Lettere al Presidente: la cicala e la formica

Caro presidente,

ho appreso che la rivalutazione delle pensioni è diversa a seconda dell’ammontare delle stesse. Non lo trovo giusto né etico. La pensione non è un diritto. In natura, nella storia e nella gran parte del mondo, non è mai esistita e non esiste. La pensione è una somma accumulata con il lavoro. E chi più ha accumulato, più deve avere.

Se poi lo Stato mette in atto misure atte a non far finire la vita in miseria, ci può stare. Ma l’Enpam non deve scimmiottarlo e diventare un Ente di beneficienza.

I colleghi che vanno in pensione adesso hanno vissuto gran parte della carriera in un’epoca di grande abbondanza.

Riferendomi alla libera professione, chi ha versato di più è perché ha dichiarato di più e pagato più tasse. Molti che ora lamentano miseria hanno fatto del gran nero, magari chiedendo addirittura la contribuzione ridotta.

E allora perché io, che ho versato moltissimo, devo adesso pagare per quelli che se la sono goduta?

Se la mia dovesse essere una “pensione d’oro”, lo sarà perché ho versato.

Avrei potuto comperarmi una Bentley, quattro Ferrari, otto Porsche o case, beni e divertimenti equivalenti. E adesso dovrei fare la carità agli imprevidenti?

Ti prego addirittura di separare, nell’erogazione delle pensioni, le somme obbligatorie da quelle volontarie, lottando adeguatamente per far sì, ora e in futuro, che a ognuno venga dato il suo e che queste ultime, in particolare e per quanto sopra detto, non vengano toccate e siano rivalutate come meritano.

Per premio verso quelli come me e per monito e servizio ai giovani.

Comunque è a te e alla tua gestione che devo la possibilità di aver raggiunto questa situazione e te ne sono grato.

Cari saluti

Paolo Pavan (Varese)

 

Caro collega,

ti ringrazio per le tue parole di stima da cui colgo comprensione per il lavoro svolto e per le scelte fatte in questi anni.

Tuttavia, proprio in nome di quest’apprezzamento, devo dirti che non mi convincono del tutto alcune tue affermazioni in merito al meccanismo della perequazione: in primo luogo che non sarebbe etico, in secondo luogo che scimmiotterebbe quello che fa l’Inps.

“Non è giusto né etico”. L’Enpam è un ente di previdenza e di assistenza e il concetto di previdenza, a differenza del risparmio accumulato, prevede uno spiccato elemento di solidarietà collettiva.

Se così non fosse allora per un familiare di un collega che muoia prematuramente o per lui stesso nel caso diventi invalido non si dovrebbe prevedere alcunché. Peraltro è proprio a questa forte componente di solidarietà della previdenza che si deve la traslazione nel tempo del trattamento fiscale, cosa che nel risparmio non è prevista.

Ciò non toglie però che essendo la pensione un ʻsalarioʼ differito, è giusto che quanto ʻben differitoʼ debba far maturare una rendita conseguente e adeguata. E uso qui volontariamente un termine vecchio come ʻsalarioʼ proprio per sottolineare il collegamento stretto che ci deve essere tra lavoro e previdenza.

Sono dunque assolutamente d’accordo con te quando parli di “imprevidenti”, ma oltre a loro ci sono persone sfortunate che la solidarietà deve tutelare, che la Fondazione in quanto ente di previdenza deve tutelare.

E cosa fa l’Enpam per adempiere alla sua missione istituzionale? Intanto ha fatto una battaglia per non assumere il metodo contributivo e quindi per pagare più pensione per quota di contributo versato. Credo inoltre che le nostre aliquote siano migliori di quelle della previdenza pubblica.

Nell’ottica della solidarietà e della sostenibilità del sistema, l’Enpam tutela i colleghi meno fortunati e nello stesso tempo cerca di proteggere tutti gli iscritti con un welfare non solo del bisogno ma anche delle opportunità, proprio per alimentare il lavoro, da cui i contributi provengono.

“L’Enpam non deve scimmiottare lo Stato”. Il nostro meccanismo di rivalutazione non ripete pedissequamente quello dell’Inps. E infatti per gli importi che potrebbero assimilarsi a una pensione sociale riconosciamo una percentuale di perequazione più alta, mentre l’adeguamento è minore da una certa cifra in su.

Allo stesso modo nella rivalutazione dei versamenti contributivi abbiamo preso come linea di cesura l’età di 50 anni, per cui la percentuale è maggiore per i contributi dei colleghi con meno di cinquant’anni. E questo per una ragione ben precisa: in Italia i liberi professionisti sotto i 40 anni guadagnano un terzo di quello che prendono i colleghi sopra i cinquant’anni.

È il tentativo di coniugare il riconoscimento di quanto versato ̶ perché è giusto che il singolo contribuente abbia in proporzione a quanto ha versato ̶ con i doverosi riferimenti a una solidarietà generalizzata che poi è una delle fonti costitutive del fare previdenza (non risparmio tutelato).

L’obiettivo è quello di far sì che il sistema continui ad andare avanti nell’interesse di ognuno dei suoi partecipanti.

Alberto Oliveti
Presidente Fondazione Enpam