Un futuro europeo per la pensione integrativa

europaUna pensione integrativa europea potrebbe presto affiancare quelle nazionali.

Il progetto è allo studio dell’Eiopa, l’Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali, secondo cui per sviluppare il mercato della previdenza integrativa individuale è necessario creare un prodotto, con caratteristiche uniformi, che possa essere commercializzato in tutti i Paesi dell’Unione attraverso l’attribuzione di un passaporto europeo.

Il primo passo lo ha compiuto la Commissione europea, che tra luglio e ottobre ha lanciato una consultazione pubblica tramite un questionario con l’obiettivo di identificare i possibili ostacoli alla crescita del mercato della previdenza integrativa, in modo da individuare misure per superarli.

A essere coinvolti sono stati sia i cittadini (già provvisti di polizza o intenzionati a sottoscriverne una), sia associazioni di consumatori e imprese assicurative, oltre al mondo accademico e professionale.

Una volta analizzati i risultati, la Commissione si troverà davanti a una scelta determinante: limitarsi a promuovere l’armonizzazione delle norme che regolano i regimi pensionistici nei diversi Paesi, oppure decidere di offrire un prodotto ad hoc, accessibile su base volontaria.

In questo secondo caso le alternative sarebbero un prodotto pensionistico oppure un conto pensionistico individuale europeo. Entrambi prevedono un piano di risparmio, ma con la differenza che tramite il conto pensionistico non sarebbero predeterminate le opportunità di investimento, garantendo maggiore flessibilità.

Questa opzione ha già un nome, Pepp (Pan-european personal pension product) e potrebbe essere introdotto già nel 2017 attraverso un regolamento europeo.

La Commissione darebbe così vita a un ‘secondo regime’ in grado di rappresentare un’alternativa ai prodotti pensionistici individuali esistenti a livello nazionale, con il vantaggio di essere commercializzato in tutta l’Unione europea.

Giovani a rischio

Un progetto che conferma la visione comunitaria di una previdenza complementare a sostegno dei giovani, da affiancare alla previdenza obbligatoria per costruire nel tempo la ‘ragionevole speranza’ di integrare in maniera efficace il proprio tenore di vita una volta terminato il periodo lavorativo.

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La necessità vale in particolare per l’Italia, come ha rilevato l’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) nel report Pensions at a Glance.

Il nostro sistema previdenziale è infatti diventato altamente sostenibile grazie alle riforme che si sono succedute negli ultimi anni, ma espone i lavoratori giovani al forte rischio di inadeguatezza delle prestazioni.

La causa principale è il metodo di calcolo contributivo, che crea un nesso obbligato tra contributi versati e trattamenti previdenziali. In questo scenario hanno un effetto pesantemente negativo la discontinuità delle carriere e l’andamento economico del Paese, in quanto il Pil rappresenta il fattore di rivalutazione del montante in accumulo.

Il secondo aspetto che penalizza i giovani italiani è il profilo demografico, che periodicamente modifica i coefficienti di trasformazione in modo da garantire la sostenibilità del sistema. In Italia gli over 65 rappresentano oggi il 22 per cento della popolazione (la media Ue è inferiore al 20 per cento) con una stima di oltre il 30 per cento nel 2060.

La conseguenza è che in Italia nel 2014 erano presenti 100 pensionati ogni 130 occupati con il risultato che i nuovi coefficienti aggiornati entrati in vigore nel 2016 hanno provocato un’ulteriore riduzione della pensione obbligatoria di circa il 2 per cento.

Agevolazioni subito

Per stimolare i lavoratori a sottoscrivere una polizza di previdenza complementare in Italia si è scelta la strada delle agevolazioni fiscali.

I contributi versati sono deducibili dal reddito complessivo imponibile ai fini Irpef entro il limite annuo di 5.164,57 euro, mentre in fase di rendita viene applicata una tassazione ridotta al 15 per cento (che può arrivare fino al 9 per cento in base agli anni di presenza nel fondo).

Il risparmio fiscale definitivo, dato dalla differenza tra l’aliquota di deduzione dei contributi e l’aliquota di tassazione della prestazione, potrebbe anche superare i trenta punti percentuali.

Tuttavia l’Italia penalizza il settore previdenziale rispetto agli altri Paesi europei, dove viene applicato il principio di tassazione Eet: esenzione dei contributi, esenzione dei rendimenti maturati annualmente dal fondo pensione, tassazione delle prestazioni.

Il nostro sistema adotta un modello fiscale del tipo Ett, cioè di esenzione dei contributi, tassazione dei rendimenti annuali e tassazione (ridotta) delle prestazioni. Da molto tempo i fondi pensione chiedono l’adozione del regime europeo, considerando che da vari anni neanche i fondi comuni di investimento di diritto italiano scontano l’imposizione annuale sul rendimento maturato.

Claudio Testuzza

@FondazioneEnpam