Il medico che la Chiesa vuole fare beato

“Se avessi avuto soldi, case, barche cosa avrei portato via adesso? Invece porto con me l’amore che abbiamo dato”. Sono le poche parole del testamento morale di Vittorio Trancanelli, medico perugino che ha dedicato la vita alla professione e all’accoglienza dei bisognosi, di cui ricorreranno i vent’anni dalla morte il prossimo giugno.

Chirurgo e ricercatore stimato, studioso e “santo della sala operatoria”, per la moglie Lia era semplicemente “un uomo giusto”. Il tribunale ecclesiastico, invece, è alla ricerca di un suo miracolo che possa farlo progredire sulla scala della santità, già imboccata un anno fa con la proclamazione a “venerabile”.

“Stiamo vagliando alcuni casi”, commenta laconico Enrico Solinas, giudice laico del tribunale ecclesiastico dell’Umbria e postulatore della causa di beatificazione.

Tutti i dettagli, che saranno messi alla prova da organi ecclesiastici e da una commissione medica, restano però sotto il velo di segretezza che copre la fase istruttoria.

Trancanelli nasce a Spello, diventa medico a Perugia nel ’69 e si specializza in chirurgia generale. La medicina diventa la sua preghiera laica. “Ha consumato la sua vita chino in sala operatoria”, ricorda la vedova. Poco dopo arriva la malattia.

Una colite ulcerosa, che lo porta quasi alla morte proprio mentre la moglie è ricoverata nello stesso ospedale, in attesa di Diego, unico figlio naturale della coppia. Vittorio si salva, ma porterà una ileostomia per il resto della vita.

“Non se ne lamentava mai, io stesso non ne sapevo niente. Ne parlava solo a quei pazienti, affetti dalla stessa malattia, che lui avrebbe operato”, dice Fausto Santeusanio, amico intimo di Trancanelli ed ex docente di endocrinologia all’Università di Perugia.

Casa Trancanelli diventa luogo di ospitalità per i bambini provenienti da famiglie in difficoltà.

La coppia avrà sette figli in affidamento e per estendere l’opera di accoglienza dei bisognosi fonderà poi l’associazione “Alle querce di Mamre”, ispirata ad un passo della Bibbia.

Il chirurgo si dedica al lavoro, alla famiglia e ai suoi interessi. Lo studio e le pubblicazioni in campo medico, i testi sacri in lingua originale, la cultura ebraica antica, l’etruscologia. “Per riposarsi – commenta la signora Lia – passava da una disciplina all’altra. Dormiva poco, 4-5 ore a notte”.

Le condizioni di salute si fanno di nuovo gravi. In un frammento di intestino lasciato nell’intervento di vent’anni prima si è sviluppato un tumore che non gli lascerà scampo. Muore qualche mese dopo, nel giugno del ’98.

“Mi piace poter pensare mio marito – è il pensiero della moglie – come un piccolo San Francesco. Nato vicino ad Assisi, figlio di un commerciante, di madre straniera, amante della povertà. Ricordo che dovevo comprargli i vestiti di nascosto. Ai convegni i colleghi portavano per lui una giacca elegante e una cravatta, perché senza non si poteva entrare agli eventi correlati”.

“Un santo laico” è invece la sintesi di Giuseppe Chiaretti, ex arcivescovo di Perugia.

“Ha già un fama di santità vasta, arrivano email da varie parti del mondo per chiedere una sua immagine”, rivela il giudice Solinas.

A Perugia gli sono state dedicate una strada, due scuole nella provincia ed il blocco operatorio di Chirurgia d’urgenza del Santa Maria della Misericordia. Di recente la salma è stata tradotta nello stesso ospedale e qualcuno ha scritto “ben tornato Vittorio” nei registri dedicati alla richiesta delle grazie.

“In molti, medici e pazienti, lo pregano prima di entrare in sala operatoria”, dice la moglie. Tanto da essere considerato come un “patrono” dei medici di Perugia. “Adesso Vittorio – assicura la signora Lia – lavora più di prima”.

di Antioco Fois