Se la liquidazione arriva troppo tardi

Sei anni per incassare la liquidazione sono davvero troppi. Per questo la seconda sezione lavoro del Tribunale di Roma ha sospeso il giudizio su un ricorso sollevato contro l’Inps per i maxi-ritardi con cui lo Stato paga la liquidazione agli statali, trasmettendo gli atti alla Corte Costituzionale.

Nel dispositivo della sentenza, con cui il Tribunale ha sollevato la questione di legittimità davanti alla Consulta, si legge che “una corresponsione dilazionata e rateale del trattamento di fine rapporto nell’ambito del pubblico impiego contrattualizzato può essere disposta in via congiunturale e programmatica, comunque temporanea, con specifico riferimento alla gravità della situazione economica in un determinato periodo di crisi, e non in via generale, permanente e definitiva, come invece è avvenuto nella realtà”.

Il problema era nato già nel 2010-2011 con provvedimenti dell’allora governo Berlusconi che, puntando a contenere la spesa pubblica, avevano rallentato i processi di erogazione del Tfr per i dipendenti che vanno in pensione.

La legge di stabilità per il 2014 aveva poi inasprito le condizioni riducendo l’importo massimo pagabile in unica soluzione da 90 a 50mila euro e allungando i tempi per il pagamento.

TEMPI DI PAGAMENTO E RATEAZIONE

La tempistica con cui viene corrisposto il Tfr ai dipendenti pubblici cambia in base alle ragioni della cessazione del rapporto di lavoro. Si va da un minimo di 105 giorni, in caso di decesso o inabilità del lavoratore, a un massimo di oltre 2 anni per casi come la pensione anticipata.

Questo a fronte dei 30 giorni per un lavoratore del terziario o ai 45 per uno del Commercio.

Il pagamento del Tfr inoltre è rateizzato: per coloro che hanno chiuso il rapporto di lavoro entro il 31 dicembre 2017, se l’importo non supera i 50mila euro avviene in un’unica soluzione, per importi fino a 100mila euro in due rate annuali, mentre per importi superiori le rate salgono a tre.
In quest’ultimo caso, la prima e la seconda sono di 50 mila euro e vengono erogate rispettivamente a 6 e a 12 mesi da quando decorre il diritto alla liquidazione della prima indennità. La quota residuale viene poi pagata successivamente con la terza rata.

Lo stesso dicasi per il Tfs, il Trattamento di fine servizio che spetta chi è stato assunto a tempo indeterminato prima del 31 dicembre 2000.

Per i dipendenti pubblici in pensione dal primo gennaio 2018 però il pagamento del Tfr/Tfs avviene dopo dodici mesi, con trattamento pensionistico senza penalizzazioni, e dopo ventiquattro se il trattamento pensionistico è erogato con penalizzazioni.

I nuovi termini di pagamento e liquidazione cambiano a seconda delle cause di cessazione del rapporto di lavoro, per cui alla luce della nuova normativa l’erogazione avviene con tempistiche diverse.

In caso di cessazione dal servizio per inabilità o per decesso il tempo di pagamento è  ‘breve’, 105 giorni. Se la cessazione avviene per il raggiungimento dei requisiti di servizio o per età, il tempo d’attesa non è inferiore all’anno.

Se la cessazione avviene per dimissioni volontarie con o senza diritto a pensione, licenziamento, destituzione dall’impiego e simili, il pagamento non viene corrisposto prima di 24 mesi.

Riguardo a  questa significativa e compromissoria condizione di differenza dei trattamenti fra dipendenti pubblici e privati i giudici hanno osservato che può trovare la sua unica giustificazione, a livello costituzionale, nell’articolo 81, che tutela l’equilibrio tra le entrate e le spese del bilancio statale, tenendo conto delle fasi avverse del ciclo economico.

Tuttavia l’emergenza economica, in linea di principio, pur potendo giustificare un intervento temporaneo e mirato sui trattamenti di fine rapporto, non può avvalorare un’irragionevole protrazione, in via permanente, della dilazione e scaglionamento degli stessi.

Da questo il rinvio alla Corte Costituzionale  che apre per tutti gli statali una speranza concreta di vedere erogata la liquidazione  nei tempi previsti in passato, senza disparità di trattamento nei confronti di un dipendente del settore privato.

Claudio Testuzza