Più l’età sale su, più la pensione scende giù

Gli aspiranti pensionati nel 2019 avranno un assegno Inps più leggero di quello intascato dai colleghi che  lasceranno il posto di lavoro entro il 2018.

D’altronde lo avevano affermato, già in passato, gli attuari dell’Inps: “Nessuna preoccupazione,  in futuro  si avranno le stesse pensioni del passato. Bisognerà, solamente, lavorare qualche anno in più!”.

La ragione di questa riduzione sta nel sistema di calcolo previdenziale contributivo, che ha al suo interno alcuni meccanismi che riducono gli importi delle pensioni.

Il più importante è rappresentato dalla variazione dei cosiddetti coefficienti di trasformazione, cioè i parametri con cui viene calcolata la pensione.

La riforma Dini ha introdotto il metodo contributivo per garantire la sostenibilità del sistema ed affermare un principio di equità: attraverso i coefficienti di trasformazione si realizza l’equivalenza attuariale fra i contributi versati e le prestazioni ricevute.

La riforma del 1995, consapevole che le dinamiche della vita hanno un’incidenza significativa solo nel lungo periodo, aveva stabilito che la revisione dei coefficienti di trasformazione fosse decennale. La legge Prodi del 2007, invece, drasticamente ridusse il periodo da dieci anni a tre. E  la riforma Fornero, addirittura da tre anni a due.

Così, dal 1° gennaio 2019, con l’incremento a 67 anni dell’età minima per la pensione di vecchiaia entreranno in vigore i nuovi coefficienti di trasformazione. Rispetto ai valori utilizzati sino al 31 dicembre 2018, i nuovi coefficienti fanno registrare una riduzione che, a seconda dell’età di accesso alla pensione, varia da un minimo dell’1,08 per cento a un massimo dell’1,90 per cento.

Un calo apparentemente  modesto,  ma che a confronto con quelli originari della riforma Dini del 1995, porta la contrazione oltre il 12 per cento. Ed è questo calo, evidentemente, che produce il taglio delle rendite.

La revisione dei coefficienti, legati all’età alla quale si va in pensione (sono più bassi se si esce dal lavoro prima e più alti se si esce dopo), dipende dall’allungamento della vita media. Il meccanismo prevede che, se si riceve l’assegno per più tempo, a parità di età di uscita dal lavoro l’importo annuale viene ridotto.

Confrontando i coefficienti previsti nel 1995 con quelli di quest’anno si nota che il valore della legge Dini per i 65 anni (6,136 per cento) lo si ritrova oggi a 69 anni (6,021 per cento). Ciò significa che l’andamento demografico negli ultimi 20 anni ha comportato un aumento della speranza di vita di ben quattro anni. Il lavoratore che  volesse andare in pensione, per ottenere la stessa rendita,  dovrà quindi lavorare ben quattro anni in più.

Claudio Testuzza

 

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