Essere medico ad Abu Dhabi

Francesco Serino è primario del reparto di Chirurgia vascolare della Cleveland Clinic e lavora ad Abu Dhabi.

I camici bianchi negli Emirati e in quest’ospedale – che sta cercando personale, anche italiano – possono arrivare a guadagnare fino a 15-20 mila euro al mese e, come è successo a lui, diventare medico del Papa (almeno per un giorno).

Serino si è formato in Italia, all’Università Cattolica e alla Sapienza di Roma, ha avuto diverse esperienze all’estero e oggi è anche professor of surgery presso il Lerner College of Medicine della Case Western University di Cleveland, l’unica facoltà americana che, essendo accessibile per alti meriti scolastici, non prevede una retta per gli studenti.

 

L’ospedale e i pazienti

Il sistema delle Cleveland Clinic è un unicum al mondo, perché rappresenta uno dei due più grandi gruppi sanitari degli Stati Uniti, interamente gestiti da medici.

L’ambizioso progetto della struttura di Abu Dhabi “nasce dalla originaria visione dello sceicco Zayed e dalla determinazione dei suoi successori che stanchi di vedere i loro concittadini emigrare per potersi sottoporre a cure di alto livello tecnologico – spiega Serino – hanno deciso di portare la medicina di alta specializzazione direttamente negli Emirati”.

L’ospedale è sorto quindi sul modello della Cleveland Clinic già esistente in Ohio, è super tecnologico e ci lavorano medici affermati arrivati da tutto il mondo.

Come ospedale semi governativo, i pazienti sono prevalentemente cittadini degli Emirati, che beneficiano di assistenza sanitaria universale. Poi, ci sono i lavoratori espatriati che godono di coperture assicurative adeguate.

Col tempo, aggiunge Serino, “stanno aumentando anche i pazienti che provengono da nazioni limitrofe agli Emirati, perché preferiscono fermarsi qui anziché arrivare negli Usa”.

 

Fare il medico ad Abu Dhabi

Il sistema negli Emirati in genere e in particolare quello della Cleveland Clinic, è “assolutamente sensibile alla costumer satisfaction”, racconta il medico italiano.

Per i camici bianchi questo significa essere costantemente sotto l’osservazione dei pazienti e “in caso di una valutazione negativa, si può arrivare al licenziamento immediato e quasi insindacabile”, avverte Serino.

Dall’altro canto, anche se è azzardato fare raffronti con l’Italia perché bisognerebbe calcolare bene le differenze del costo della vita, “nella migliore delle ipotesi e a livello puramente indicativo, si può dire che un consultant, ossia un primario, può arrivare a percepire più o meno il corrispettivo in moneta locale di 14-19 mila euro al mese”, calcola Serino.

Per medici alle prime armi gli stipendi sono più bassi e comunque sempre negoziabili.

L’elevato costo della vita riduce il vantaggio economico netto, ma resta da tenere in conto quello fiscale, visto che in questo Paese per ora non ci sono tasse dirette sul salario.

“Personalmente – aggiunge Serino – ritengo che ci siano soprattutto altri possibili vantaggi, come l’esperienza, la conoscenza del mondo e la possibilità di un’educazione internazionale per i propri figli”.

 

Gli aspetti previdenziali

I contratti dei medici che lavorano alla Cleveland Clinic di Abu Dhabi prevedono in genere solo una assicurazione sulla vita e un’altra sanitaria per il medico e la sua famiglia.

“Solo da poco sono stati introdotti pacchetti previdenziali, ma essendo la durata della vita professionale indeterminabile, sono di scarsa utilità”, fa notare Serino.

 

La call e i requisiti

Al momento la Cleveland Clinic ricerca medici specializzati in medicina interna e altre specialità chirurgiche, medici giovani (“special position” dove non è richiesta esperienza documentata perché lavorano sotto al supervisione di un consultant) e di lunga esperienza (“consultant position”, con almeno cinque anni di eseprienza documentata).

Per informazioni e applicazioni si può visitare il sito della Cleveland Cinic e selezionare “Abu Dhabi”.

Il sistema di reclutamento del personale è standardizzato e si compone di: una application sul sito o direttamente ai dipartimenti in richiesta, un’intervista in loco con valutazione del curriculum, un processo di verifica dei titoli effettuato da una agenzia specializzata, la contrattazione e l’offerta salariale e, infine, il processo di ottenimento della licenza presso Health Authority Abu Dhabi, “che purtroppo può anche concludersi negativamente”, avverte Serino.

Per questo è utile documentarsi prima sui siti di Haad o Dubai Health Authorities per verificare il possesso dei requisiti.

L’ultimo stadio è l’ottenimento del visto di residenza.

Il processo quindi “è abbastanza lungo, può anche richiedere un anno”, avverte il collega italiano.

Naturalmente, bisogna conoscere molto bene l’inglese, ma per tutto il resto, assicura Serino “la notizia sorprendente per i nostri connazionali è che basta il merito”.

La visita al Papa e i costumi locali

Il momento più bello che Serino lega a questa sua esperienza di lavoro ad Abu Dhabi “è sicuramente l’essere stato chiamato a servire, come medico, Papa Francesco, durante la storica visita pastorale negli Emirati a febbraio del 2019. Paradossalmente è accaduto solo qui, nonostante i miei 30 anni di attività presso università e ospedali religiosi a Roma”.

Per il resto, uno degli aspetti più importanti di lavorare negli Emirati è il rispetto per gli usi e costumi locali, che talvolta implica l’impossibilità per un medico uomo di esaminare una paziente donna.

Questo però è molto spesso superabile con tatto e comprensione, associando un infermiere donna alla visita. In più, c’è la richiesta del consenso informato, che quasi sempre richiede la partecipazione del capo famiglia, talvolta dopo diverse consultazioni.

La call di lavoro, invece, è aperta alle dottoresse senza alcun problema.

Negli Emirati “lavorano moltissime donne da tutto il mondo. Nella Cleveland Clinic ci sono oggi due colleghe Italiane”, racconta Serino. In generale, il medico italiano “è visto dai pazienti con grande rispetto e simpatia, molto spesso nelle mie visite i pazienti decantano le loro visite in Italia – conclude Serino – . Questo contrasta con la lungaggine dell’iter di licenza, determinato dal mancato riconoscimento diretto dei titoli di studio italiani, diversamente da quanto avviene per quelli dell’Uk e Nord Europa, ai cui medici non si richiede un esame di licenza. Un problema che abbiamo sollevato alla Ambasciata Italiana, richiedendo una soluzione politica”.

Maria Chiara Furlò