

Il part-time non può tagliare i permessi della 104 - Corte di cassazione sezione Lavoro/civile - sentenza n. 4069/2017
Il lavoratore a part-time verticale ha diritto a 3 giorni pieni di permesso mensile per assistere familiari con grave handicap ex lege 104.
La Cassazione con la sentenza 4069/2018 (in precedenza sentenza 22925/2017) in senso contrario a quanto previsto al punto 3.2 nella circolare 133/2000 dell’INPS, richiamando quanto previsto dal Dlgs 61/2000 all’articolo 4 (principio di non discriminazione in base al quale il lavoratore a part time non deve ricevere un trattamento meno favorevole rispetto al lavoratore a full time), riconosce i permessi per l’assistenza a familiari disabili tra i diritti non riproporzionali e pertanto fruibili dal lavoratore in part time di tipo verticale nella loro interezza. 

…Tenuto conto, pertanto, delle finalità dell'istituto disciplinato dall'art. 33 della Legge numero 104/1992, come sopra evidenziate attinenti a diritti fondamentali dell'individuo, deve concludersi che il diritto ad usufruire dei permessi costituisce un diritto del lavoratore non comprimibile e da riconoscersi in misura identica a quella del lavoratore a tempo pieno.   

Abuso di congedo parentale e licenziamento - Cassazione sez.Lavoro civile sentenza 509/2018
E’ legittimo il licenziamento di un lavoratore che ha usufruito del congedo parentale per la cura del proprio bambino, senza dedicarsi allo stesso sia che si. dedichi ad altro lavoro (pur se necessitato dall’organizzazione economica e sociale della famiglia), sia che trascuri la cura del figlio per dedicarsi a qualunque altra attività.

“…l'abusività della condotta del genitore che non assiste il figlio per il quale ha chiesto il congedo parentale, perché ciò che conta non è tanto quel che il genitore fa nel tempo da dedicare al figlio quanto piuttosto quello che invece trascura di fare con il minore”.

Congedo assenza per malattia del figlio a termine dell'astensione facoltativa non vincolata al rientro in servizio - Cassazione sentenza 16207/2008
L'assenza per malattia del figlio a termine dell'assenza per congedo parentale non può essere vincolata al rientro in servizio e può essere consecutiva: «il congedo parentale ... si configura come un diritto potestativo costituito dal comportamento con cui il titolare realizza da solo l'interesse tutelato e a cui fa riscontro, nell'altra parte, una mera soggèzione alle. conseguenze della dichiarazione di volontà. Tale diritto, in particolare, viene esercitato, con il solo onere del preavviso, sia nei confronti del datore di lavoro, nell'ambito del contratto di lavoro subordinato, con la conseguente sospensione della prestazione del dipendente, sia nei confronti dell'ente previdenziale».

Congedo straordinario per assistenza disabili - Cassazione sez.Lavoro sentenza 29062/2017
Non è censurabile il lavoratore che beneficiando del congedo straordinario retribuito si prende cura del familiare disabile nelle ore notturne facendosi aiutarer da altre persone durante la giornata.

“… non può ritenersi che la assistenza che legittima ilo beneficio del congedo straordinario possa titerensi esclusiva al punto da impedire a chi la offre di dedicare spazi temporali adeguati alle personali esigenze di viavere ta, quali la cura dei propri interessi personali e familiari, oltre alle ordinarie necessità di riposo e di recupero delle energie psico-fisiche, sempre che risultino complessivamente salvaguardati i connotati essenziali di un intervento assistenziale che deve avere carattere permanente, continuativo e globale nella sferas individuale e di relazione del disabile.
“… pur risultando materialmente accertato che il lavoratore si trovasse in alcune giornate lontano dalla abitazione del disabile (madre) non è sufficiente a far ritenere sussistente il fatto contestato perché, una volta accertato che, ferma restando la convivenza, questi comunque prestava continuativa assistenza notturna alla disabile, alternandosi durante il giorno con altre persone, con modalità da considerarsi compatibili con le finalità dell’intervento assistenziale, tanto da svuotare il rilievo disciplinare con la condotta tenuta”.

La malattia del figlio interrompe il congedo parentale - Cassazione sentenza 1316/2015
Il mutamento del titolo dell’assenza interrompe la fruizione del precedente congedo e fa scattare la nuova tipologia di assenza.

La malattia interrompe il congedo parentale – Aran Ral873 del 6.12.2011
Sulla base dell'art.22 del D.Lgs.n.151/2001, la lavoratrice uò interrompere la fruizione in atto del congedo parentale in caso di malattia. A tal fine la lavoratrice deve chiedere la trasformazione del titolo dell'assenza, da congedo parentale in assenza per malattia, presentando la necessaria documentazione.

Congedo parentale diritto potestativo – Cassazione sentenza 6742/2012
I congedi parentali o l’assenza per la malattia del figlio sono diritti soggettivi potestativi costituito dal comportamento con cui il titolare realizza da solo l'interesse tutelato e a cui fa riscontro, nell'altra parte, una mera soggezione alle conseguenze della dichiarazione di volontà e, pertanto, la domanda inoltrata nei termini dovuti non può essere contestata o respinta dal datore di lavoro.

Congedi parentali frazionati - Cassazione sez. lavoro sentenza 6742/2012
Le lavoratrici madre che usufruiscono del congedo parentale in modo frazionato, rientrando al lavoro il venerdì, hanno diritto al calcolo del periodi dell’astensione per congedo parentale al netto del sabato e domenica: l’astensione dal lavoro dal lunedì al giovedì con rientro al lavoro il venerdì non fa computare i due giorni di sabato e di domenica.
Secondo i giudici: "il diritto al congedo parentale può essere esercitato dal genitore-lavoratore al fine di garantire con la propria presenza il soddisfacimento dei bisogni affettivi del bambino e della sua esigenza di un pieno inserimento nella famiglia. Poiché, ai sensi dell’art. 32, comma 1, del d.lgs n. 151 del 2001 esso si configura come un diritto (potestativo) di astenersi da una prestazione lavorativa che sarebbe altrimenti dovuta, è evidente che esso non può riferirsi a giornate in cui tale prestazione non è comunque dovuta (tranne l’ipotesi in cui la giornata festiva sia interamente compresa nel periodo di congedo parentale)".
Al contrario, nel caso la lavoratrice scelga di interrompere il congedo parentale in un giorno diverso dal venerdì, per esempio il giovedì o il mercoledì, i giorni dal sabato e della domenica vanno computati in quanto compresi nel periodo di congedo parentale: "se è vero, infatti, che la scelta del lavoratore di fruire del congedo parentale frazionato in modo da rientrare (quale unico giorno lavorato settimanale) in un giorno diverso dal venerdì ovvero in un giorno comunque non seguito da una festività, comporta un trattamento sicuramente peggiorativo, è però anche vero che il diverso computo dei giorni di congedo è strettamente correlato a modalità di fruizione dello stesso liberamente e consapevolmente scelte dal prestatore di lavoro".

Congedi parentali e giorni festivi: utilizzo e computo - Cassazione sez.Lavoro sentenza 15633/2020
Con la sentenza n. 15633 del 2020, la Sezione Lavoro della Corte di Cassazione è tornata ad affermare alcuni principi fondamentali per il corretto utilizzo e relativo computo dei periodi di congedo parentale in modo frazionato.
Il diritto al congedo parentale è di natura potestativa e può essere utilizzato anche con modalità frazionata sempreché sia finalizzato alla cura ed assistenza dei figli nei primi anni di vita.
In terna di congedo parentale frazionato, l’art. 32, comma 1, del d.lgs. n. 151 del 2001 stabilisce che la fruizione del beneficio si interrompe quando l’interessato rientri al lavoro, riprendendo a decorrere dal momento in cui lo stesso ritorna a fuori del periodo di astensione.
Su tali presupposti, la recente pronuncia della Cassazione afferma che:” Ai fini della determinazione del periodo di congedo parentale, si tiene quindi conto dei giorni festivi solo nel caso in cui gli stessi rientrino interamente e senza soluzione di continuità nel periodo di fruizione e non anche nel caso in cui l’interessato rientri al lavoro nel giorno precedente a quello festivo e riprenda a godere del periodo di astensione da quello immediatamente successivo, senza che rilevi che, per effetto della libera decisione del lavoratore o della lavoratrice, possa esservi un trattamento differente (e peggiorativo),con fruizione effettiva di un minor numero di giorni di congedo parentale, per effetto della decisione di rientrare al lavoro in un giorno non seguito da una festività, dovendosi ritenere tale soluzione conforme ai principi di cui agli artt. 30 e 31 Cost., che, nel dettare norme a tutela della famiglia e nel fissare il diritto-dovere dei genitori di mantenere, istruire ed educare la prole, impongono una applicazione non restrittiva dell’istituto”.
Quindi – si legge nella parte motivazionale della decisione – “non erano state completamente disattese le ragioni della società appellante, ritenendo che quando i sabati e le domeniche o i giorni festivi si collocassero tra un periodo di congedo parentale ed uno successivo di ripresa dell’attività lavorativa, ovvero tra un periodo e l’altro di congedo parentale, vi fosse presunzione di continuità di quest’ultimo, di modo che anche detti giorni festivi o non lavorati dovessero rientrare nel computo delle giornate fruite a titolo di congedo parentale. Viceversa, correttamente si era ritenuto che non potessero computarsi a titolo di congedo parentale i giorni festivi e/o non lavorativi quando gli stessi fossero preceduti da un periodo di congedo parentale e anche da un solo giorno di ripresa dell’attività lavorativa, non valendo in tal caso la presunzione di continuità, con conseguente riaffermazione del principio secondo cui il diritto potestativo di astenersi da una prestazione lavorativa che sarebbe altrimenti dovuta non può riferirsi a giornate in cui tale prestazione non è comunque dovuta”.
In altri termini la ripresa effettiva dell’attività lavorativa, anche di una sola giornata, “spezza” la continuità del congedo parentale, con la conseguente esclusione dell’attribuzione di tale titolo alle successive giornate.
(Consulcesi & Partners -  www.consulcesi.it)

 

Maternità fuori rapporto di lavoro - Cassazione sentenza 23037/2010
I congedi di maternità sono coperti da contribuzione figurativa anche se effettuati non in costanza di rapporto di lavoro subordinato, purchè la lavoratrice sia in possesso di cinque anni di contribuzione Ago in costanza di rapporto di lavoro e, alla data di entrata in vigore del Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità (D.Lgs. 151 del 21 marzo 2001), non sia pensionata e sia iscritta all'Ago.

Diritto del pubblico dipendente all’intera retribuzione per i trenta giorni di congedo parentale per il figlio minore anche se di età maggiore ai tre anni - Tribunale Sassari sez. lavoro 1424/2011 e Cassazione sez. VI civile 3606/2012
la Corte di cassazione che, con la sentenza n. 3606 del 07 marzo 2012, ha accolto il ricorso di una dipendente del Ministero di Giustizia contro la sentenza della Corte d’Appello di Palermo che le respingeva la domanda per ottenere l’intera retribuzione per i trenta giorni di congedo parentale per
il figlio che aveva un’età compresa tra i tre e gli otto anni.
La sesta sezione civile ha ribaltato il giudizio della Corte di merito, ritenendo, invece, che la donna avesse diritto all’emolumento, spiegando che «nell’ambito del periodo di astensione facoltativa dal lavoro previsto dall’articolo 7 della legge 1204/71 e successive modifiche e integrazioni, per le lavoratrici madri, o, in alternativa, per i lavoratori padri, i primi trenta giorni di assenza, fruibili anche in modo frazionato, non riducono le ferie sono valutati ai fini dell’anzianità di servizio. Per tale assenza spetta l’intera retribuzione fissa mensile. Il contratto conferisce quindi il diritto,
alla retribuzione integrale per i primi trenta giorni e lo ricollega al periodo di astensione facoltativa dal lavoro previsto dall’articolo 7 della legge 1204/71, il quale lo prevede nei primi otto anni di vita del bambino».
Pertanto, la retribuzione piena per trenta giorni spetta anche se il bambino ha superato i tre anni, e tale interpretazione non è smentita dalle altre disposizioni di cui all’articolo 10 del CCNL che prevedono l’assenza retribuita fino ai tre anni del bambino, ma si riferisce al diverso caso contemplato dall’articolo 7 comma 4 della legge 1204/71, nel caso di malattia del bambino, in cui si concedono trenta giorni di assenza retribuita per ciascuno degli anni fino al terzo.

Corte di giustizia europea - maternità e status di “lavoratrice” - Corte di giustizia europea C-507/12
La Corte Europea di Giustizia, con sentenza n. C-507/12 del 19 giugno 2014, ha affermato che può conservare lo status di «lavoratrice» la donna che smette di lavorare o di cercare un impiego a causa della gravidanza e del successivo periodo post parto. A tal fine è necessario che la donna riprenda il suo lavoro, o trovi un altro impiego, entro un ragionevole periodo di tempo dopo la nascita del figlio.

Congedo straordinario - concetto di convivenza e di coabitazione -  Cassazione 24470/2017
In tema di assistenza al familiare portatore di handicap il concetto di convivenza non può essere ritenuto coincidente con quello di coabitazione poiché in tal modo si darebbe un’interpretazione restrittiva della disposizione: infatti, oltre che arbitraria, andrebbe contro il fine perseguito dalla norma di agevolare l’assistenza degli handicappati, escludendo dai benefici il lavoratore che pur convivendo con il familiare handicappato costantemente, però limitatamente a una fascia oraria della giornata, e precisamente nel periodo di tempo in cui, altrimenti, rimarrebbe privo. di assistenza (tutti i giorni ma solo in un determinato periodo di tempo) .

«… il concetto di convivenza non può essere ritenuto coincidente con quello di coabitazione poiché in tal modo si darebbe un’interpretazione restrittiva della disposizione che, oltre che arbitraria, sembra andare contro il fine perseguito dalla norma di agevolare l’assistenza degli handicappati, di talché sarebbe incomprensibile escludere dai suddetti benefici il lavoratore che conviva costantemente, ma limitatamente ad una fascia oraria della giornata, con il familiare handicappato al fine di prestargli assistenza in un periodo di tempo in cui, altrimenti, di tale assistenza rimarrebbe privo.

Conseguentemente, non può ritenersi di per sé falsa, ai fini che qui interessano, l’indicazione del R. di essere convivente con la madre, in quanto non necessariamente incompatibile con la diversa dimora del predetto con moglie e figli, né con la legittima fruizione del congedo di cui all’art. 42 comma 5 del D.Lgs. 151/2001, giacché quel che rileva è, comunque, la prestazione di un’assistenza assidua e continuativa alla portatrice di handicap».

 

Assistenza disabile: trasferimento possibile se il posto viene soppresso - Cassazione Lavoro 12729/2017
Se il datore di lavoro dimostra che non ci sono soluzioni alternative è possibile il trasferimento di chi assiste un disabile (esclusione della tutela prevista dalla legge 104).
La disposizione dell’articolo 33, comma 5, della legge 104/1992, laddove vieta di trasferire, senzaconsenso, il lavoratore che assiste con continuità un familiare disabile convivente, deve essere interpretata in termini costituzionalmente orientati in funzione della tutela della persona disabile, sicchè il trasferimento del lavoratore è vietato anche quando la disabilità del familiare che assiste non si configuri come grave. Ciò è vero, però,a condizione che il datore di lavoro, cui spetta l’onere della prova non dimostri “la sussistenza di esigenze aziendali effettive e urgenti, insuscettibili di essere altrimenti soddisfatte”.

Congedo straordinario: massimo due anni per ciascun disabile - Cassazione sez. Lavoro 11031/2017
La sentenza ribadisce quanto previsto dal DLgs 119/2011 che modifica l’art. 42 del DLgs 151/2001 introducendo il comma 5-bis che prevede il congedo straordinario nella misura massima di due anno durante l’arco della vita lavorativa per ciascuna persona portatrice di handicap.

Maternita’ e scatti di carriera -Tribunale di Venezia, sentenza 336/2016
I periodi di assenza per l’interdizione obbligatoria di maternità e il congedo parentale sono utili ai fini per gli scatti ai fini della progressione di carriera.
Un mancato riconoscimento integrerebbe gli estremi di discriminazione («costituisce discriminazione ogni trattamento meno favorevole in ragione dello stato di gravidanza, nonché di maternità o paternità, anche adottive») del genere femminile rispetto a quello maschile.
Inoltre gli articoli 22 e 34 del Dlgs 151/2001 prevedono che i periodi di congedo di maternità siano computati nell’anzianità di servizio.

DLgs 151/2001
Art. 22. - Trattamento economico e normativo (legge 30 dicembre 1971, n. 1204, articoli 6, 8 e 15, commi 1 e 5; legge 9 dicembre 1977, n. 903, art. 3, comma 2; decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito dalla legge 19 luglio 1993, n. 236, art. 6, commi 4 e 5)
3. I periodi di congedo di maternità devono essere computati nell'anzianità di servizio a tutti gli effetti, compresi quelli relativi alla tredicesima mensilità o alla gratifica natalizia e alle ferie.
4. I medesimi periodi non si computano ai fini del raggiungimento dei limiti di permanenza nelle liste di mobilità di cui all'articolo 7 della legge 23 luglio 1991, n. 223, fermi restando i limiti temporali di fruizione dell'indennità di mobilità. I medesimi periodi si computano ai fini del raggiungimento del limite minimo di sei mesi di lavoro effettivamente prestato per poter beneficiare dell'indennità di mobilità.
5. Gli stessi periodi sono considerati, ai fini della progressione nella carriera, come attività lavorativa, quando i contratti collettivi non richiedano a tale scopo particolari requisiti.

Art. 33. - Prolungamento del congedo (legge 5 febbraio 1992, n. 104, art. 33, commi 1 e 2; legge 8 marzo 2000, n. 53, art. 20)
5. I periodi di congedo parentale sono computati nell'anzianità di servizio, esclusi gli effetti relativi alle ferie e alla tredicesima mensilità o alla gratifica natalizia.

Maternita’ e avanzamento automatico nella carriera - Tribunale di Venezia, sentenza 841/2018
I congedi parentali e quelli di maternità vanno conteggiati nelle ipotesi in cui il contratto collettivo preveda un avanzamento automatico nella carriera, pur se quest’ultimo richieda un “particolare requisito” che non può essere, secondo la Corte, la mera maturazione di una esperienza lavorativa perché occorre un “quid pluris“: in caso, contrario, si violerebbe il principio di non discriminazione.

18.2 ORIENTAMENTI APPLICATIVI ARAN

26 luglio 2000 - Protocollo 8040
Chiarimenti clausole del CCNL 1998-2001 della dirigenza del SSN, aree medica e veterinaria e dei ruoli sanitario, professionale, tecnico ed amministrativo, stipulati l'8 giugno 2000.
Pervengono numerose richieste di chiarimenti in ordine ad alcune specifiche clausole dei CCNL della dirigenza dell'area medica e veterinaria e dei ruoli sanitario, professionale, tecnico ed amministrativo del SSN stipulati l'8 giugno 2000, per alcuni dei quali pare opportuno fornire immediati chiarimenti.
1) Indennità di esclusività del rapporto di lavoro - Art. 5 dei CCNL del II biennio economico 2000-2001 di entrambe le aree dirigenziali. 
L'indennità di esclusività è corrisposta in stretta correlazione con la tipologia dell'incarico solo nel caso di titolarità dell'incarico di struttura complessa (ex dirigenti di II livello) ovvero assunti come tali dopo il 31.07.1999, per il quale si prescinde dalla esperienza professionale. 
In tutti gli altri casi la misura dell'indennità di esclusività è strettamente correlata alla esperienza professionale, indipendentemente dall'incarico conferito tanto è vero che in mancanza del conferimento dello stesso, come da dichiarazioni congiunte n. 2 dei CCNL delle due aree dirigenziali II biennio economico 2000-2001, si deve fare riferimento alle posizioni giuridiche di provenienza.
Infatti, la fascia più bassa dell'indennità compete ai dirigenti con meno di cinque anni di servizio al 31.12.1999, anche se attualmente titolari di un incarico corrispondente alle tipologie dell'art. 27, comma 1 lett. b) e c), che prima del d.lgs 229/1999 erano già conferibili dopo il superamento del periodo di prova (cfr. art. 57, comma 6 e 55, comma 6 dei rispettivi CCNL del 5.12.1996). 
Le fasce intermedie competono, invece, in base all'esperienza professionale ivi indicata ai relativi dirigenti, anche se titolari di incarico che attualmente corrisponda anche a quelli rientranti nella tipologia d) dell'art. 27 dei CCNL del I biennio 1998-1999. 
Ciò discende da una duplice considerazione: 
- gli incarichi di natura professionale appartenenti alla tipologia d) dell'art. 27 citato, con l'entrata in vigore dei contratti, sono destinati solo ai dirigenti con meno di cinque anni; 
- al termine del quinquennio, il conferimento di uno degli incarichi di tipo b) o c) dell'art. 27 
è possibile, ma non costituisce necessariamente un diritto in quanto discende dalla disponibilità di incarichi da conferire. Perciò, l'art. 5 dei rispettivi CCNL non subordina il passaggio alla fascia superiore dell'indennità al conferimento di un incarico ma al superamento positivo della verifica professionale di cui agli artt. 31 e 32 dei rispettivi contratti collettivi I biennio 1998-1999. 
Va, infine, precisato che la misura della indennità di esclusività attribuita non influenza nel modo più assoluto la prosecuzione da parte del dirigente dell'incarico conferito dalla azienda alla luce delle preesistenti disposizioni del CCNL 5.12.1996 (cfr. a tale proposito l'art. 3, comma 5, del CCNL II biennio 2000-2001). 
L'importo dell'indennità di esclusività è annuo, lordo. Ad esso va aggiunto il rateo della 13^ mensilità. Si richiamano, in via generale, gli artt. 62 e 63, comma 6 di entrambi i CCNL. 
L'esperienza professionale è costituita dai servizi a tempo determinato e indeterminato con rapporto di impiego, compresi quelli equiparabili, ai sensi degli artt. 24, 25 e 26, comma 1 del DPR 761/1979, purché senza soluzione di continuità. Non si ritiene interrotto il rapporto di lavoro nei casi in cui il dirigente abbia mantenuto il diritto alla conservazione del posto
Ai dirigenti assunti con le procedure del DPR 484/1987 per svolgere l' incarico di direzione di struttura complessa con rapporto di lavoro a tempo determinato competono sia l'indennità di esclusività nella misura più elevata che quella di struttura complessa di cui agli artt. 40 e 41 dei CCNL del I biennio 1998-1999 delle rispettive aree dirigenziali. Le medesime indennità non competono, invece, qualora l'incarico rientri nei casi di sostituzione effettuati ai sensi dell'art. 18 dei CCNL citati in attesa della copertura anche temporanea dei posti vacanti. 
Ai fini della corresponsione dell'indennità si rammenta quanto previsto dall'art. 7, comma 2 di entrambi i CCNL delle aree dirigenziali in questione.

17/12/2010 UNI_003_Orientamenti Applicativi
Come si calcolano, ai fini del congedo parentale, i giorni festivi e/o non lavorativi che ricadono all’interno dei periodi di assenza?
L’ art. 31, comma 9, del CCNL del 16.10.2008 del comparto Università disciplina le modalità di computo dei periodi di assenza per congedo parentale e malattia del bambino stabilendo che tali periodi, nel caso di fruizione continuativa da parte del personale dipendente, comprendono anche gli eventuali giorni festivi e non lavorativi settimanali che ricadono all’interno degli stessi, mentre, nel caso di fruizione frazionata, siffatta modalità di computo si applica solo nel caso in cui i periodi suddetti non siano intervallati dal ritorno al lavoro del dipendente.
Il CCNL non ha disciplinato i casi specifici della malattia e delle ferie che intervallano il periodo del congedo parentale.
A tal proposito questa Agenzia ritiene utile richiamare le circolari dell’INPS che si sono pronunciate su questi argomenti :  con la circolare n. 8 del 2003 l’INPS ha precisato che la malattia può interrompere la fruizione del congedo parentale, il quale, salvo diverse indicazioni e comunicazioni, potrà riprendere al termine della malattia stessa; mentre per quanto concerne il computo delle ferie, la circolare n. 82/2001, ha chiarito che “in caso di fruizione del congedo parentale in modo frazionato è necessaria la ripresa effettiva del lavoro tra una frazione e l’altra, ripresa non rinvenibile nelle ferie; ciò non significa peraltro, che immediatamente dopo una frazione e prima della successiva non possono essere fruiti i giorni di ferie. Significa, invece, che se le frazioni si susseguono in modo continuativo (ad es. in caso di settimana corta, dal lunedì al venerdì e così successivamente) oppure sono intervallate soltanto da ferie, i giorni festivi e, in caso di settimana corta, i sabati (anche quelli cadenti subito prima e subito dopo le ferie) sono conteggiati come giorni di congedo parentale”.

8/02/2011 UNI_036_Orientamenti Applicativi
Quali norme trovano applicazione nei confronti di una lavoratrice che abbia avuto un parto prematuro?
Premesso che l’art. 31, comma 1 del CCNL del 16.10.2008 del comparto Università rinvia alle vigenti disposizioni in materia di tutela della maternità contenute nel D.Lgs. n. 151/2001 e alle norme di cui alla legge 8.03.2000 n. 53 per la parte di miglior favore ivi prevista e non richiamata nello stesso decreto legislativo, si evidenzia che detto articolo, al comma 3,   sancisce che in caso di parto prematuro alla lavoratrice spettano, comunque, i mesi di congedo per maternità non goduti prima della data presunta del parto. Qualora il figlio nato prematuro abbia necessità di un periodo di degenza presso una struttura ospedaliera pubblica o privata, la madre ha la facoltà che il restante periodo di congedo obbligatorio post-parto e il restante periodo ante-parto, non fruiti, possano decorrere in tutto o in parte dalla data di effettivo rientro a casa del figlio; la richiesta viene accolta qualora sia avallata da idonea certificazione medica dalla quale risulti che le condizioni di salute della lavoratrice ne consentono il rientro al lavoro. Alla lavoratrice rientrata al lavoro spettano in ogni caso i periodi di riposo di cui all’art. 39 del D.Lgs. n. 151/2001.
In aggiunta a questo periodo di congedo per maternità, alla lavoratrice o al lavoratore sono riconosciuti, sino al compimento del terzo anno di vita del bambino, nei casi previsti dall’art. 47, comma 1, del D.Lgs. n. 151/2001, trenta giorni, per ciascun anno, di assenza retribuita, computati alternativamente per entrambi i genitori, secondo le modalità indicate nello stesso art. 47, comma 3, del D.Lgs. n. 151/2001. 
Inoltre, la lavoratrice madre o in alternativa il padre lavoratore può, nell’ambito del periodo di congedo parentale, previsto dall’art. 32, comma 1, lett. a) e art. 34, comma 1 del D.Lgs. n. 151/2001,  usufruire di trenta giorni, computati complessivamente per entrambi i genitori e fruibili anche frazionatamente, che non riducono le ferie, sono valutati ai fini dell’anzianità di servizio e sono retribuiti per intero, con esclusione dei compensi per lavoro straordinario e delle indennità per prestazioni disagiate, pericolose o dannose per la salute (art. 31, comma 5 del CCNL 16.10.2008 comparto Università).

26/05/2011 M88_Orientamenti applicativi
Il personale dipendente che fruisce delle due ore di riduzione oraria per allattamento può svolgere lavoro straordinario?
In merito si osserva che tale eventualità è strettamente correlata all’articolazione oraria scelta dalla lavoratrice. In particolare, laddove quest’ultima chieda di usufruire dei periodi di riposo previsti dall’art. 39 del d.lgs.151/2001 all’inizio o durante il proprio orario di lavoro giornaliero, nulla vieta che essa possa prestare lavoro straordinario.
Al contrario, qualora le due ore di riposo siano fruite alla fine dell’orario di lavoro, sebbene in merito i contratti ovvero il d.lgs.151/2001 non contengano alcuna espressa previsione contraria, appare poco conforme allo spirito della norma obbligare la lavoratrice al rientro in servizio per prestare lavoro straordinario.

27/05/2011 M95_Orientamenti applicativi
Ci sono casi in cui la lavoratrice può interrompere il congedo di maternità?
In via preliminare, occorre precisare che la nuova disciplina dei congedi parentali non è preordinata a tutelare esclusivamente la salute della madre, ma è anche finalizzata a garantire il benessere del figlio. Sotto tale profilo la Corte costituzionale con la sentenza n. 270 del 30 giugno 1999, nella prospettiva di assicurare una maggiore fruibilità delle norme di tutela della maternità contemperando sia le esigenze del bambino che quelle della madre lavoratrice, ha auspicato l’attuazione di principi di salvaguardia del diritto del bambino alle cure materne, in particolare nei casi di parti prematuri. In tale quadro le parti contrattuali, fermo restando l’arco temporale complessivo previsto per il congedo di maternità, hanno ritenuto opportuno integrare le norme di legge offrendo alla lavoratrice madre la facoltà di interrompere lo stesso e rientrare in servizio qualora il figlio, nato prematuro, abbia necessità di un periodo di degenza presso una struttura ospedaliera, così da consentire alla stessa di utilizzare il congedo residuo a decorrere dalla data di effettivo rientro a casa del bambino.
In considerazione del fatto che il congedo per maternità, storicamente, nasce come tutela della salute della lavoratrice e, in quanto tale, si configura come un diritto indisponibile che deve essere fruito, in ogni caso, nei termini definiti dalle disposizioni di legge e contrattuali, va segnalata l’importanza del vincolo previsto dal CCNL ad esercitare la facoltà suesposta, ovvero la necessità di subordinare la ripresa dell’attività lavorativa della lavoratrice madre alla verifica, mediante certificazione medica, dello stato di buona salute della stessa.

24/09/2011 SAN126_Orientamenti Applicativi
Quale deve essere il trattamento economico da erogare al personale dipendente assunto a tempo determinato, in caso di assenza dal lavoro per congedo di maternità che si verifichi in costanza di rapporto e termini prima oppure dopo la scadenza del contratto?

 L' art. 31, comma 1, alinea 6, del CCNL Integrativo del 20 settembre 2001 prevede espressamente che al personale assunto a tempo determinato si applica il trattamento economico e normativo previsto dal contratto per il personale assunto a tempo indeterminato, fatta eccezione per gli istituti ivi puntualmente elencati o quelli per loro natura incompatibili con il contratto a termine, tra i quali non figura l'astensione obbligatoria per maternità, che esclusivamente per il periodo corrispondente, deve essere retribuita anche dopo la scadenza del termine del contratto.

24/09/2011 SAN127_Orientamenti Applicativi
Qualora in attesa di pubblico concorso, si proceda alla assunzione a tempo determinato di avente diritto in graduatoria, impossibilitata a prendere servizio effettivo in quanto in astensione obbligatoria dal lavoro per congedo di maternità, può l'Azienda dilazionare la stipulazione del contratto individuale al primo giorno successivo al termine del suddetto periodo di astensione obbligatoria?
È ininfluente ai fini della instaurazione del rapporto di lavoro che la lavoratrice madre non possa assumere immediatamente servizio in quanto già nel periodo di congedo per maternità.
Ne deriva, pertanto, che la stipulazione del contratto individuale per l'assunzione non può essere procrastinata.
Alla lavoratrice va corrisposto il trattamento economico previsto, ai sensi dell'art. 17, comma 2, lett. a) del CCNL del 20 settembre 2001, per il periodo di astensione obbligatoria, con il diritto alla conservazione dell'incarico conferitole anche a titolo di supplenza, limitatamente alla durata massima dell'incarico stesso che generalmente cessa o con il rientro del titolare del posto o con l'assunzione del vincitore del concorso o con il limite massimo dell'incarico medesimo; sempre che la lavoratrice non sia ancora in astensione obbligatoria nel qual caso, esclusivamente per il periodo corrispondente, deve essere retribuita anche dopo la scadenza del termine del contratto.

24/09/2011 SAN168_Orientamenti Applicativi
I periodi di aspettativa per motivi di famiglia, richiesti per l’educazione e l’assistenza dei figli fino al sesto anno di età, sono utili ai fini degli accrediti figurativi per il trattamento pensionistico?
L’art. 12 - comma 5 - del CCNL Integrativo 20 settembre 2001 prevede che i periodi di aspettativa per motivi di famiglia richiesti per l’educazione e l’assistenza dei figli fino al sesto anno di età sono utili ai fini degli accrediti figurativi per il trattamento pensionistico ai sensi dell’art. 1 – comma 40, lettere a) e b) - della legge n. 335 del 1995 e successive modificazioni ed integrazioni e nei limiti ivi previsti.
Con ciò, la clausola contrattuale rinvia alle disposizioni di legge ove sono stabilite le modalità e le condizioni in cui l’accredito figurativo risulta possibile.

24/09/2011 - SAN170_Orientamenti Applicativi
Come si applica l’istituto del congedo parentale (ex astensione facoltativa)?
Ai sensi dell’art. 32, comma 1, del d. lgs. n. 151 del 2001 per ogni figlio ciascun genitore ha diritto di fruire di un periodo di congedo parentale.
Tale congedo è così disciplinato:
a) con riferimento alla durata i limiti posti sono pari a 6 mesi per la madre o 7 mesi per il padre, per un massimo di 10 mesi cumulativi tra i due genitori;
b) per quanto attiene al periodo di fruizione, la legge dispone che il congedo va fruito entro gli otto anni di vita del bambino, senza indicare alcun limite annuo;
c) relativamente al trattamento economico l’art. 34 del d. lgs. n. 151 del 2001 prevede che per i periodi di congedo parentale al genitore è dovuta un’indennità pari al 30% della retribuzione, per un massimo di 6 mesi cumulativamente tra i due genitori e sempre che il periodo sia richiesto entro il compimento del terzo anno di vita del bambino. Eccezioni sono previste per i dipendenti con reddito annuo individuale inferiore a 2,5 volte l’importo del trattamento minimo di pensione a carico dell’assicurazione generale obbligatoria;
d) infine, sempre sulla base del disposto legislativo, i periodi di congedo riducono le ferie e non sono computati ai fini della tredicesima mensilità.

24/09/2011 -  SAN171_Orientamenti Applicativi
Qual è il trattamento economico previsto in caso di fruizione del congedo parentale?
Ai sensi dell’art. 34 del D.lgs n. 151/2001, i genitori hanno diritto a complessivi 10 mesi (o 11 mesi) di congedo parentale, di cui i primi sei mesi retribuiti con un’indennità pari al 30% della retribuzione mentre i restanti 4 mesi (o 5 mesi) non sono retribuiti, sempre che tale periodo venga fruito dalla coppia nei primi tre anni di vita del bambino.
Inoltre, ai sensi dell’art. 17, comma 2, lett. c), del CCNL integrativo 20 settembre 2001, per i primi trenta giorni di assenza, ricompresi nei 10 o 11 mesi, spetta l’intera retribuzione.
Del pari non è retribuito il complessivo periodo di 10 o 11 mesi qualora fruito dopo i primi tre anni di vita del bambino.
L’ unica deroga prevista riguarda il caso in cui il soggetto che richiede il congedo abbia un reddito annuo inferiore a 2,5 volte l’importo del trattamento minimo di pensione a carico dell’assicurazione generale obbligatoria.

24/09/2011 - SAN172_Orientamenti Applicativi
In caso di attività pericolose per la salute, quali modalità deve seguire l’Azienda per assegnare la dipendente interessata ad altre attività?
 L’art. 17, comma 3, del CCNL del 20 settembre 2001 è diretto ad adeguare ed a raccordare la preesistente disciplina dell’art. 25 del CCNL 1° settembre 1995 con le disposizioni introdotte dal D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151.
In tale contesto va correttamente interpretato il comma 3 dell’art. 17 del CCNL, nel senso che l’introdotto consenso della lavoratrice madre al temporaneo impiego in altre attività – nell’ambito di quelle disponibili e che comportino minor aggravio psicofisico - non va inteso come il possibile esercizio di un potere di veto, ma rientra in una azione concertata con l’amministrazione per una sua migliore utilizzazione, allontanandola dalla situazione di danno o di pericolo per la gestazione o per la salute.

24/09/2011 - SAN173_Orientamenti Applicativi
In quali casi sono cumulabili tra loro le aspettative di cui all’art. 12, comma 8, lett. c) e comma 1, del CCNL del 20 settembre 2001? Cosa accade se la dipendente, nel periodo di aspettativa, usufruisce del congedo per maternità?
L’aspettativa non retribuita, di cui all’ art. 12 – comma 8, lettera c) - del CCNL del 20 settembre 2001, è cumulabile con l’aspettativa prevista dal comma 1 del medesimo articolo, se utilizzata allo stesso titolo. Qualora la dipendente usufruisca di un periodo di astensione obbligatoria per gravidanza, al compimento del 7° mese, viene interrotta l’aspettativa in corso, stante la assoluta obbligatorietà della applicazione delle vigenti disposizioni in materia di tutela della maternità contenute nel d.lgs. n. 150 del 2001.

24/09/2011 - SAN174_Orientamenti Applicativi
I primi trenta giorni di congedo parentale interamente retribuiti, relativi all'astensione facoltativa di cui all'art. 17, comma 2, lett. c), del CCNL Integrativo 20 settembre 2001, se non fruiti nel primo anno, possono essere utilizzati entro gli otto anni di vita del bambino, conservando il diritto alla retribuzione al 100%?
In merito al quesito si osserva che la disciplina contrattuale di maggior favore (art. 17, comma 2, lett. c), del CCNL Integrativo 20 settembre 2001) si muove pur sempre nella cornice legale dell'art. 34 del D. Lgs. 151/2001 e, quindi, non modifica le condizioni generali ivi previste per l'erogazione del trattamento economico. Di conseguenza, nel caso proposto all'esame, questo è corrisposto per intero per i primi trenta giorni se il congedo è fruito prima del compimento del terzo anno di vita del bambino. Se, invece, essi sono richiesti per la prima volta dopo il triennio, il trattamento economico è corrisposto per intero solo in presenza dei requisiti richiesti dalla norma di legge per l'erogazione dell'indennità pari al 30% della retribuzione (cioè se il reddito del genitore che richiede il congedo sia inferiore al minimo previsto dal decreto legislativo medesimo).

24/09/2011 - SAN175_Orientamenti Applicativi
In caso di parto gemellare la disciplina prevista dall'art. 17, comma 2, lett. c), del CCNL Integrativo 20 settembre 2001, ossia la totale remunerazione dei primi trenta giorni di congedo parentale per astensione facoltativa, spetta una sola volta o per ogni figlio gemello?
Il D.Lgs. n. 151 del 2001, pur prevedendo che il congedo parentale in oggetto compete per ogni bambino, non ha espressamente disciplinato il caso di parti plurimi, al contrario di quanto previsto per i riposi giornalieri della madre.
Per ciò che attiene il beneficio di maggior favore previsto dalla norma contrattuale in esame (cioè il mantenimento del 100% della retribuzione per i primi trenta giorni), esso ha dunque mantenuto la precedente correlazione con "l'evento parto" per cui, anche in presenza di parti plurimi, compete una sola volta, cumulativamente per entrambi i genitori.
Pertanto, non sembra possibile che il trattamento economico dei primi trenta giorni di congedo retribuibili per intero in base all’ art. 17, comma 2, lett. c), del CCNL Integrativo 20 settembre 2001, sia suscettibile – allo stato - di moltiplicazione, in quanto non sorretta da una idonea previsione dei relativi costi.

24/09/2011 - SAN176_Orientamenti Applicativi
E' possibile cumulare nello stesso anno solare i benefici di cui all'art. art. 17, comma 2, lett. c), del CCNL Integrativo 20 settembre 2001 e quelli previsti dalla lett. d) della medesima disposizione, ossia, rispettivamente, la remunerazione intera per i primi trenta giorni di congedo parentale per astensione facoltativa e per i primi trenta giorni di assenza per malattia del bambino di età inferiore a tre anni?
Si tratta di due istituti che, sebbene incidano sullo stesso arco temporale; si configurano come ontologicamente distinti l’uno dall’altro e, pertanto, in relazione agli stessi non sussiste un divieto di cumulo. Di conseguenza, è possibile che un genitore fruisca nello stesso anno di sessanta giorni di assenza retribuita, di cui trenta per congedo parentale per astensione facoltativa e trenta per malattia del figlio (art. 17, comma 2, del CCNL Integrativo 20 settembre 2001).

24/09/2011 - SAN177_Orientamenti Applicativi
In caso di part-time verticale, come vanno conteggiati i primi 30 giorni di congedo parentale con diritto all'intera retribuzione?
 L'art. 25, comma 11, del CCNL del 7 aprile 1999, come sostituito dall'art. 35, comma 1 del CCNL integrativo del 20 settembre 2001, prevede che "il permesso per matrimonio, l'astensione facoltativa, i permessi per maternità e i permessi per lutto, spettano per intero solo per i periodi coincidenti con quelli lavorativi,…". In caso di part - time verticale, il periodo massimo concedibile non viene riproporzionato ed i permessi sono computati con le medesime modalità utilizzate per il personale a tempo pieno. Elemento comune a tutti gli istituti sopra citati è, quindi, la modalità con cui essi vengono conteggiati facendo riferimento ai giorni di calendario e non ai giorni lavorativi rientranti nel periodo richiesto. Nel caso in questione, l'art. 17, comma 2, lett. e) del medesimo CCNL prevede che "i periodi di assenza di cui alle lettere c) e d), nel caso di fruizione continuativa, comprendono anche gli eventuali giorni festivi che ricadano all'interno degli stessi. Tale modalità di computo trova applicazione anche nel caso di fruizione frazionata, ove i diversi periodi di assenza non siano intervallati dal ritorno al lavoro del lavoratore o della lavoratrice".
Pertanto i primi trenta giorni interamente retribuiti di congedo parentale per astensione facoltativa, o di permesso per malattia del figlio, si considerano tenendo conto di tutti i giorni di calendario ricadenti all'interno del periodo richiesto. In caso di fruizione frazionata, il periodo di congedo verrà calcolato partendo dal primo giorno lavorativo e concludendo con l'ultimo giorno lavorativo precedente all'effettivo rientro in servizio.
Per esempio: se un dipendente che lavora nei giorni di martedì e giovedì chiede 10 giorni di astensione facoltativa a partire dal martedì, tali giornate verranno conteggiate come segue:

MA 15

ME 16

GI 17

VE 18

SA 19

DO 20

LU 21

MA 22

ME 23

GI 24

VE 25

SA 26

DO 27

LU 28

MA
29

1

2

3

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rientro in servizio

 

24/09/2011 - SAN178_Orientamenti Applicativi
Il personale dipendente che fruisce di n. 2 ore di riduzione oraria per allattamento, può prestare lavoro straordinario?
Si ritiene che tale eventualità sia strettamente correlata all'articolazione oraria scelta dalla lavoratrice. In particolare, laddove quest'ultima chieda di usufruire della riduzione oraria prevista dall'art. 39 del d.lgs. n. 151 del 2001 all'inizio o durante il proprio orario di lavoro giornaliero, nulla vieta che essa possa prestare lavoro straordinario alla fine del proprio turno. Al contrario, qualora la riduzione oraria sia applicata alla fine dell'orario di lavoro, sebbene in merito i contratti e il d.lgs. n. 151 del 2001 non contengano alcuna espressa previsione, appare poco conforme allo spirito della norma richiedere alla dipendente il rientro in servizio per prestare lavoro straordinario fatta salva la disponibilità della stessa.

24/09/2011 - SAN179_Orientamenti Applicativi
Nei casi previsti dall'art. 17, comma 2, lett. c) e d), del CCNL Integrativo 20 settembre 2001, compete la tredicesima mensilità?
In merito si osserva che la disciplina generale prevista dall'art. 34, comma 5, del d.lgs. n. 151del 2001, la quale dispone che "i periodi di congedo parentale sono computati nell'anzianità di servizio, esclusi gli effetti relativi alle ferie e alla tredicesima mensilità o alla gratifica natalizia", è stata solo parzialmente derogata dal contratto. Infatti quest'ultimo, all' art. 17, comma 2, lett. c) del CCNL Integrativo 20 settembre 2001, prevede che i primi trenta giorni di congedo parentale, "computati complessivamente per entrambi i genitori e fruibili anche in modo frazionato, non riducono le ferie, sono valutati ai fini dell'anzianità di servizio" e sono interamente retribuiti.
Resta, quindi, confermata la disciplina della non erogabilità della tredicesima mensilità prevista dalla citata disposizione legislativa.
Per quanto riguarda i congedi per la malattia del figlio, la norma di carattere generale cui far riferimento è quella prevista dall'art. 48, comma 1, del d.lgs. n. 151 del 2001. Anch'essa è stata parzialmente derogata dal CCNL. Di conseguenza, nei trenta giorni di permesso retribuito, di cui all'art. 17, comma 2, lett. d), del CCNL del 20 settembre 2001, maturano le ferie ma non la tredicesima mensilità.

24/09/2011 - SAN180_Orientamenti Applicativi
Come si determina la retribuzione del personale con contratto di lavoro a tempo determinato collocato in congedo per maternità contestualmente o dopo pochi giorni dall'assunzione in servizio?
Al personale a tempo determinato collocato in congedo per maternità compete lo stesso trattamento economico del personale a tempo indeterminato e, pertanto il calcolo va effettuato con le stesse modalità previste dall'art. 17, comma 2, lett. a) del CCNL integrativo del 20 settembre 2001.
Ciò si desume dall'art. 31 del contratto citato, il quale esplicita le deroghe agli istituti del rapporto di lavoro applicate al personale con contratto a termine, tra le quali non è compreso il trattamento economico in caso di congedo per maternità.

24/09/2011 - SAN181_Orientamenti Applicativi
Quale è la remunerazione del congedo di maternità in caso di dipendente in part-time?
Per quanto attiene alle modalità di erogazione del trattamento economico generale del personale con rapporto di lavoro a tempo parziale, si precisa che occorre garantire il rispetto del principio di corrispettività tra prestazione lavorativa resa e trattamento economico attribuito, attraverso l’erogazione dell’intero compenso nei mesi in cui viene compiuta la prestazione e la sospensione del medesimo nel periodo in cui il dipendente non lavora.
Tuttavia, con riferimento alla tutela della maternità, si osserva che la previsione dell’articolo 35 del CCNL Integrativo del 20 settembre 2001, per la quale “in presenza di part-time verticale è comunque riconosciuto per intero il periodo di astensione obbligatoria dal lavoro anche per la parte non cadente in periodo lavorativo”, risulta assolutamente in linea con il disposto dell’art. 60 del d.lgs. 151 del 2001.
Pertanto, con riferimento alla durata del congedo di maternità, il contratto ha semplicemente ribadito quanto già previsto dalle norme legislative vigenti.
Per quanto, invece, attiene al trattamento economico il contratto dispone che esso, “spettante per l’intero periodo di astensione obbligatoria, è commisurato alla durata prevista per la prestazione giornaliera”, garantendo quindi anche per il personale in part-time, il 100% della retribuzione mensile erogata nel mese antecedente quello in cui ha inizio il congedo.
Poiché le possibili articolazioni del part-time sono innumerevoli, il contratto prende come unità di misura la “retribuzione prevista per la prestazione giornaliera” di ogni singolo dipendente. Tale licenza, in mancanza di una diversa esplicazione del contratto, ha integrato quanto previsto dall’art. 23 del d.lgs. 151/2001 che, con riferimento al calcolo dell’indennità di maternità, rinvia alla “retribuzione media globale giornaliera” ovvero “l’importo che si ottiene dividendo per trenta l’importo totale della retribuzione del mese precedente a quello nel corso del quale ha avuto inizio il congedo”.
L’applicazione della norma può comportare che a parità di percentuale di part-time due lavoratrici abbiano differente trattamento economico a seconda dell’articolazione oraria prescelta. Ciò risulta comunque in linea con il disposto legislativo complessivamente considerato in quanto la tutela operata dal d.lgs. 151/2001, sposata dal contratto, è quella di garantire alla lavoratrice in congedo il medesimo trattamento economico in godimento al momento dell’inizio del periodo di astensione.

18/01/2015  UNI_054_Orientamenti_Applicativi
In applicazione dell’art.31, comma 5, del CCNL 16/10/2008, qualora il dipendente abbia più di un figlio di età inferiore ai tre anni, i trenta giorni retribuiti devono essere considerati complessivamente  o riferiti a ciascun figlio?
Per quanto riguarda la compresenza di più figli di età inferiore ai tre anni, nell'ambito del congedo parentale il riconoscimento del beneficio economico di cui all'art. 31, comma 5, del CCNL in questione non può che essere riferito ad ogni singolo bambino, a differenza del beneficio economico dei trenta giorni di cui  al comma 4 del medesimo articolo che è correlato all' "evento parto" e quindi, anche in caso di parto plurimo, non è attribuibile ad ogni nascituro.

03/12/2015 - SAN232_Orientamenti Applicativi
Come vengono computate le giornate festive all’interno del congedo parentale, nel caso in cui il congedo venga fruito in modalità frazionata e manchi, nell’intervallo tra i diversi periodi, l’effettiva ripresa del servizio a causa della fruizione di ferie?
Il congedo parentale è disciplinato dall’art. 32  del D.Lgs. 151/2001 nella cui cornice sono da inserirsi le norme collettive di cui all’art.17, comma 2, lett. e) del CCNL integrativo del 20.9.2001 per il comparto e di cui all’art.15, comma 2, lett. e) del CCNL  del 10.2.2004 per le aree dirigenziali secondo le quali i relativi periodi “nel caso di fruizione continuativa comprendono anche gli eventuali giorni festivi che ricadano all’interno degli stessi. Tale modalità di computo trova applicazione anche nel caso di fruizione frazionata, ove i diversi periodi di assenza non siano intervallati dal ritorno al lavoro del lavoratore o della lavoratrice”.
In sostanza, la specifica disciplina negoziale, prevede che solo l’effettivo rientro al lavoro tra due periodi frazionati di congedo parentale può impedire di calcolare all’interno del periodo di fruizione del congedo stesso anche gli eventuali giorni festivi. E le ferie essendo solo un diverso tipo di assenza non possono essere considerate rientro al lavoro.
Pertanto, qualora due differenti frazioni di congedo parentale siano intervallate da giorni di ferie a loro volta intervallate da giorni festivi, con conseguente mancanza dell’effettiva ripresa del  lavoro nella prima giornata lavorativa successiva alla prima frazione di congedo, nel calcolo dei giorni di congedo fruiti si debbono ricomprendere anche quei giorni festivi anche se ricadenti tra le ferie.
Tale orientamento è del resto analogo a quello espresso dal Dipartimento della Funzione Pubblica nella Circolare n.1/2012 relativa alla diversa fattispecie del congedo biennale retribuito per l’assistenza a familiari affetti da handicap grave mentre si discosta da quanto espresso dall’INPS nel Messaggio del 18.10.2011 e nella Circolare 82/2001 attinenti proprio al congedo parentale e non suscettibili di applicazione al Comparto Sanità per la prevalenza della specifica disciplina contrattuale poco sopra illustrata.

11/10/2016 - SAN272_Orientamenti Applicativi
I primi trenta giorni di congedo parentale retribuito, ai sensi dell’art. 17, comma 2, lett.c), al 100%,possono essere fruiti, alla luce delle modifiche apportate dal D.Lgs. 80/2015, fino al sesto anno di vita del bambino?
L'art.l7, comma 2, let. c) CCNL integrativo del 20/09/2001 Comparto effettua un rinvio dinamico all'art. 32, comma l, (in combinato disposto con l'art. 34) del D.Lgs 151/2001 recependone pertanto le modifiche apportate dal  D.Lgs 80/2015.
In particolare, tale clausola contrattuale prevede un trattamento di maggior favore rispetto a quello disposto dall'art. 34 del D. Lgs 151/2001 che, a seguito della novella, consente l'erogazione di una indennità pari al 30% della retribuzione per un periodo massimo di congedo di sei mesi da fruirsi fino al compimento del sesto anno di attività del bambino. Nel caso di fruizione dei sei mesi, in tutto o in parte, oltre tale limite di età dei sei anni e sino all' ottavo anno di vita del bambino, tale indennità può essere erogata solo a condizione che il reddito individuale del lavoratore sia inferiore ad un certo parametro indicato nella stessa norma.
Pertanto, anche il maggior beneficio economico contrattuale potrà essere erogato solo qualora i primi trenta giorni di congedo vengano fruiti (anche frazionatamente) entro il compimento del sesto anno di vita del bambino. Qualora invece la fruizione dei primi trenta giorni di congedo dovesse avvenire dopo il compimento del sesto anno di vita del bambino e sino agli otto anni, il medesimo beneficio potrà essere erogato solo se si verifichi la condizione reddituale di cui al comma 3 dell'art. 34 del D. Lgs 151/2001.

9.02.2017 RAL_1909_Orientamenti Applicativi
Alla luce delle nuova formulazione degli artt.32 e 34 del D.Lgs.n.151/2001, conseguente alle modifiche introdotte dal D.Lgs.n.80/2015,  che eleva sia i limiti temporali di  fruibilità del congedo parentale, da 8 a 12 anni, sia i limiti temporali di indennizzo a prescindere dalle condizioni di reddito, da 3 a 6 anni, si chiede se, nel caso in cui un lavoratore non abbia fruito dei primi trenta giorni di congedo parentale con trattamento economico per intero entro i  tre anni, allo stesso possa essere erogato il suddetto trattamento economico per intero anche nel corso dell’ulteriore periodo tra i 3 ed i 12 anni?

Relativamente a tale particolare problematica, come espressamente già precisato negli orientamenti applicativi precedentemente predisposti in materia, la Scrivente Agenzia non può che ribadire che la disciplina di miglior favore dell’art.17, comma 5, si muove pur sempre nella cornice legale dell’art.34 del D.Lgs.n.151/2001.
Pertanto, alla luce della nuova formulazione del testo di tale norma, conseguente alle modifiche recate dall’art.9 del D.Lgs.n.80/2015, si ritiene che, attualmente, il trattamento economico per intero, di cui all’art.17 del CCNL del 14.9.2000, può essere corrisposto:
1) se i primi trenta giorni di congedo parentale sono fruiti dalla lavoratrice e/o dal lavoratore prima del compimento del sesto anno di vita del bambino (art.34, comma 1, del D.Lgs.n.151/2001);
2) solo ove siano sussistenti le necessarie condizioni reddituali del dipendente (reddito individuale dell’interessato inferiore a 2,5 volte l’importo del trattamento minimo di pensione a carico dell’assicurazione generale obbligatoria, ai sensi dell’art.34, comma 3, del D.Lgs.n.151/2001), se i primi trenta giorni di congedo parentale sono richiesti e fruiti per la prima volta solo dopo il compimento del sesto anno di vita del bambino e fino all’ottavo anno di vita del bambino.

30.05.2017 - SAN292_Orientamenti Applicativi
I periodi di aspettativa fruiti dal dipendente, ai sensi dell’art. 12, comma 1 e comma 8 lett. c), del CCNL Integrativo del 20.9.2001,  e i periodi di congedo straordinario fruiti ai sensi dell’art.42, comma 5, del D.lgs 151/2001 vanno sommati, ai fini del raggiungimento del contatore dei due anni nell’arco della vita lavorativa a disposizione di ciascun dipendente?

L’aspettativa per esigenze personali o di famiglia prevista dall’art.12, comma 1, del CCNL integrativo del 20.9.2001, l’aspettativa per gravi e documentati motivi di famiglia individuati - ai sensi dell’art.4, commi 2 e 4, della legge n. 53/2000 – dal Regolamento interministeriale del 21 luglio 2000, serie generale n.238 e, da ultimo, il congedo straordinario in favore di soggetti con disabilità grave ai sensi dell’art.3, c. 3 della legge 104/92 prevista dal comma 5 dell’art. 42 del decreto legislativo n. 151/2001 rappresentano tre fattispecie distinte.
La prima, di creazione e regolamentazione esclusivamente contrattuale, è soggetta ad un suo specifico conteggio. La seconda, concepita dalla legge n.53/2000, e meglio individuata dal citato regolamento interministeriale che ne specifica dettagliatamente anche le modalità di fruizione è stata poi richiamata nello stesso art.12, comma 8, let. c, del CCNL del 20.9.2001 che ne ha ribadito le modalità di fruizione già esplicitate nella fonte normativa di rango superiore e ne ha  riconosciuto la  cumulabilità con la diversa aspettativa di cui al comma 1 se utilizzata allo stesso titolo. Questa seconda tipologia di aspettativa è stata richiamata anche dal comma 2  dell’art. 12 in questione per precisare che essa è fruibile anche continuativamente, ovverosia senza intermedi periodi di servizio attivo, rispetto a quella di cui al comma 1.
La terza invece è una fattispecie di congedo straordinario esclusivamente concepita e regolamentata in tutti i suoi aspetti da disposizioni legislative e, trattandosi di una ipotesi di assenza regolata dal D.Lgs. 151/2001, possiamo ritenerla soltanto indirettamente richiamata dal comma 5 dell’art. 13 del CCNL integrativo del 20.9.2001 il quale stabilisce che la necessità di un periodo di servizio attivo di almeno sei mesi tra l’aspettativa di motivi di famiglia e quella per la cooperazione con i paesi in via di sviluppo nonché le altre aspettative di cui ai commi 2 e 3 dello stesso articolo 13 (che non sono qui in esame)  “…non si applica …… alle assenze di cui al  D.Lgs. 151/2001.
Si conferma altresì che identiche disposizioni contrattuali si rinvengono nei CCNL delle due aree dirigenziali.
Premesso tutto quanto sopra, non si può ritenere che sussista un unico contatore complessivo di due anni a disposizione di ciascun dipendente per le tre diverse fattispecie.
Quel contatore unico è menzionato nella Circolare n. 1/2012 del Dipartimento della Funzione Pubblica al paragrafo 3 lett. c., da Voi stessi segnalato, ed è però riferito solo al congedo dell’ art. 42 del d.lgs. n. 151 del 2001 e a quello disciplinato dall’art.4, comma 2, della L. n. 53/2000. Infatti, tale paragrafo espressamente cita: “…Per quanto riguarda la durata, il novellato comma 5 bis dell'art. 42 del d.lgs. n. 151 del 2001 precisa che “il congedo fruito ai sensi del comma 5 non può superare la durata complessiva di due anni per ciascuna persona portatrice di handicap e nell'arco della vita lavorativa…..…Al riguardo, si deve tener conto del fatto che il congedo di cui all'art. 42, commi 5 ss., rappresenta una species nell'ambito del genus di congedo disciplinato dall'art. 4, comma 2, della l. n. 53 del 2000. Tale disposizione stabilisce che “i dipendenti di datori di lavoro pubblici o privati possono richiedere, per gravi e documentati motivi familiari, un periodo di congedo, continuativo o frazionato, non superiore a due anni”. Pertanto, il "contatore" complessivo a disposizione di ciascun dipendente è comunque quello di due anni nell'arco della vita lavorativa, a prescindere dalla causa specifica per cui il congedo è fruito. Si chiarisce, così, che utilizzati i due anni, ad esempio, per il congedo ex art. 42, commi 5 ss., il dipendente avrà esaurito anche il limite individuale per "gravi e documentati motivi familiari". Si chiarisce, altresì, che, trattandosi di limite massimo individuale, ad un lavoratore o una lavoratrice che nel tempo avesse fruito, ad es., di un anno e quattro mesi di permessi anche non retribuiti "per gravi e documentati motivi familiari", il congedo di cui all'art. 42, comma 5, potrà essere riconosciuto solo nel limite di otto mesi……”.

30.05.2017 – CFC30_Orientamenti Applicativi
La malattia del figlio, non accompagnata da ricovero, può sospendere il godimento delle ferie, sia ove queste siano già in essere sia nel caso in cui l’evento si verifichi a ridosso della loro decorrenza? Rileva che la malattia sia di durata superiore a tre giorni?
In merito alla problematica sollevata è innanzitutto utile distinguere tra le due fattispecie dell’interruzione delle ferie in godimento e della sospensione delle ferie programmate e non ancora in godimento.
In materia di congedi dei genitori, l’art. 44 del CCNL per il comparto Funzioni centrali del 12/2/2018 richiama in via generale l’applicazione delle disposizioni in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità contenute nel d.lgs. n. 151/2001, con le specificazioni stabilite nell’ambito dell’articolo stesso.
In tema di congedi per la malattia del figlio, il CCNL al comma 4 dell’art. 44 stabilisce il diritto all’assenza retribuita del genitore per trenta giorni l’anno, fino al compimento dei tre anni del bambino.
L’assenza di previsioni ulteriori nel testo contrattuale comporta che la disciplina di riferimento per il dubbio sollevato vada rinvenuta all’interno dell’art. 47 del d.lgs. n. 151/2001 nel quale, al comma 4, si prevede che la malattia del bambino che dia luogo a ricovero ospedaliero interrompe, a richiesta del genitore, il decorso delle ferie in godimento.
Non prevedendosi nulla per l’ipotesi di malattia che non dà luogo a ricovero, dovrebbe ritenersi che, rispetto alla prima fattispecie sopra individuata, non sussista un diritto del dipendente all’interruzione delle ferie in godimento. Ulteriori indicazioni, al riguardo, potranno comunque essere richieste al Dipartimento della Funzione Pubblica, a cui compete l’interpretazione delle norme di legge per il lavoro pubblico.
Per quanto attiene, invece, alla seconda fattispecie, ossia la possibilità di posticipare il godimento di un periodo di ferie già programmato, in relazione all’insorgere della malattia del figlio, la valutazione dell’amministrazione va compiuta sul piano gestionale.
Posto, infatti, che non sussiste un diritto del dipendente allo spostamento del periodo di ferie già programmate per effetto della sopraggiunta malattia del figlio non accompagnata da ricovero, si ritiene che l’amministrazione possa valutare la compatibilità con le esigenze di servizio di una richiesta del dipendente in tal senso, motivata dall’insorgere di esigenze di carattere personale, ed assumere le decisioni conseguenti.
Ai fini del diritto all’interruzione delle ferie non si ravvisano, infine, elementi a supporto dell’assimilazione tra la malattia del figlio e la malattia del dipendente protratta per più di tre giorni, disciplinata nel comma 15 dell’art. 28 del CCNL 12/2/2018.

22.05.2019  CFC22_Orientamenti Applicativi
In materia di congedi parentali a ore, alla luce di quanto definito nell’art. 44, comma 8, del CCNL Funzioni centrali 2016/2018, è possibile per il personale fruirne per intervalli inferiori alla metà dell’orario giornaliero? In tal caso, qual è il monte ore da equiparare convenzionalmente all’intera giornata lavorativa?
Sul punto, va rammentato che la possibilità di utilizzo ad ore del congedo parentale, nell’alveo dell’art. 32 del testo unico sulla maternità e paternità, è stata introdotta dall’art. 1, comma 339, lett. a) della legge di stabilità per il 2013 (l. 24/12/2012, n. 228) e che il d.lgs. n. 80/2015 è successivamente intervenuto ad integrare tale disciplina prevedendo che “In caso di mancata regolamentazione, da parte della contrattazione collettiva, anche di livello aziendale, delle modalità di fruizione del congedo parentale su base oraria, ciascun genitore può scegliere tra la fruizione giornaliera e quella oraria. La fruizione su base oraria è consentita in misura pari alla metà dell'orario medio giornaliero del periodo di paga quadrisettimanale o mensile immediatamente precedente a quello nel corso del quale ha inizio il congedo parentale”. Tale disciplina è stata, infine, confermata stabilmente dal d.lgs. n. 148/2015.
Peraltro, su tale ultima disposizione sono intervenuti chiarimenti dell’INPS con la nota circolare n. 152 del 18/8/2015.
La contrattazione collettiva nazionale, intervenendo dopo alcuni anni dall’entrata in vigore delle suddette disposizioni di legge, nel prevedere espressamente la fruizione su base oraria del congedo in esame, ha preferito limitarsi ad una conferma della possibilità di accesso a tale forma di flessibilità, rinviando quindi, implicitamente, alle modalità applicative perviste dalla citata fonte legale; ciò anche al fine di preservare eventuali soluzioni operative, nel frattempo poste in essere dalle amministrazioni, in linea con la norma di legge e con gli orientamenti applicativi sopra richiamati.
La scelta operata dalle parti contrattuali, quindi, fa propria l’individuazione dell’intervallo di fruizione oraria nella forma di metà dell’orario medio giornaliero, il cui impatto, rispetto al montante di giornate di congedo spettanti, consuma una frazione pari allo 0,5.

5 .11.2019 CIR23–Orientamenti  Applicativi
È possibile ipotizzare la fruizione per frazioni di ora dei permessi orari di cui alla legge n. 104/1992?

L’art. 49, comma 1, del CCNL Istruzione e Ricerca del 19/04/2018, prevedendo un’applicazione più flessibile dei permessi di cui all’art. 33, comma 3, della legge 104/1992, dispone che il lavoratore possa beneficiare dei tre giorni mensili anche sotto forma di permessi orari, nel limite massimo di 18 ore mensili.
In ordine a tale ultima previsione, in particolare alla possibilità di utilizzo di detti permessi per frazioni di ora, va osservato che la fruizione per un arco temporale molto ridotto risulta oggettivamente incompatibile con l’esigenza di prestare assistenza alla persona con handicap in situazione di gravità.

Pertanto, in coerenza logica con lo spirito della fonte legislativa e al fine di evitare potenziali effetti distorsivi della previsione contrattuale, va esclusa la possibilità di fruizione dei permessi di cui all’art. 33, comma 3, della l. n. 104/1992 per archi temporali inferiori ad una sola ora. Resta comunque ferma la possibilità per il dipendente di avvalersi del beneficio per le frazioni orarie consecutive alla prima ora di utilizzo (es. 1 h e 35 minuti, 2 h e 10 minuti).

10.2.2021 - ASAN30b
I primi trenta giorni del congedo parentale di cui all’art. 32 del D.Lgs n.151/2001 sono da ritenersi utili per la maturazione della tredicesima mensilità in applicazione dell’art.45, comma 3, del CCNL del comparto sanità del 21.05.2018 e dell’art. 44, comma 3, dell’Area Sanità del 19.12.2019?

L’art. 45, comma 3, del CCNL del comparto sanità sottoscritto il 21.5.2018 e l’analogo articolo 44, comma 3, dell’Area Sanità sottoscritto il 19.12.2019 non specificano espressamente che i primi trenta giorni retribuiti per intero sono valutati anche ai fini della maturazione della tredicesima mensilità ma si ritiene che tale maturazione si possa fondare sul rinvio, contenuto nello stesso comma 3, al precedente comma  2 che, seppure con riferimento al diverso congedo di maternità e paternità , include i ratei di tredicesima ove maturati.

Si rappresenta anche che, per quanto riguarda la disciplina della tredicesima mensilità del personale delle aziende sanitarie, si continua a fare riferimento al d.lgs. C.P.S. 25 ottobre 1946, n. 263 e successive modificazioni ed integrazioni in applicazione dei previgenti CCNL (art. 47 del CCNL integrativo del 20.9.2001 relativo al personale del comparto, l’art. 39, comma 4, del CCNL integrativo 10.2.2004 dell’Area IV, art. 38, comma 4, del CCNL del 10.2.004 dell’Area III).