A che età si va in pensione negli altri Paesi europei

Dal primo gennaio del prossimo anno l’età per accedere alla pensione di vecchiaia Inps salirà a 67 anni, tra le più alte in Europa. Analizzando l’età media di coloro che si sono ritirati dal lavoro negli ultimi anni, emerge però che i nostri connazionali hanno cominciato a percepire la pensione a un’età effettiva inferiore alla media di molti ‘cugini’ europei. Ad evidenziarlo sono i dati dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse).

IL CONFRONTO CON l’EUROPA

Mettendo a confronto i requisiti per accedere alla pensione di vecchiaia con quelli dei Paesi europei equiparabili al nostro, si scopre che nel resto d’Europa si va in pensione diversi mesi prima.

In Francia, ad esempio, per il triennio 2017-2019 si richiedono 62 anni di età; in Germania sono necessari 65 anni e 7 mesi che salgono a 65 anni e 8 mesi nel 2019; nel Regno Unito si è passati dai 65 anni richiesti nel 2017 ai 65 e 2 mesi per il 2018, che lievitano a 65 anni e 6 mesi nel 2019; in Spagna, per il 2018 sono necessari 65 anni e 6 mesi che nel 2019 salgono 65 anni e 8 mesi.

Anche il meccanismo che prevede un adeguamento dell’età all’innalzamento dell’aspettativa di vita, procede con maggiore cautela. In Spagna, per esempio, il requisito di 67 anni fissato per accedere alla pensione di vecchiaia, dovrebbe scattare – proseguendo con l’attuale trend – nel 2027, in Germania nel 2029.

LAVORI USURANTI

Le differenze però non si esauriscono qui. In Francia e Germania, ferme restando le soglie dell’età pensionabile, esistono numerose possibilità di anticipo pensionistico per lavori usuranti, gravosi, per disabilità o per carriere lunghe. E in Spagna vige un meccanismo che consente ai lavoratori di chiedere la pensione di vecchiaia anticipata accettando un assegno più ‘leggero’. In Gran Bretagna invece, almeno fino al 2018, alle donne viene concesso uno sconto di genere pari a 9 mesi (64 anni e 5 mesi) che dal prossimo anno scenderanno a 4 (65 anni e 2 mesi).

ASSEGNI PIÙ BASSI

In Italia, inoltre, a pensioni più lontane nel tempo si aggiungono assegni previdenziali più bassi. Il sistema è il più penalizzante tra quelli qui citati perché modifica i coefficienti di trasformazione dei contributi versati in pensioni ogni biennio. Un’esigenza dettata dal metodo di calcolo contributivo adottato.

A tal proposito, nel 2019 cambieranno i coefficienti di trasformazione per il calcolo della pensione che, a loro volta legati all’aspettativa di vita, determineranno, a parità di età, una riduzione di circa l’uno per cento dell’importo del trattamento pensionistico rispetto al triennio 2015-18.

SCHIZOFRENIA ITALIANA

L’invecchiamento della popolazione è indubbiamente un fenomeno comune alla gran parte dei Paesi Ue e non solo, tant’è che negli ultimi anni i sistemi pensionistici europei si sono attrezzati per cercare di contenerne le conseguenze, innalzando le età di pensionamento.

Ma se con i 67 anni di età richiesti dal prossimo gennaio l’Italia si conferma ai primi posti della classifica europea per severità dei requisiti, analizzando i dati sull’area Ocse – l’Organizzazione che raggruppa i Paesi occidentali con un’economia sviluppata – scopriamo che la situazione cambia.

Tra il 2012 e il 2017 le lavoratrici italiane sono andate in pensione a un’età media effettiva di 61 anni, contro una media Ocse di 63 anni e 6 mesi, posizionandosi alle spalle di Paesi come il Regno Unito (63,9), la Germania (63,4) e la Spagna (61,6).

In Italia i requisiti sono più severi solo in teoria

Un dato che si conferma tra gli uomini, andati in pensione con un’età media effettiva di 62 anni e 4 mesi, a fronte di una media Ocse pari a 65 anni e 3 mesi.

Claudio Testuzza