Iconodiagnostica, un gioco tra arte e scienza

È al confine tra arte e medicina, ma meglio non chiamarla scienza. L’iconodiagnostica è più un passatempo dotto, che nel corso degli ultimi anni ha visto confrontarsi specialisti di tutto il mondo nella diagnosi dei soggetti di opere d’arte famose.

Per svelare i misteri dei capolavori del passato, ricostruire l’evoluzione delle patologie nei secoli, la storia dello stato di salute delle popolazioni e come esercizio per allenare l’occhio clinico.

LA TIROIDE DI MONNALISA

Sospetto ipotiroidismo e un deficit psicomotorio a segnarle il volto nell’enigmatico sorriso. È poco rassicurante (e a tratti ingenerosa) l’ultima versione della cartella clinica della Monna Lisa di Leonardo, paziente più indagata in assoluto dai cultori dell’iconodiagnostica.

La più recente ‘diagnosi su tela’ è firmata in tandem Harvard medical school-Università della California e ipotizza un’insufficienza alla tiroide, forse determinata da una forma di tiroidismo periparto e aggravata dalle condizioni di vita e dalla dieta povera di iodio.

A confermarlo sarebbero il colore giallognolo della pelle, i capelli diradati sulla fronte, l’assenza di sopracciglia (salvo particolari mode dell’epoca), oltre a un “diffuso rigonfiamento, simile a un gozzo”.

Il sorriso garbato, appena accennato, sarebbe invece il risultato di una debolezza muscolare, che le impediva il movimento completo delle labbra.

È stato proprio il particolare del gozzo, tratto frequente anche tra i contadini del ‘600, a risolvere il mistero di un’altra tela, indicando in Caravaggio l’autore della ‘Giuditta e Oloferne’ ritrovata a Tolosa due anni fa.

Il gonfiore sul collo della serva di Giuditta ricorre, infatti, in maniera del tutto analoga nella Madonna del Rosario e nella Crocifissione di Sant’Andrea, rappresentati dal ‘pittore maledetto’.

L’iconodiagnostica è capace anche di captare indizi sugli stessi artisti.

In tre diversi ritratti, Michelangelo, secondo uno studio italiano pubblicato sul Journal of the Royal society of Medicine, portava sulla mano sinistra le deformità tipiche dell’artrosi.

UN CONVEGNO A ROMA IL 16 NOVEMBRE

“Per me l’iconodiagnostica è un divertimento, distinto dal campo scientifico”, commenta Vito Franco, ordinario di Anatomia patologica all’Università di Palermo, tra i precursori della disciplina in Italia.

“Non produce certo diagnosi incontrovertibili – precisa il docente – ma esercita la capacità di osservare e riconoscere i segni di  patologie riprodotti inconsapevolmente dagli artisti”.

Sull’aspetto didattico del binomio arte e medicina hanno investito da tempo università come Harvard e Yale, ma anche la Sapienza di Roma, che ha istituito il laboratorio di Arte e medical humanities per la facoltà di Farmacia e Medicina.

Sul tema, i responsabili del corso, in collaborazione con la Società italiana di pedagogia medica, hanno organizzato il convegno “Quale posto per l’arte nella medical education”, in programma per il 16 novembre a Roma.

Antioco Fois
(immagini tratte da “Arte e medicina: dalla visione alla diagnosi”, a cura di Vincenza Ferrara)