Diagnosi mancante o tardiva: quando il medico è responsabile

Un male ‘incurabile’ non lo assolve dall’obbligo di una valutazione appropriata

Doctor and nurse making rounds in hospital

Il medico può rispondere dei danni conseguenti all’omessa o tardiva diagnosi anche nel caso in cui la patologia sia incurabile. È quanto si ricava dalla sentenza della Corte di Cassazione numero 16993, datata 20 agosto 2015.
Il Collegio si è pronunciato sul caso di una signora, poi deceduta, che aveva patito dei danni in conseguenza di un’omessa diagnosi per un carcinoma all’utero.

La Corte d’Appello aveva in un primo tempo negato che la condotta del medico potesse essere stata causa dei sintomi sofferti dalla paziente. Ma la Cassazione ha rilevato una violazione dei principi che regolano il campo della responsabilità per i danni conseguenti alla perdita della possibilità di vivere per un periodo di tempo in più (anche breve) rispetto a quello poi effettivamente vissuto. Un campo in cui rientrano la perdita di chance di conservare una ‘migliore qualità della vita’ o integrità psico-fisica durante il decorso della malattia (e di alleviare quindi le sofferenze e il dolore), e anche la mera facoltà di scegliere, alla stregua delle conoscenze mediche del tempo, ‘cosa fare’ per fruire della salute residua fino all’esito infausto.

Nel merito la Cassazione ha appurato che il comportamento assunto dal medico in questione non era stato improntato alla dovuta diligenza, essendosi ‘con certezza’ accertato che il carcinoma era già presente al momento delle visite. L’approccio diagnostico del camice bianco fu quindi ‘insufficiente’ tenuto conto che, quantomeno in occasione del terzo controllo o del quarto, il quadro patologico della paziente andava approfondito (con l’effettuazione di esami diagnostici quali il pap test, la colposcopia e la biopsia della cervice uterina).

La Cassazione ha così affermato che non è possibile negare un risarcimento per la sofferenza patita dalla paziente durante l’agonia prima di morire, sostenendo che “poco o nulla sarebbe cambiato circa il decorso clinico, con specifico riferimento alla forma tumorale, particolarmente maligna e aggressiva”. In altre parole, anche in presenza di una grave patologia dalla progressione particolarmente rapida e tumultuosa e destinata a sfociare in un ineluttabile decesso del paziente, la tempestività della diagnosi è ritenuta ‘utile’ in termini di interventi palliativi o altro.

Angelo Ascanio Benevento*

*Avvocato, Ufficio affari legali della Fondazione Enpam

@FondazioneEnpam