Rodolfo Valentino era figlio di un sanitario

Il divo del cinema frequentò un convitto Onaosi quando aveva  11 anni. Un’esperienza durata solo tre anni perché venne espulso, secondo i documenti dell’epoca, a causa dei voti troppo bassi. Ma la verità è un’altra.

Chissà cosa avrebbe detto, Rodolfo Valentino, se fosse salito sul palco degli Oscar. Se stringendo al petto una statuetta dorata e ricordando le sue origini artistiche – come da tradizione del premio cinematografico in programma domenica prossima – avrebbe dato spazio anche a Perugia. La città nella quale il primo divo del grande schermo sperò, che l’accolse nel collegio per l’assistenza ai figli dei sanitari e dalla quale andò via sconfitto.

È passato più di un secolo. Era l’ottobre del 1906 quando entra al convitto della “Sapienza vecchia” Onaosi, senza essere ancora il latin lover delle pellicole mute e senza nemmeno chiamarsi Valentino.

A undici anni è ancora Rodolfo Guglielmi di Castellaneta, nel Tarantino, orfano di un padre veterinario. Diventa il convittore matricola 48, cadetto di un’istituzione all’epoca di stampo militare, e in divisa frequenta la scuola tecnica “Purgotti”.

Malgrado marce mattutine e disciplina marziale gli andassero strette, il giovane Rodolfo sogna di emulare le gesta del padre che era stato ufficiale di cavalleria, come scriveva in classe nel tema “Passa il reggimento” del 1908. “Perugia fu un passaggio difficile.

Il profitto scolastico non era dei migliori, testimonia un registro dell’anno scolastico del 1907/08 – spiega Antonio Ludovico, presidente della Fondazione Rodolfo Valentino di Castellaneta – e i compagni lo prendevano in giro, chiamandolo ‘pipistrello’ per le sue orecchie a punta”.

Sensibile e inquieto, il carattere del ragazzo non si concilia con la vita del collegio, e il soggiorno alla “Sapienza vecchia” non va oltre i tre anni. Dai documenti ufficiali la causa sono i voti in pagella. Dai racconti tramandati il motivo dell’espulsione è il ferimento, con un coltellino o la punta di un compasso, di un compagno che lo scherniva.

“Vado via, anche se ingiustamente, ma sentirete ancora il mio nome”, scriveva in una lettera rivolta all’ente di assistenza. Lo racconta Franco Venanti, quotato pittore perugino e memoria storica della città: “Lessi quelle pagine negli anni ’50 grazie al direttore del convitto maschile, Luigi Palermo, che allora mi faceva ripetizioni di matematica.

Era una lettera scritta con rabbia e consapevolezza di sé”, ricorda il pittore mentre affonda nella poltrona del suo salotto con fare freudiano, leggendo in quella grafia “ordinata e obliqua” tutto il desiderio di rivalsa del futuro artista.

Anche se la traccia lasciata in Umbria dal divo rimane flebile ed evanescente “è possibile pensare che, a Perugia, Valentino abbia avuto qualche approccio con la recitazione nel Teatro della sapienza all’interno dell’Onaosi”, commenta Fabio Melelli, storico del cinema, docente all’Università per stranieri del capoluogo umbro e coautore del documentario artistico “Rodolfo Valentino in Perugia”.

Nel lavoro di ricostruzione, un giovane dalla bellezza androgina, interpretato dalla brava e ironica Gilulia Zeetti, ripercorre il suo passaggio in città fino a diventare il grande attore dei Quattro cavalieri dell’apocalisse. “Era capace di passare con disinvoltura attraverso diversi registri interpretativi. Da interprete – spiega Melelli – conosceva il metodo Stanislavskij e scavava nella psicologia dei personaggi per metterne in rilievo l’essenza. Un artista di grande modernità in un cinema altamente codificato come quello dell’epoca, che grazie a espressività ed eleganza era capace di veicolare emozioni senza l’enfasi tipica dei film muti”.

La figura del bel ballerino, dell’amante esotico, dello sceicco o del torero dai capelli impomatati e occhi cerchiati di trucco, hanno offuscato nell’immaginario comune il valore artistico “di un intellettuale degli Anni ’20, nel cui diario privato si trovano echi di Pirandello, che nei desideri artistici di interpretare film di valore storico e personaggi autentici precorreva il cinema neorealista”, aggiunge Antonio Ludovico.

Attingendo a documenti originali e testimonianze dell’epoca, Ludovico ne racconta vita e spessore cinematografico nei tre volumi “Rodolfo Valentino, quasi un’autobiografia”. Anche quelle vesti di sex symbol a Rudy stavano strette, intrappolato nel vortice di 15 film girati a ripetizione per stare al passo con i ritmi contrattuali delle major dell’epoca.

Non è chiaro fino in fondo se dopo il successo, nella sua vacanza in Italia del ’23, passò davvero a Perugia. Morì tre anni dopo, a soli 31 anni, per le complicanze di un’appendicite. Una fine banale, proprio alla soglia dell’era moderna del cinema.

L’anno successivo uscì nelle sale il primo film sonoro e tre anni dopo l’Academy istituì i premi Oscar. Il giorno del suo funerale si suicidarono trenta donne e una misteriosa dama in nero portò per anni fiori sulla sua tomba.

Un personaggio controverso, per certi aspetti ingombrante. Apprezzato da Chaplin, amante di D’Annunzio, idolatrato dalle ammiratrici, mal tollerato sia dal fascismo in patria che negli ambienti cinematografici a stelle e strisce, lui che da non americano aveva raggiunto grazie al cinema un successo allora inimmaginabile. L’allievo più famoso e indisciplinato dell’Onaosi  fu anche il poeta che scriveva “sogni ad occhi aperti”, ricordato vent’anni fa in un raduno di ex allievi dalla partecipazione ineguagliata. Perugia, nei giorni scorsi, gli ha intitolato una rotatoria in periferia. Hollywood una stella sulla Walk of fame, tra i pochissimi italiani nel firmamento della celebrità.

 

di Antioco Fois