Le cellule che si ‘mangiano’ il cancro

Il Nobel per la Medicina 2016 è andato al biologo giapponese Ohsumi per i suoi studi sul meccanismo dell’autofagia. La professoressa Cusella, medico del Center for Health Technologies dell’Università di Pavia, spiega perché sono così importanti

Yoshinori Ohsumi, biologo giapponese docente al Tokyo Institute of Technology, ha vinto il Nobel per la Medicina 2016 grazie ai suoi studi sul meccanismo dell’autofagia cellulare.

Il luminare è stato premiato per le indagini su quell’insieme di processi che la cellula attiva per per ‘riciclare’ parti di sé stessa liberandosi di tutte le sostanze inutili o dannose, consegnandole a un ‘reparto’ specializzato nella loro eliminazione, il lisosoma.

Per valutare meglio queste scoperte e le loro possibili applicazioni pratiche in medicina, abbiamo interpellato la professoressa Gabriella Cusella, medico, membro del Center for Health Technologies dell’Università di Pavia.

Cusella fa parte di un gruppo di ricerca interdisciplinare (medici, biologi, biochimici) che si occupa appunto di medicina rigenerativa e ingegneria tissutale.

Innanzitutto il termine ‘Autofagia’ – precisa la professoressa Cusella – non è del tutto esatto, poiché le sostanze inutili non sempre vengono mangiate dalle cellule. “È più un continuo processo di rimodellamento delle cellule operato dai lisosomi. Questi a volte, da fagosomi, mangiano gli elementi nocivi (batteri, ad esempio), altre volte invece si limitano ad espellere quel che è ormai dannoso riciclando le parti buone”.

prof-ssa-cusellaUn procedimento la cui esistenza era stata ipotizzata sin dagli anni ‘60.

Il merito di Ohsumi – chiarisce la professoressa – è aver verificato l’esistenza di questo meccanismo partendo dallo studio d’un organismo unicellulare come il comune lievito di birra, e individuando i geni-chiave coinvolti”.

Una scoperta che potrebbe essere decisiva per le cure su Parkinson e Alzheimer. “In queste patologie – dice Cusella – fino ad ora si è data la colpa a determinate proteine, giudicate dannose. Ora, invece, si ipotizza che queste proteine possano essere sempre presenti nell’organismo: la malattia arriva quando appunto il proteosoma, deputato ad eliminarle dall’organismo, inizia a funzionare male”.

Un’altra patologia che potrebbe beneficiare in modo significativo degli studi di Ohsumi è l’autismo. “Ma anche gli studi sull’autismo possono avvantaggiarsi delle ricerche di Ohsumi. Perchè normalmente, nella fase perinatale e postnatale, molte connessioni tra neuroni cerebrali, sono inizialmente in eccesso, e devono venire ridotte: nel soggetto autistico, non funzionando bene questo meccanismo, il cervello a un certo punto risulta intasato da troppe connessioni, come una rete telefonica oberata di troppe linee”.

I passi in avanti più significativi sono attesi nel campo della battaglia al cancro.

“Oggi per arrestare lo sviluppo dei tumori – spiega la dottoressa – spesso si cerca di farli rimanere senza sostegno energetico, soprattutto mediante farmaci appositi. Con alcuni tumori, però, questo sistema non funziona, forse perchè magari la cellula tumorale ha una forte capacità di resistenza proprio grazie ai fagosomi; mentre può capitare anche che una cellula cancerosa con fagosomi anomali non ‘si suicidi’ e proliferi, sostituendo le cellule sane. In ambo i casi, la conoscenza esatta dei geni correlati alle varie forme di autofagia può aiutare molto la ricerca di una cura”.

Fabrizio Federici

@FondazioneEnpam