TESTIMONI DI GEOVA MINORI

avv.Paola M.Ferrari

Il medico, anche se libero professionista, che cura un minore  assume una posizione di garanzia rafforzata.
Conseguentemente, nel caso di rifiuto della trasfusione il medico è opportuno che segnali la questione al Tribunale dei Minori.
Benchè riguardante una terapia  diversa, la Cassazione Penale sezione IV  nella sentenza  n.  8527 del 25 febbraio  2015 ha ritenuto che il medico  viene meno al suo dovere quando non impedisce l'evento letale determinato dalla somministrazione di una terapia alternativa non efficace, di conseguenza, e’ responsabile di omicidio colposo per la morte del bimbo, questa è l’opinione della quarta sezione penale, espressa che ha confermato ai fini civili, essendo prescritto il reato,  le decisioni di merito.
Una sentenza che è entrata in due questioni spinose: il limite del consenso informato quando è presente un minore ed il corretto comportamento che il medico deve tenere nel caso in cui i genitori rifiutino le cure, tanto più quando vengono sostituite da terapie non convenzionali.
Il sanitario, affermano i giudici:   “è responsabile dell’interruzione delle terapie tradizionali, nonostante la scelta consapevole dei genitori, spettando in ogni caso al medico curante, non solo il compito di prospettare la certa inidoneità della terapia ayurvedica (di per sè sola insufficiente a garantire soluzioni terapeutiche realmente alternative a quella tradizionale) e dunque le reali conseguenze cui avrebbe condotto l'abbandono del percorso terapeutico tradizionale, bensì il dovere - a fronte di una scelta genitoriale orientata in termini così palesemente e gravemente rischiose per la salute del figlio minorenne - di coinvolgere nel processo decisionale i soggetti istituzionali preposti alla tutela pubblica del minore (il medico di base; il giudice tutelare; etc.) al fine di sollecitare un dialogo giuridicamente corretto e sostanzialmente più proficuo per l'individuazione del “best interest” del minore; dialogo tanto più essenziale (e giuridicamente doveroso) là dove venga prospettata l'adozione di cure che (per la prevalente destinazione a garantire un accettabile standard qualitativo di vita in un quadro di accertata inguaribilità) valgano a proporsi come forme terapeutiche meramente palliative o compassionevoli: soluzione estrema che i genitori devono ritenersi da soli non legittimati ad assumere, in assenza di un adeguato confronto con i soggetti istituzionalmente preposti al controllo e alla tutela del minore”. 
Nella fattispecie,  al sanitario venne contestata la violazione dei tradizionali parametri della colpa generica, oltre che delle norme deontologiche e delle regole di scienza medica, per aver sottoposto un bimbo  di cinque anni, affetto dalla nascita da fibrosi cistica, a trattamenti ayurvedici,  Il bimbo morì  a seguito alla   riacutizzazione polmonare necrotizzante bilaterale in un quadro di fibrosi cistica.  Situazione che avrebbe richiesto, secondo i giudici,  una decisa risposta (immediato ricovero in sede ospedaliera; antibiogramma; somministrazione massiccia e mirata di antibiotici per via endovenosa) che il medico “ ebbe clamorosamente ad omettere”.
Tesi contestata dal sanitario, secondo il quale i genitori avevano già interrotto le cure tradizionali prima di rivolgersi a lui ed avevano già  interrotto la relazione con il pediatra. Il bambino che era già in condizioni critiche e si era limitato a sostenere il piccolo con la medicina alternativa, in perfetto accordo con i genitori che erano consapevoli dei limiti di quella pratica medica.