Perché agli studenti non piace la medicina generale?

Gentile presidente,

tutti i dati in nostro possesso (Enpam, Fnomceo, Fimmg) ci dicono che, in assenza di correzioni, entro 10 anni il sistema della medicina generale, considerato cardine per il Ssn, entrerà in crisi per mancanza di ricambio generazionale. Le ripercussioni sul piano previdenziale e assistenziale, come lei ha più volte affermato, saranno drammatiche.

Tali effetti sono già visibili in alcune regioni (vedi Emilia Romagna e Piemonte) e sono destinati ad aggravarsi perchè non si vuole decidere di intervenire in maniera seria, in modo particolare nella formazione dei Mmg.

Qualcuno si è mai chiesto cosa pensano i futuri protagonisti, ovvero gli studenti universitari, della formazione in Medicina generale? La formazione in Mg non attrae gli studenti di medicina per tre ragioni fondamentali che dovranno essere approfondite da chiunque voglia occuparsi seriamente di risolvere la questione:

1) La medicina generale, salvo qualche sporadico caso, non viene insegnata in modo strutturato nelle università. Gli studenti non sanno cosa sia davvero un Mmg, non sanno cosa faccia realmente, non conoscono le Adi, le Adp, le Svama, la medicina di gruppo/associativa e le Uccp. La stragrande maggioranza degli studenti considera il Mmg come il vecchio “medico della mutua/medico di base” o, peggio, un mero sottoscrittore di prescrizioni altrui.

Nelle aule universitarie viene insegnata l’importanza della prevenzione e delle gestione del paziente cronico ma non viene spiegato che il regista di questi due ambiti diagnostico-terapeutici è proprio il Mmg. Fatto sta che sappiamo tutto sui polimorfismi del gene Brca e non sappiamo come si gestisce un paziente allettato a domicilio.
Allo stato attuale l’assenza in Italia della Medicina generale come settore scientifico disciplinare è una eccezione, e non la regola, in tutta Europa.

2) Il corso di formazione specifico in Medicina Generale è nei fatti strutturato come una scuola di specializzazione ma non viene considerato tale dalla legge e viene organizzato in modo disomogeneo nelle varie regioni. Coloro che hanno frequentato il corso in Mg non vengono considerati in Italia degli specialisti e questo è il secondo freno che porta gli studenti a preferire altre specialità mediche.

In questo ambito l’Italia, che vanta grandi primati nel mondo in campo sanitario, è clamorosamente indietro rispetto ad altri paesi d’Europa che aderiscono alla dichiarazione Wonca (“I medici di medicina generale/medici di famiglia sono medici specialisti formati ai principi della disciplina”) e prevedono la scuola di specializzazione universitaria in medicina generale.

3) Il corso in Mg prevede una borsa di studio nettamente inferiore a quelle delle altre specialità universitarie. Tale disparità è ingiusta in sé e non sostenibile per molti medici che non riescono a coprire le spese quotidiane con una borsa di circa 800 euro al mese. Chi dice che l’aumento della borsa di studio rappresenta un costo non sostenibile per le regioni commette un grave errore di programmazione sanitaria.

Un Mmg al passo con le moderne tecniche diagnostiche (eco, ecg, esami di base etc.) consente infatti un risparmio enorme in termini costi per prestazioni/ricoveri e abbattimento delle liste di attesa e accessi al Ps.

L’equiparazione dei titoli, l’adeguamento della borsa di studio, l’utilizzo dei medici in formazione in reparti ospedalieri/universitari o sul territorio e l’insegnamento della specialità nelle università sono le soluzioni al problema della formazione in Mg che ha ormai assunto una proporzione tale da non essere più rinviabile.

Senza ricambio generazionale il sistema della medicina generale e con essa la medicina territoriale farà la fine del Titanic e lo farà esattamente come nel film di James Cameron: facendo finta di niente con i musicisti che suonano mentre la nave affonda inesorabilmente.

L’emendamento Crimì alla legge di bilancio del 2016 rappresentava un buon compromesso ma poi abbiamo buttato via il bambino con l’acqua sporca e intanto accumuliamo anni di ritardo rinviando la risoluzione del problema a quando sarà difficilmente risolvibile.

Abbiamo già fatto diagnosi e sappiamo quali farmaci prescrivere. Quando cominciamo la terapia?

 

Roberto Bellacicco
studente in Medicina e Chirurgia all’Università di Parma

 

Caro Collega,
perché per me già lo sei, hai perfettamente ragione e condivido in pieno quanto affermi.

Da tempo mi sto impegnando per tentare di modificare la disastrosa situazione di fatto. Non ci si può lamentare poi di quello che non si fa.  Vale per la politica sanitaria, per il Governo, per il Parlamento, per i Ministeri, per l’Università e per la comunità scientifica e professionale.

Siamo di fronte ad un grande autogol prima culturale e poi sociale che mette a rischio il diritto alla salute. Io continuerò a battermi, e sono sicuro che grazie a persone come te aumenteremo presto il nostro fronte.

Un caro saluto

Alberto Oliveti
Presidente Fondazione Enpam