Vite tra camice e vigneto

Che il vino faccia bene hanno pochi dubbi. Non è chiaro se allunghi o meno la vita, ma sicuramente è un alimento sano che in quantità modiche la può allietare.

È la filosofia che mette d’accordo i camici bianchi che hanno accostato alla professione medica la passione per la cura della vite e la produzione del vino.

Dalle Marche alla Puglia, continua il viaggio tra chi ha deciso di conciliare le due attività e chi invece ha dismesso il camice per dedicarsi a tempo pieno alla vigna.

 

Dalla robotica alla Capitale del vino

Per passare dalla riabilitazione del corpo a quella dello spirito servono un vigneto e una cantina.

Ecco l’essenza della scelta di vita di Giovanni Morone, fisiatra di Benevento, che ha accostato alla professione medica l’arte che da cinque generazioni impegna la sua famiglia.

Quarantunenne, laureato e specializzato a Bologna, lavora e svolge attività di ricerca alla Fondazione Santa Lucia di Roma. Tra robotica, nuove tecnologie e realtà virtuale, nel 2009 ha fondato la Cantina Morone, assieme al padre, alla madre e alla sorella.

A Guardia Sanframondi, uno dei comuni del ‘Sannio Falanghina’ eletti Città Europea del Vino 2019, i cinque ettari del camice bianco-vignaiolo producono vino biologico certificato, senza ricorso alla chimica, con vinificazioni in anfora e ‘spumantizzazione ancestrale’ che hanno portato in cantina il riconoscimento di Legambiente.

Per Morone la vigna è metafora della vita, della conoscenza della natura, della ricerca dell’uomo da affrontare non senza lo spirito dell’indagine clinica. Un modo per “conciliarsi con la terra, con la natura e le tradizioni che ci hanno tramandato i nostri nonni”, commenta lo specialista.

 

Il fisiatra che cura la vite

Per Oriano Mercante, fisiatra e medico del lavoro, il punto di incontro tra professione in camice e vita di cantina sta nella salubrità del vino. “Il vino – commenta lo specialista – è un alimento e deve essere più salubre possibile.

Per questo nel fare i nostri prodotti ci spingiamo oltre il concetto di biologico”.

I vigneti della Cantina Oriano Mercante a Camerano, in provincia di Ancona, vengono acquisisti nel 2003, proseguendo sul solco della della tradizione della famiglia della moglie, Adriana Zazzarini, che produceva vino da generazioni e Rosso del Conero dal 1956.

Il camice bianco, specializzato anche in neurologia, in servizio presso l’Inrca di Ancona e prossimo alla pensione, si occupa della salute di 8 ettari vigneto che danno uve Montepulciano, Sangiovese, Verdicchio e Pecorino. Uve che, passando per la cantina, diventano vino rigorosamente biologico.

 

“Accompagno l’uva che diventa vino”

C’è chi il vino lo produce e chi lo firma. Roberto Orciani, esercita la professione di urologo a quelle del winemaker e blogger.

Lo specialista 54 enne, laureato ad Ancona e con diversi master all’estero in curriculum, si occupa di chirurgia urologica robotica e laser alla Casa di cura Villa Igea di Ancona, presidio che fa riferimento al Policlinico di Abano Terme.

Fuori dagli ambulatori indossa i panni da ‘primo ufficiale’ delle aziende vitivinicole “accompagnando l’uva nel percorso verso il vino”, spiega.

Dal momento della vendemmia al tempo affinamento, dal travaso a quando va in bottiglia, Orciani decide tutto su come valorizzare al meglio il frutto della vite, per ottenere vini naturali.

Il medico-winemaker collabora con aziende come Gagliardi, Lucesole, Lucchetti, Casa Lucciola, Bisci e una delle sue specialità è la vinificazione in anfore di terracotta, dove trasforma in vino uve come il Verdicchio di Matelica.

Il suo è un viaggio iniziato in controtendenza.

“Ero astemio – racconta il medico – poi vent’anni fa, quando ero a Barcellona per lavoro, venni tacciato di essere un italiano che non aveva cultura del vino. Da allora mi accorsi che nella vita mi stavo perdendo qualcosa”.

 

Aspirante medico, vignaiolo di professione

Giovanni Zullo frequentava ancora l’Università di Bari per diventare medico, quando la passione per la terra ha avuto la precedenza.

Erano gli anni ’90 quando il futuro titolare della Tenuta Viglione di Santeramo in Colle, in provincia di Bari, si è fermato davanti allo scoglio dell’esame di Anatomia, per dedicarsi all’attività di famiglia.

“I miei genitori – racconta Zullo – erano braccianti agricoli, avevano un terreno e vendevano l’uva prodotta.

Il prezzo era così esiguo che mio padre decise di vinificare in proprio e da là è iniziato tutto. Vent’anni fa, quando venne a mancare mi lasciò 4 ettari di terreno, adesso l’azienda conta 130 ettari vitati”.

Il frutto della tenuta inserita nella zona di denominazione di Gioia del Colle, nella collina ai piedi della Murgia Barese, sono soprattutto uve autoctone, come Primitivo di Gioia del Colle, Trebbiano e Malvasia, per una produzione di 400 mila bottiglie a stagione.