Mamma e medico, l’altolà dei ministeri

Bloccate le misure a sostegno della genitorialità proposte dall’Enpam. La storia di una giovane mamma medico del lavoro e di come si sta organizzando per conciliare professione e famiglia

Le nuove misure a sostegno della genitorialità proposte dall’Enpam non superano l’esame dei ministeri vigilanti e restano impaludate nella burocrazia. A determinare la bocciatura infatti sono state motivazioni di carattere formale, nessun rilievo è stato sollevato sull’effettiva sostenibilità economica della manovra. Una decisione inaccettabile – fa sapere il presidente Oliveti – che per l’Enpam è solo una battuta d’arresto. La Fondazione sta già lavorando a una controproposta.

La proposta bocciata

Il nuovo regolamento bocciato dai ministeri prevedeva un aumento dell’indennità minima, l’indennità di gravidanza a rischio anche per le libere professioniste, la possibilità di fare versamenti volontari per coprire il buco contributivo per i mesi di sospensione dell’attività, l’equiparazione delle tutele in caso di adozioni nazionali e internazionali, sussidi per i servizi di baby sitting e per fare fronte alle spese del nido. Lo stop dei ministeri sorprende soprattutto se si pensa che con il Jobs act sono state migliorate le tutele per la genitorialità anche per le collaboratrici e le professioniste con partita Iva, e che la Fondazione è in grado di fare fronte alla spesa che le misure proposte comporterebbero.

La proposta bocciata cosa prevede

  • Aumento indennità minima (+400 euro)
  • Indennità di gravidanza a rischio per libere professioniste
  • Tutele equiparate per adozioni nazionali e internazionali
  • Sussidi per baby sitting e nido
  • Possibilità di colmare il buco contributivo

Mamme col camice

Negli ultimi dieci anni sono aumentate le donne medico ma non è cresciuto il numero delle dottoresse che diventa mamma. Nel 2005, infatti, le iscritte all’Enpam in attività erano 117.179, con 2.366 che avevano percepito l’indennità di maternità. Nel 2014 le donne medico sono arrivate a quota 151.247 ma solo 2.479 sono diventate mamme. Insomma, le dottoresse sono aumentate di 34 mila unità, con appena 113 mamme in più. Questi dati ricalcano la tendenza nazionale fotografata dall’Istat con un tasso di natalità in picchiata, solo 488mila nascite nel 2015, quindicimila in meno rispetto al 2014. Si riduce anche la fecondità che arriva a 1,35 figli per donna.

IMG-20151026-WA0016“La decisione di avere più di un bambino dipende molto anche dal tipo di professione a cui miri durante il corso di specializzazione – spiega Martina Bigotti (nella foto a lato), 31 anni, medico e mamma da tre mesi. Se pensi di rimanere in ambito ospedaliero, allora magari fai anche due figli durante la specializzazione, perché è l’unico momento in cui hai la certezza di uno stipendio. Se invece fai la libera professione ne fai solo uno e poi vedi come vanno le cose”. Martina si è specializzata a maggio 2015 in Medicina del lavoro e a dicembre è diventata mamma di Leonardo. Quando ha terminato il corso di specializzazione era al secondo mese di gravidanza e da quel momento non ha mai smesso di lavorare fino a una settimana prima del parto.

“Il lunedì – racconta – ho fatto la mia ultima visita e la domenica è nato mio figlio. Sono stata fortunata perché ho avuto una gravidanza senza problemi che mi ha consentito di fare una vita normale”. La neo mamma ha usufruito dell’assegno minimo d’indennità Enpam, circa 4mila euro nette che se fosse passato il nuovo regolamento sarebbero aumentate di 400 euro. “Sarebbe stato un bell’aumento – commenta Martina – è fuori discussione, anche perché il lavoro discontinuo non arriva a coprire le necessità del mese. E sarebbe stato molto utile anche poter avere i sussidi per le spese della baby sitter o del nido. Strano che l’Inps lo preveda e che per l’Enpam ci sia stato uno stop”.

Un percorso a ostacoli

IMG-20130904-WA0000Dopo la nascita del bambino per i genitori inizia il percorso a ostacoli per conciliare lavoro e famiglia. “Da libera professionista – racconta Martina – posso gestirmi gli appuntamenti tra una poppata e l’altra, ma quando so di andare in aziende dove mi dovrò trattenere per più di sei ore mi organizzo con le nonne e il tiralatte”. Martina può contare anche sull’aiuto del marito che lavora come dipendente e può usufruire dei permessi per l’allattamento. La ripartizione dei compiti familiari può diventare più facile se ci sono le misure che lo consentono così come il rientro a lavoro dopo la nascita di un figlio.

A dirlo è l’Organizzazione internazionale del lavoro nel rapporto annuale sulla maternità e la paternità nei Paesi del mondo. Insomma le misure a sostegno della famiglia, sia in termini economici sia in termini di flessibilità nell’organizzazione del lavoro, favoriscono lo sviluppo economico e culturale. “Sono tornata a lavoro quando Leonardo aveva appena venti giorni, ma riprenderò a pieno ritmo solo dopo lo svezzamento. A quel punto prenderò una baby sitter o sceglierò un nido”, prosegue la dottoressa.

Nascite e Pil

La questione della genitorialità è uno dei nodi principali della vulnerabilità sociale ed economica di cui welfare e politica dovrebbero occuparsi anche in termini di impiego di risorse perché i bassi livelli di natalità e di fecondità sono fattori negativi per la crescita e per la tenuta del sistema pensionistico. “Le donne italiane sono in attesa […] il Paese in cui vivono è in ritardo nel riconoscere i vantaggi che questa valorizzazione comporterebbe e ancora più in ritardo nell’agire per coglierli”. A scriverlo sono Alessandra Casarico e Paola Profeta, economiste e docenti alla Bocconi nel loro libro “Donne in attesa”.

“Eppure – spiegano dati alla mano – sbloccare quest’attesa sarebbe conveniente per tutti. Non solo per le donne stesse, che finalmente vedrebbero riconosciuti e apprezzati i loro talenti, ma anche per la società, che potrebbe beneficiare dell’impiego di una risorsa di valore”. Insomma le risorse impiegate per favorire le famiglie e le donne non devono essere più lette come un costo ma come un investimento. Un anno fa, Anna Maria Calcagni, consigliere Enpam e coordinatrice della Commissione Enpam per la genitorialità, così aveva spiegato l’urgenza di ampliare le tutele per la maternità: “In un momento come questo, di crisi lavorativa e di crisi della natalità, è sembrato doveroso da parte dell’Enpam venire incontro ai propri iscritti attingendo anche all’assistenza”.

Caro bimbo: fino a 15 mila euro per il primo anno di vita

In Italia nel 2016 mantenere un bambino i primi dodici mesi di vita costerà di media da 6.945,40 a 14.905 euro, con un aumento del 3 per cento rispetto al 2015 (i dati sono dell’osservatorio Federconsumatori). Le cifre comprendono le spese per visite mediche, eventuali farmaci, latte e pappe, biberon, ciucci, pannolini, attrezzature varie (passeggino, lettino, seggiolino auto, sterilizzatore, ecc.), giochi. Le stime però non tengono conto del costo del nido o della baby sitter. Non tutti infatti possono contare sul ‘welfare dei nonni’.

Laura Montorselli

@FondazioneEnpam