Previdenza complementare più facile in Ue

Scendono da cinque a tre i termini per la portabilità delle forme pensionistiche complementari nell’Unione europea. È una delle novità contenute nel decreto legislativo recentemente approvato dal Consiglio dei ministri per allineare l’ordinamento della previdenza complementare a quello comunitario.

Il provvedimento integra la normativa in vigore e dispone tra l’altro il mantenimento della posizione individuale maturata presso la forma pensionistica complementare e il trasferimento ad altra forma ove vengano meno i requisiti di partecipazione, nonché gli obblighi di informazione nei confronti degli iscritti attivi con riferimento ai loro diritti in materia.

Vengono così recepite le indicazioni della direttiva 2014/50/Ue che, in mancanza di un coordinamento dei regimi integrativi, consente di adeguare l’ordinamento nazionale a quello comunitario nel settore della previdenza complementare, con l’obiettivo di accrescere la mobilità dei lavoratori tra gli Stati membri e migliorare l’acquisizione e la salvaguardia dei loro diritti pensionistici.

Ricordiamo che le pensioni integrative sono un’importante fonte di reddito in molti paesi europei. Ma poiché il coordinamento dei regimi di sicurezza sociale non viene applicato nella maggior parte dei regimi integrativi, l’Unione europea aveva concordato regole speciali per proteggere i diritti dei lavoratori che si spostano da un paese comunitario all’altro. Queste regole valgono per i regimi pensionistici collegati all’attività lavorativa, le cosiddette pensioni professionali.

In alcuni regimi pensionistici integrativi i lavoratori possono anche perdere i loro diritti quando si spostano all’interno dell’Unione e a volte occorre soddisfare determinate condizioni prima che gli stessi vengano irrevocabilmente acquisiti. Ad esempio, un dipendente che lascia il lavoro e si trasferisce in un altro Stato membro potrebbe non ottenere alcun diritto se non ha lavorato abbastanza a lungo. E anche se ha maturato i diritti pensionistici quando lascia il regime, il loro valore futuro potrebbe risultare eroso dall’inflazione se non viene adeguato nel tempo.

La direttiva europea sull’acquisizione e la salvaguardia dei diritti pensionistici complementari adottata nell’aprile del 2014, stabiliva norme minime per la protezione dei lavoratori che si spostano da un paese all’altro definendo che i diritti pensionistici sono irrevocabilmente acquisiti (‘investiti’ ) entro e non oltre tre anni di rapporto di lavoro. Affermava, poi, che i contributi dei lavoratori non vanno persi.

Questo significa che se un dipendente lascia un regime pensionistico prima di aver maturato i diritti, ottiene il rimborso dei contenuti. I regimi non sono autorizzati a fissare un periodo minimo di acquisizione più elevato di 21 anni. Inoltre quando lascia un regime, il lavoratore ha diritto a mantenere i diritti maturati a meno che non accetti che gli vengano pagati. Inoltre i diritti pensionistici degli ex lavoratori devono essere tutelati allo stesso modo di quelli dei lavorati attivi.

La tutela può variare a seconda del tipo di regime. Ad esempio, il valore dei diritti pensionistici può essere adeguato secondo i tassi d’inflazione o le retribuzioni, in genere in un piano a prestazione definita. I lavoratori hanno sempre diritto a informazioni su come un’eventuale mobilità possa influenzare la loro situazione pensionistica, così come anche gli ex lavoratori e i loro superstiti, se il sistema fornisce prestazioni ai superstiti, hanno diritto a informazioni sul valore e il trattamento dei loro diritti.

Claudio Testuzza